ruina
Vocabolo di forma latineggiante che vale principalmente " caduta ", " rovina " di qualcosa, in genere di materiali petrosi. Sembra riferirsi a edifici in If XI 36 Morte per forza e ferute dogliose / nel prossimo si danno, e nel suo avere / ruine, incendi e tollette dannose: " com'è disfargli le case ", chiosa il Boccaccio.
Dal senso di " frana ", in If XII 4 quella ruina che nel fianco / di qua da Trento l'Adice percosse, / o per tremoto o per sostegno manco, si passa al senso di " rottura ", " scoscendimento roccioso " del terreno come effetto della frana stessa: Tra Lerice e Turbìa la più diserta, / la più rotta ruina è una scala, / verso di quella, agevole e aperta (Pg III 50, e v. If XII 32); e anche a quello di " accumulo di detriti rocciosi ", sempre in quanto effetto della frana: montar potrete su per la ruina, / che giace in costa e nel fondo soperchia (If XXIII 137, e quindi XXIV 24). Qui però si tratta della frana provocata nel cerchio VII e altrove dal terremoto avvenuto, secondo Matt. 27, 51 ss., allo spirare di Cristo.
Assai controversa è l'interpretazione del passo in cui la parola appare per la prima volta nella Commedia; è il passo che vede i peccator carnali più alte levar le strida e più fortemente lamentarsi proprio allorché giungon davanti a la ruina (If V 34).
Già i commentatori trecenteschi e quattro-cinquecenteschi avevano elaborato differenti spiegazioni. Giustamente destinate a rimanere senza seguaci furono quelle di Benvenuto, Serravalle, Landino, che, in totale disobbedienza alle indicazioni offerte dal testo, intendevano ruina come significante metaforico dell'esito letale dell'amore senza legge l'uno, del pericolo costituito dalla reazione del marito tradito il secondo, della perdita dell'oggetto d'amore il terzo. Di debole fondamento è anche la spiegazione del Postillatore Cassinese, secondo cui D. avrebbe inteso designare il mutuo scontrarsi degli spiriti. Ben più fondate interpretazioni fornirono il Buti, Boccaccio, Vellutello, Daniello, Castelvetro, che vedevano significato, rispettivamente, il dirupo lungo il quale le anime precipitano nel cerchio, il ruinare dei lussuriosi trascinati dalla bufera, il turbine di vento che afferra le anime al loro giungere nel cerchio, le sponde rupestri della voragine infernale, lo scoscendimento provocato dal terremoto, secondo il racconto evangelico. Queste interpretazioni saranno variamente accolte dagl'interpreti sino all'Ottocento, dal Magalotti al Venturi, al Lombardi, al Biagioli, allo Scolari, all'Andreoli. Due nuove linee d'interpretazione saranno però inaugurate nel corso stesso dell'Ottocento: dal Cesari, che pensò dovesse vedersi nel termine la significazione del punto in cui il vento turbinoso s'immette nel cerchio, e dal Tommaseo, che, seguito dal Fraticelli, ritenne trattarsi di un dirupo che sovrasta il cerchio successivo e ne costituisce la via di accesso.
L'esegesi secolare ha quindi elaborato, a non tener conto delle spiegazioni metaforico-allegorizzanti da Benvenuto al Landino, una serie d'interpretazioni schematicamente riconducibili a sei tipi. La ruina è intesa: a) come dirupo lungo il quale le anime precipitano nel secondo cerchio; b) il rapinoso vorticare degli spiriti oppure la bufera stessa; c) ripa dell'Inferno; d) scoscendimento causato dal terremoto; e) foce da cui s'immette il vento nel cerchio; f) dirupo che sovrasta il terzo cerchio.
