Stammler, Rudolf
Filosofo tedesco del diritto (Alsfeld, Assia, 1856 - Wernigerode, Sassonia, 1938). Conseguita la libera docenza in diritto romano presso l’univ. di Lipsia nel 1880, fu prof. straordinario a Marburgo (1882-84) e quindi ordinario a Halle (dal 1885) e a Berlino (dal 1916). Fondatore (1913) della Zeitschrift für Rechtsphilosophie in Lehre und Praxis, S. fu personalità di primo piano nel dibattito filosofico-giuridico dei primi decenni del Novecento. Formatosi alla scuola del neokantismo di Marburgo, S. si propose infatti il compito di far valere anche nell’ambito della comprensione del diritto la tendenza a ritornare a Kant già manifestatasi con chiarezza nella filosofia tedesca della seconda metà del sec. 19°. A tale scopo egli concepì il disegno di una dottrina che vedeva nella moralità il compimento ultimo del diritto e che aspirava a indicare in ogni forma di diritto positivo l’immanenza di un «diritto giusto» (Die Lehre von dem richtigen Rechte, 1902). Questo «diritto giusto», tuttavia, non fu teorizzato da S. come una manifestazione del diritto naturale, ma come lo stesso diritto positivo, che, in quanto «tentativo di costrizione al giusto», è coincidente con l’idea di una «comunità di uomini liberi». In tale prospettiva S. ritenne di potersi richiamare in maniera esplicita alla terminologia kantiana, definendo il diritto come la «forma» della vita sociale, rispetto alla quale la funzione di «materia» veniva a essere assunta dall’economia, intesa nel senso più ampio come lo sforzo dell’uomo per soddisfare i propri bisogni. Attribuito così al diritto il ruolo di vera e propria «condizione logica della scienza sociale», S. poteva sviluppare nella sua opera più famosa (Wirtschaft und Recht nach der materialistichen Geschichtsauffassung, 1896) una dottrina tesa non solo a rivendicare per il fatto giuridico il valore di «elemento fondamentale per la comprensione della storia sociale nella sua totalità e unità», ma anche a dimostrare nel concreto la possibilità di inverare, superandolo, il punto di vista marxista, giudicato angustamente economicistico e perciò risolto (altri, tra i quali De Ruggiero, avrebbero poi detto «dissolto») in una visione etica, e dunque idealistico-teleologica, della vita sociale. La presa di posizione stammleriana nei confronti del marxismo era destinata tuttavia a suscitare vivaci discussioni, alle quali il contributo più significativo doveva venire da tre pensatori di diverso orientamento, la cui riflessione avrebbe esercitato notevole influenza sull’ulteriore corso della filosofia europea del sec. 20°. Il primo di essi, M. Adler, noto esponente dell’austromarxismo, nello scendere in polemica con S. intese rivendicare, contro il carattere esclusivamente teleologico da questo attribuito alla vita sociale, una concezione che nella socialità vedeva un dato di fatto oggettivo e necessario, mai riducibile pertanto a quella dimensione soggettiva entro la quale lo stesso S. sembrava volerla rinchiudere. La critica di Croce si appuntò invece, da un lato, sull’interpretazione stammleriana del marxismo come teoria unitaria e scienza complessiva del fatto sociale, dall’altro, sul dualismo implicito nel tentativo di attribuire al diritto la funzione di «forma» della vita sociale: dualismo che, secondo Croce, finiva con il riportare la concezione di S. ‒ e in partic. il suo «diritto giusto» ‒ nell’orbita del vecchio diritto naturale. A Weber, infine, si deve la più acuta disamina delle difficoltà metodologiche in cui la teoria stammleriana s’imbatté quando pretese di attribuire all’idea di giustizia un contenuto teoretico preciso, invece di riconoscere che essa era il risultato di un ideale sociale storicamente definito e situato; da tale errore, infatti, S. fu indotto a scambiare quello che era, nel suo pensiero, un processo logico di crescente generalizzazione con l’istituzione di categorie puramente formali, la cui pretesa di universalità poteva apparire in qualche modo credibile solo in virtù del carattere vago e astratto dell’intera organizzazione. Tra le altre opere di S. meritano di essere ricordate la Theorie der Rechtswissenschaft (1911) e l’ampia, conclusiva sintesi offerta dal Lehrbuch der Rechtsphilosophie (1922).