MASSA, Rufino
– Nacque a Mentone, nel Principato di Monaco, il 4 sett. 1742 da Giuseppe Antonio e da Maria Lucrezia Barriera.
In famiglia vi era una radicata tradizione per le professioni legali: compiuti i primi studi a Mentone, a 17 anni il M. si trasferì ad Avignone, enclave dello Stato della Chiesa, per studiare giurisprudenza. Conseguita nel 1767 la laurea dottorale in utroque iure, ad Avignone si fermò alcuni anni per esercitare la professione di avvocato, che continuò quando fece ritorno nel Principato di Monaco, dove il 20 nov. 1770 il principe Onorato (III) Grimaldi lo nominò sostituto avvocato generale patrimoniale fiscale. Il 15 ott. 1772 il M. divenne avvocato generale patrimoniale fiscale, carica che ricoprì fino alla fine del 1775, quando fu nominato podestà e giudice ordinario della città e fortezza di Monaco, la più alta magistratura del piccolo Stato. Non cessò, tuttavia, di esercitare l’avvocatura, avendo come clienti importanti ditte di Oneglia, Genova, Nizza e Livorno. Nel 1782, tre anni dopo aver concorso ed essere stato escluso per non aver raggiunto l’età di quarant’anni prescritta per tale incarico, fu nominato giudice della rota criminale di Genova insieme con B. Valdrighi.
Entrato in carica il 14 febbr. 1783, il M. si occupò specialmente, durante il suo mandato, della repressione del banditismo. Nel 1783-84 pubblicò a Monaco una edizione commentata del trattato di C. Beccaria Dei delitti e delle pene, in due tomi.
Nelle sue annotazioni, ispirate al pensiero di J.-J. Rousseau e G. Bonnot de Mably, si rivela non soltanto esperto avvocato e magistrato, ma anche profondo studioso dei principî del diritto. Il M., già nella prefazione, esprime tutta l’ammirazione che nutre per l’opera di Beccaria, definita un «monumento eretto all’umanità» ma, criticando l’intenzione dell’autore di scrivere un’opera diretta a pochi, esprime la sua ammirazione per la democrazia diretta degli antichi. Valuta con scetticismo il valore morale e politico di scienze e arti, esprimendo il suo sdegno per le ingiustizie presenti nella società moderna, molto lontana dagli ideali di uguaglianza e libertà. Al contrario di Beccaria, il M. è convinto che il commercio non sia il frutto delle conquiste delle nuove teorie filosofiche, ma della corruzione dei costumi, che avanza con la moltiplicazione dei bisogni. Di conseguenza, la lotta per la produzione che si è accesa fra le nazioni, è accompagnata dalle guerre e non da una legittima concorrenza. Commercio e ricchezze potrebbero costituire non la potenza di una nazione, ma la sua fine, perché fomentatori di lusso e decadenza fisica e morale; allo stesso modo il benessere, dividendo i cittadini in ricchi e poveri, favorisce dispotismo e differenze sociali. Il M. vagheggia il ritorno all’antico modello di Sparta e alle leggi di Licurgo, in cui la felicità di una nazione non era costruita su arti e scienze, ma su virtù e amor di patria. Con la proposta di eliminare l’indigenza per abbassare il numero dei delitti e di creare un popolo di proprietari per evitare le rivolte, nel M. l’utopia egualitaria finisce per trasformarsi in progetto di riforma democratica.
A questo primo lavoro seguì nel 1785 il trattato Dell’abuso de’ litiggi (Genova), in cui, approfondendo le tesi di riforma politica e sociale, il M. avanzava un’ipotesi di riforma radicale del diritto civile.
La prima parte del libro è costituita dalla polemica contro la proprietà privata, per i mali e le lotte che provoca nella società. Sostituire la proprietà collettiva a quella privata per raggiungere la sicurezza, l’armonia e l’uguaglianza fra i cittadini, per il M. porterebbe alla perfetta forma di governo democratico. Rendendosi conto dell’impossibilità di realizzare immediatamente la sua utopia, il M. propone un’azione graduale, suggerendo di riesaminare annualmente le leggi per adattarle alle nuove necessità. A suo parere gli Stati devono educare i cittadini a disprezzare il lusso.
L’8 luglio 1785 il M. fu eletto podestà di Lucca, ove giunse il 13 ottobre. Nel 1787 gli fu richiesto di presentare un progetto per una nuova legislazione penale avente come scopo principale la prevenzione dei delitti.
