RUGGIERO I conte di Sicilia
Gli stessi bisogni e impulsi che avevano spinto nell'Italia meridionale tanti cavalieri normanni agirono anche sull'animo del più giovane figlio di Tancredi d'Altavilla, Ruggiero: egli giunse in Puglia quando il fratello Roberto Guiscardo, col farsene riconoscere conte a danno dei nipoti, aveva decisamente assunto il comando della guerra ingaggiata dai Normanni contro i Bizantini (1057). R. fu mandato sul fronte calabrese, ove rivelò tale ardore d'animo, fierezza di carattere ed eroismo guerriero da convincere presto il Guiscardo ch'egli, capitano eccellente, difficilmente si sarebbe limitato a essere mero strumento dei suoi grandiosi disegni. Il che gli mostrò non una volta soltanto, quando cioè gli si ribellò con le armi in pugno e lo indusse a scendere a patti, l'ultimo dei quali stabiliva che metà della Calabria sarebbe stato effettivo possesso di R. (1062). Suo primo titolo di gloria era stata difatti la liberazione di questa regione dall'inviso dominio bizantino, liberazione coronata con l'acquisto di Reggio e di Squillace nel 1059, dopo una campagna in cui l'indigenza dei primissimi tempi lo aveva costretto a ruberie brigantesche. Seguì la guerra per cui fu infranta la signoria dei musulmani in Sicilia. Imposta ai Normanni da gravi esigenze politiche, strategiche ed economiche, considerata come una crociata dal ridesto sentimento religioso del secolo, essa fu, per antonomasia, l'impresa di R. Non che vi restasse del tutto estraneo il Guiscardo, a cui il papato aveva già riconosciuto l'alta sovranità sull'isola ancora soggetta ai musulmani. Assorbito dalla guerra in Puglia, egli si trovò al fianco di R. solo nei primissimi scontri in Val Demone e, dieci anni dopo, nel 1071, all'assedio di Palermo. Fu all'indomani della resa di questa città che, a riconoscimento dei sacrifizî incontrati, a premio dei successi conseguiti, a sprone per l'ulteriore conquista, egli concesse a R. l'isola, riserbando per sé, con gli accennati diritti sovrani, la metà di Palermo e di Messina. Sennonché ci vollero altri vent'anni perché la sottomissione della Sicilia potesse dirsi compiuta. Prima ancora della caduta di Palermo, le due battaglie di Cerami (1063) e di Misilmeri (1068), in cui R. aveva con forze inferiori sbaragliato i nemici, avevano più che altro aperto delle brecce all'avanzata normanna nell'interno dell'isola. Ma poi i musulmani trovarono validi aiuti presso i loro correligionarî d'Africa; con imboscate e tradimenti ripresero posizioni perdute o tentarono resistenze accanite; trassero profitto dalle assenze di R., chiamato nei suoi possessi calabresi o in aiuto del Guiscardo, guerreggiante sulla terraferma. Contro tutto e contro tutti trionfò l'ardimento, la strategia, la chiaroveggenza del conte di Sicilia: le sue fatiche coronava la resa di Noto, ultimo baluardo musulmano nell'isola, nel 1091. Qualche mese prima, anche Malta e Gozo, in seguito a una fortunata spedizione, s'erano impegnate a riconoscerne la sovranità col pagargli tributo.
Prode soldato in guerra, R. fu altresì un abile politico. Le imprese avventurose, così care alla sua razza, non lo allettarono troppo: nel 1085, p. es., egli declinò l'offerta della Tunisia fattagli dai Pisani, che s'erano proposti di conquistarla. Sennonché, consapevole della propria forza e intelligenza, egli non tollerò eccessivi legami di sudditanza né limiti alla sua autorità. A lui che, alla morte del Guiscardo, era il più potente signore dei dominî normanni in Italia, ricorreva, nei suoi continui bisogni, per aiuti e consiglio il nipote Roberto, duca di Puglia; ma egli non lo soccorse se non a prezzo di quei territorî che il Guiscardo si era riserbato in Calabria e in Sicilia, onde un accrescimento, anche in sede teorica, della sua sovranità su tali paesi. Restauratore della fede cattolica in Sicilia e del rito latino in Calabria, destinò nelle diocesi siciliane, ch'egli aveva ricostituite senza la debita autorizzazione pontificia, vescovi di sua fiducia; e fu pago soltanto quando Urbano II, cedendo a un suo atto di energia contro un'anteriore designazione pontificia, conferì a lui l'"apostolica legazia" in Sicilia (1099). Pur tuttavia, dovendo organizzare uno stato nel quale varie erano le stirpi, le lingue, le leggi e le confessioni religiose, R. s'ispirò a una tolleranza ignota ai suoi tempi; e così fu alieno da radicali innovazioni nella struttura amministrativa dei paesi sottomessi, né disdegnò la collaborazione degli uomini esperti che vi trovava; sol che richiese da tutti, dai nuovi sudditi come dai cavalieri normanni che lo avevano aiutato nelle sue imprese, fedeltà e disciplina. Alle sue direttive di governo si attenne il geniale Ruggiero II, unico figlio maschio restatogli e che gli era nato dalla terza moglie, Adelaide, della potente casa Aleramica. Le due precedenti consorti, Giuditta di Évreux ed Eremburga di Mortain, lo avevano reso padre di parecchie figlie, alcune delle quali vennero richieste in moglie da cospicui principi, poiché la fama della gloria e della potenza del primo conte di Sicilia aveva valicato i confini dell'isola. Morì a Mileto, sua dimora preferita, il 22 giugno 1101.
Bibl.: Una biografia ufficiale di Ruggiero può considerasri il De rebus gestis Rogerii comitis, che Goffredo Malaterra scrisse per suo diretto incarico (v. in Rer. Ital. Script. del Muratori, ed. Pontieri). Per la bibliografia cfr. M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, III, Firenze 1872; G. Caspar, Die Gründungsurkunden der sicilischen Bistümer und die Kirchenpolitik Graf Rogers, I (1082-1098), Innsbruck 1902; id., Die Legatengewalt der normannisch-sicilischen Herrscher im XII. Jahrhundert, in Quellen und Forsch. aus italien. Archiven und Biblioth., VI (1904); F. Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicile, voll. 2, Parigi 1907.