Gl'interpreti dell'ultimo Ottocento e del Novecento hanno accolto prevalentemente le spiegazioni d) ed e). Ma è la prima che ha avuto i maggiori consensi, dal Fornaciari (in " Bull. " I [1893-1894] 59; La ruina di D., in Studj su D., Firenze 1901) allo Scartazzini, al Torraca, al Busnelli (La ruina del secondo cerchio e Francesca da Rimini, in Miscellanea dantesca pubblicata a cura del Comitato Cattolico Padovano, Padova 1922), al Pietrobono, Ignudi, Porena, Montanari, Sapegno, Malagoli, Chimenz, Fallani, Singleton (The vistas in Retrospect, in Atti del Congresso Internazionale di Studi danteschi, I, Firenze 1965, 288-296), sia pure con sfumature e argomentazioni diverse. Autorevoli sostenitori ha avuto anche l'interpretazione e), accolta da Scartazzini-Vandelli, Parodi (in " Bull. " XXIII [1916] 13-14), Casini-Barbi, Rossi, Grabher, Bosco (D.A., Inferno, Torino 1958), Garboli. Né sono mancate posizioni, per così dire, eclettiche, che alla posizione d) uniscono organicamente, con qualche aggiunta e aggiustamento, diversi elementi, e in specie quelli propri della posizione a). Espressione emblematica di siffatta linea ci sembra la formulazione del Sapegno: " questo giustifica l'opinione di chi pensa che Dante qui alluda piuttosto a uno di quei luoghi franosi, per cui egli scende talora da un cerchio all'altro, prodotti... dal terremoto che si avverò al momento della morte di Gesù... Se si ammette che per una siffatta ruina le anime dei lussuriosi fossero state volte giù dopo la sentenza di Minosse, diventa chiaro l'acuirsi in quel punto della loro disperazione ". È però una soluzione condizionata dalla validità dell'interpretazione a), che, come vedremo, non ha molto fondamento. Al contrario, che per la ruina possano essere scesi D. e Virgilio è un elemento che, per quanto ipotetico o sottinteso, può ritenersi acquisibile.
Da tener presente la proposta di L. Cassata, il quale, recuperando l'interpretazione del Boccaccio, che egli vuole a ragione rigorosamente distinta da quella del Vellutello, propone d'intendere ruina come l'" effetto " della bufera sulle anime dei lussuriosi, " il loro disordinato, convulso ruinare " (Tre " cruces " dantesche, in " Studi d. " XLVIII [1971] 5-14). Gli atti di disperazione si verificherebbero pertanto nel momento in cui i dannati giungono nel cerchio e prendono conoscenza del tipo di pena che li attende.
Difficoltà insormontabili, a nostro avviso, sono legate alle interpretazioni c), f), ma anche a) ed e). La prima non trova sufficiente conferma né nei dati descrittivi offerti da D. né nel suo uso del termine stesso ruina; la seconda non spiega perché le anime debbano essere così lacerantemente tormentate dalla vista del passaggio al cerchio seguente, in cui non possono assolutamente temere di venire sprofondate (per questi argomenti, cfr. L.G. Blanc, Saggio di una interpretazione filologica di parecchi passi oscuri e controversi della D.C., traduz. ital. Trieste 1865, 61); la terza non tiene conto del fatto che le anime precipitate nel cerchio prima della passione di Cristo e quindi prima che avvenisse lo scoscendimento causato dal terremoto non possono, evidentemente, esser giunte nel cerchio per quel dirupo e tuttavia ugualmente sono esasperate dalla sua vista; la quarta non sfugge all'obiezione mossa già dal Pietrobono, che notava come l'esistenza di un luogo d'immissione del vento, implicando che questo debba perdere di vigore via via che soffi più lontano dallo sbocco, non si concilia con la nozione, in forte rilievo nei vv. 44-45, dell'immutabilità della pena.
