Khomeini, Ruhollah Musawi
Politico ed esponente del clero sciita iraniano (Khomein 1902-Teheran 1989). Formatosi nei principali collegi religiosi sciiti iraniani, si distinse come avversario dei provvedimenti laicisti dello scià Reza Pahlavi e poi delle riforme analoghe promosse dal successore di questi, Mohammad Reza nel 1963, fino a essere costretto all’esilio, prima in Turchia, poi in Iraq. Alla fine degli anni Sessanta, K. divenne uno dei grandi ayatollah (marja‛ al-taqlid, «fonte d’imitazione») dello sciismo duodecimano. Dall’esilio, continuò a esercitare grande influenza sull’opposizione religiosa iraniana, denunziando la politica filoccidentale dello scià ed elaborando un progetto politico che avrebbe permesso l’istituzione di uno Stato teocratico sciita (➔ ). Nel 1978 fu costretto a lasciare l’Iraq e a stabilirsi in Francia; richiamato in Iran sulla scia del successo della Rivoluzione del 1979, fece approvare una Costituzione d’impianto teocratico, che affidava la guida della nuova Repubblica alle alte gerarchie del clero sciita e a sé stesso la guida suprema dello Stato. In questa veste, K. represse duramente l’opposizione laica e la dissidenza religiosa, esercitando un ampio controllo sulla vita politica, culturale e istituzionale del Paese e imponendo il suo volere in tutte le principali decisioni politiche; allo stesso tempo, intraprese un’attiva politica di esportazione della rivoluzione islamica, aiutando o incoraggiando esperienze simili in tutto il mondo islamico. Nel 1980, S. Husain attaccava l’Iran per arginare la propaganda sciita in Iraq e trarre vantaggio dalla crisi iraniana, dando inizio a un conflitto che si concluse nel 1988, con la mediazione dell’ONU, e che l’Iran non perse grazie alla mobilitazione popolare incitata dallo stesso K. in chiave nazionalistica. Già prossimo alla morte, K. lanciò, nel 1989, un’ultima sfida al mondo occidentale pronunziando una fatwa che autorizzava l’assassinio dello scrittore indiano S. Rushdie, reo di blasfemia.