A Lucca il M. ebbe numerosi contrasti per le sue idee riformiste, tanto che egli paragonò la città a un grande convento, dominato da devoti e bigotti, dove si era sorvegliati a vista, con la conseguente mancanza di libertà e felicità nei cittadini.
Attraverso successive conferme l’incarico fu prorogato fino al dicembre 1791, ma in ottobre, avendo ottenuto in anticipo il congedo, si recò a Mentone. Nel 1792 le truppe francesi entrarono a Monaco e nel febbraio 1793 il piccolo Principato fu annesso alla Francia con il nuovo nome di Port-Hercule. In febbraio il M. fu eletto sindaco di Mentone e capeggiò il movimento che nella sua città tentava di sottrarsi all’autorità della Convenzione monegasca, che lo accusò di abuso di potere, ribellione e disubbidienza. Il M. riuscì però a consolidare la sua posizione politica, tanto da essere eletto alla Convenzione di Parigi, e in tale sede protestò contro i giacobini e si schierò in favore dei girondini, finendo per essere arrestato il 4 ott. 1793. Si difese ricordando il suo passato di magistrato e la sua produzione di giurista, ma restò in carcere 14 mesi, dapprima a La Force e poi alle Bénédictines angloises, ottenendo la scarcerazione e la reintegrazione a deputato solo dopo la caduta di M. Robespierre, nell’ottobre del 1794. L’8 febbr. 1795 entrò a far parte del comitato di legislazione della Convenzione, e dopo lo scioglimento di questa fu eletto nel Consiglio dei cinquecento, nel quale sedette fino al 20 maggio 1798.
Qui prese a cuore la difesa degli interessi dell’Italia, sostenendo la necessità della creazione di una repubblica lombarda e di una repubblica italiana, e fu nominato commissario del governo francese a Roma, carica della quale non prese mai possesso. Divenuto un uomo politico influente nel Dipartimento delle Alpi Marittime, si fece notare per il suo anticlericalismo, tanto da essere chiamato Levacroci.
Lasciò definitivamente Parigi nel 1803, relegato ai margini della vita politica per le sue convinzioni repubblicane. Nell’Institut de France, nel quale era stato accolto come socio nel luglio 1800, il M. lesse la dissertazione Sur la simplicité des lois, in cui si richiamava nuovamente alle idee di Beccaria.
Nell’agosto del 1824 ribadì ancora le sue idee nello scritto Della legislazione criminale, pubblicato nell’Antologia di Firenze (vol. 15, n. 44, pp. 117-159).
Qui il M. riaffermava con forza il concetto dell’uguaglianza degli uomini di fronte alla legge come un diritto naturale sacro, continuando ad apprezzare l’idea della proprietà collettiva e auspicando la scomparsa di celibi e proletari, in quanto individui socialmente pericolosi. Riconosceva che negli ordini religiosi, seppure per fini diversi, si era realizzato l’ideale di armonia e proprietà comune. Lo scritto fu fortemente criticato da G. Romagnosi in un articolo apparso nel 1825 nella Biblioteca italiana di Milano (giugno, vol. 38, pp. 289-305; luglio, vol. 39, pp. 40 s.).
Il M. morì a Nizza il 28 ott. 1829.
Fonti e Bibl.: Nizza, Archives départementales des Alpes-Maritimes, Menton, État civil, Baptêmes 1731-1781, p. 67; S. Carcassi, In che consiste la bontà relativa ed assoluta delle leggi?, Genova 1797, p. 7; J. Combet, La révolution dans le comté de Nice et la Principauté de Monaco (1792-1800), Paris 1825, passim; G.D. Romagnosi, Genesi del diritto penale, Milano 1857, pp. 772-793; A. Tuetey, Répertoire général des sources manuscrites de l’histoire de Paris pendant la Révolution française, VIII, Paris 1908, pp. 592, 615, 618; XI, ibid. 1910, pp. 39 s.; A. Kuscinski, Dictionnaire des Conventionnels, Paris 1916, p. 439; F. Venturi, Un girondino italo-francese: R. M., in Misc. di storia ligure, I (1958), pp. 333-382; Id., R. M., in Illuministi italiani, VII, Riformatori delle antiche repubbliche, dei ducati, dello Stato pontificio e delle isole, a cura di G. Giarrizzo - G. Torcellan - F. Venturi, Milano-Napoli 1965, pp. 393-404 (con elenco di fonti archivistiche); F. Venturi, Utopia e riforma nell’illuminismo, Torino 1970, p. 121; F. Diaz, Per una storia illuministica, Napoli 1973, pp. 117 s.