Non mancano obiezioni all'interpretazione d) (per cui v. gli scritti citati di Fornaciari, Cassata, Colagrosso, Parodi). Si fondano sul valore semantico di giungon, che non potrebbe significare azione iterata; sul problema del perché la vista della ruina debba provocare le strida, il compianto, il lamento e le bestemmie proprio dei lussuriosi e non anche degli altri dannati, che pure vedono il dirupo; sul fatto che D. sembra riferirsi, dicendo la ruina, a cosa ben nota al lettore, mentre, quando in seguito parlerà della ruina custodita dal Minotauro, riterrà opportuno chiarirne natura e origine. La difficoltà di ordine linguistico in verità non ci sembra decisiva, ché, a non dir altro, la connotazione iterativa è implicita nel contesto, che appunto descrive un mondo la cui natura è proprio la ripetitività, l'eterna ripetitività delle forme di esistenza. La seconda difficoltà si risolve se si pensa all'esigenza, emergente per la prima volta nel V canto, di caratterizzare nei tratti salienti l'atmosfera infernale, la disperazione per l'eternità di pena e il suo acuirsi per ogni fatto od oggetto che emblematizzi la potenza e l'amore divini. Ma si può anche accogliere, salva qualche riserva, la spiegazione del Singleton, che vede nel comportamento dei lussuriosi dinanzi al dirupo il segno dell'angoscia e del rimorso al ricordo della passione di Cristo, di un atto d'amore cioè (ben diverso da quel che fu il loro modo di realizzare il fondamentale impulso ad amare), che riaprì all'uomo la via della salvezza. Quanto al terzo punto, si può osservare che è proprio del narrare biblico, il quale è modello a D. ben presente, il chiarimento progressivo di certi dati offerti alla meditazione del lettore e che questa tecnica, nella Commedia assai più frequente di quanto non si sia rilevato (Singleton), offre anche notevoli possibilità di realizzazioni espressive nell'ordine degli effetti di sospensione, attesa, sorpresa, avvertimento d'ignoto, di mistero, di trascendenza. Del resto, e l'osservazione risale al De Sanctis (Storia della letteratura italiana, I, Torino 1958, 212), nei primi canti dell'Inferno i procedimenti descrittivi, specie degli aspetti topografici, si caratterizzano per una certa indefinitezza.
Indifendibile, al contrario, anche ammessa una differenza tra il Boccaccio e il Vellutello, ci sembra l'interpretazione b). Poiché soggetto sottinteso della terzina 34-36 sono quegli spirti che nella terzina precedente sono descritti in preda alla bufera, è più logico pensare che l'atto del ‛ giungere ' appartenga ad anime che già vivono l'attualità del martirio e non ad anime appena giudicate e non ancora soggette alla pena. Altrimenti avremmo un procedimento descrittivo difficilmente ammissibile, tenuto conto della tecnica del racconto in D., poiché si avrebbe una successione di scene a rapporto temporale invertito rispetto all'ordine logico: dalla pena in essere all'attesa della pena. E poi la terzina in questione, nell'ipotesi b), sarebbe dotata, se ci è concesso l'uso di una certa terminologia, di un ben modesto potenziale d'informazione, dovendosi riconoscere che il suo messaggio risulterebbe ridondante, dopo quanto detto nel c. III (vv. 100-105) della disperazione delle anime dinanzi alla realtà dell'eterna dannazione.
Altrove, in un campo di suggestioni morali, ma conservando significato proprio, il vocabolo ridica " luoghi aspri e scoscesi ", dove si cammina con difficoltà, o, ancor meglio, dove si perde la giusta direzione: un altro... per suo difetto, lo cammino che altri sanza scorta ha saputo tenere, questo scorto erra, e tortisce per li pruni e per le ruine (Cv IV VII 7); per il testo di questo passo v. F. Ageno, in " Studi d. " XLVIII (1971) 131.
In sede traslata la notazione di " caduta " ha una connotazione di ordine morale: licet in superficie quidam consideretur ascensus, ex quo limitata virtutis linea praevaricatur, bonae rationi non ascensus, sed per altera declivia ruina constabit (VE II VII 2); trapassa in quella di " morte cruda ": Ancisa t'hai per non perder Lavina; / or m'hai perduta! Io son essa che lutto, / matre, a la tua pria ch'a l'altrui ruina (Pg XVII 39): " io piango prima la tua caduta che la mia " (Ottimo); o in quella più intensa di " strage ": la ruina e 'l crudo scempio / che fé Tamiri (Pg XXX 55), dove si allude alla " stragem et caedem magnam exercitus " (Benvenuto) compiuta dalla regina scita Tamiri ai danni dei Persiani di Ciro per vendicare la morte del figlio (cfr. Orosio Hist. II VII 6).
Metaforicamente, per bocca di D., accenna al decadimento etico-sociale di Firenze, il loco dove il poeta fu a viver posto, che di giorno in giorno più di ben si spolpa, / e a trista ruina par disposto (Pg XXIV 81; la stessa connotazione semantica ha il termine latino in Ep XI 1).
Opposto ad ‛ arte ' vuol designare cosa fatta senz'ordine e senza giusta ragione, come spiega il Buti: Se ciò non fosse [se cioè la virtù dei cieli non fosse indirizzata a proveduto fine], il ciel che tu cammine / producerebbe sì li suoi effetti, / che non sarebbero arti, ma ruine (Pd VIII 108).