VENTURA, Rubino
VENTURA, Rubino. – Nacque a Finale Emilia il 23 o 25 maggio 1794 da Gamaliele e da Vittoria Massarani.
Quarto figlio di una famiglia benestante di commercianti di granaglie di origini ebraiche, il suo vero nome era Reuben o Roven, italianizzato in Rubino. Fu conosciuto come Jean-Baptiste, o più raramente come Cesare, anche se nella maggior parte dei casi si firmava semplicemente Ventura.
Poche le notizie sulla sua formazione; secondo il reverendo Joseph Wolff fu educato nella stretta ortodossia e si sarebbe dedicato agli studi della storia, dei classici e delle lingue. Nell’ottobre del 1813 fu ammesso alla leva dell’anno 1815 nel corpo scelto dei veliti reali, ma si arruolò come volontario nel reggimento dei dragoni della regina nel gennaio dell’anno successivo, solo tre mesi prima dello scioglimento dell’armata stessa. Tornato a Finale, finì sotto la sorveglianza della polizia «per massime esternate contro il presente sistema» (Balboni, 2019, p. 42) e per essersi scontrato con le guardie urbane. Dopo essere stato arrestato e sottoposto al coprifuoco, nel gennaio del 1817 chiese il passaporto per l’estero e lasciò il Paese.
Notizie contrastanti riguardano gli anni successivi; si sarebbe recato a Venezia e quindi a Costantinopoli e avrebbe preso servizio nell’esercito turco o in quello egiziano, prima di venire reclutato da alcuni emissari persiani. Nel 1820-21 fu impiegato dal principe Abbas Mirza come istruttore delle truppe al servizio dello shāh. In quell’occasione conobbe Jean-François Allard, un ex ufficiale dell’Impero napoleonico. Nel settembre del 1821 in sua compagnia lasciò Yazd, per giungere attraverso l’Afghanistan a Lahore nel marzo del 1822. Secondo alcuni i due avevano con loro molte monete d’oro e della servitù (Grey, 1929, p. 94), secondo altri sarebbero stati costretti a chiedere l’elemosina nei mercati di Kabul e Peshawar (Lawrence, 1970, I, pp. 42 s.).
In questi anni Ventura elaborò un’identità fittizia: sostenne di aver prestato servizio come ufficiale napoleonico a Wagram, a Lipsia, nella campagna di Russia e perfino a Waterloo, oppure tra le guardie del principe Eugenio; inoltre si spacciò per francese e cattolico. Se Victor Jacquemont sostenne che «nelle vicissitudini dell’Italia, era stato cittadino francese di fatto per qualche tempo, come lo era di cuore» (1834, II, p. 205), è ben più difficile spiegare come arrivasse a dichiarare perfino di essere il prozio di un monaco domenicano, segretario privato di Pio IX (Mackenzie, 1853, II, p. 170), ma non ci sono testimonianze sulla sua conversione. La fama di Napoleone doveva apparire come un buon biglietto da visita in Oriente e un’identità francese e cristiana era certamente rassicurante; di fatto Ventura fece sua una parte delle esperienze di Allard. A Lahore i due si presentarono come esperti dell’arte della guerra «acquisita come ufficiali superiori sotto gli ordini diretti del Grande Napoleone Bonaparte» (Prinsep, 1834, p. 132, lettera di Ventura e Allard a Ranjit Singh, 1° aprile 1822). Ventura non era solo un avventuriero e un mercenario, ma anche un soldato, o almeno uno dei sostenitori del generale francese nella penisola, costretto con la Restaurazione a prendere la via dell’esilio. La sua figura getta dunque luce su dei percorsi dell’esilio risorgimentale meno battuti.
In quegli anni il Punjab era governato dal maharaja Ranjit Singh, che fin dal 1801 si era impegnato nella creazione di uno Stato sikh unitario e militarista. Dopo alcune esitazioni sulla loro provenienza, nel maggio Ranjit Singh assunse Ventura e Allard con il compito di istruire le sue truppe ai metodi europei di esercizio e di manovra. Ventura si occupò in particolare della brigata reale o Fauj-i- Khās, conosciuta anche come legione francese. Composta da soldati di diverse confessioni religiose, era formata di cinque reggimenti di fanteria, tre di cavalleria e un’unità di artiglieria e divenne il modello della fanteria sikh. Nel 1827 si unirono a Ventura e Allard anche Claude-Auguste Court e Paolo Avitabile. Quest’ultimo, originario di Agerola, divenne governatore di Peshawar, ma erano alcune decine i militari europei arruolati presso l’esercito del Punjab.
Ventura fu descritto come un leader militare abile e dal temperamento riservato. Il suo salario iniziale, di 500 rupie al mese, salì a 3000 nel giro di quattro anni (anche se la paga non era regolare) e fu incrementato dalla concessione di un jaghir (un territorio attribuito a titolo personale e provvisorio come salario, che generalmente implica poteri fiscali e amministrativi). Nel 1836 ottenne il titolo di generale, ma alle proteste perché alcuni militari da lui addestrati avevano riconosciuto lo stesso grado, gli fu promessa la nomina a gran generale. Nel 1835, per intercessione di Allard, ottenne anche la Legion d’onore.
Ventura e Allard furono trattati con rispetto e confidenza da Ranjit Singh, sebbene in guerra il comando nominale dei battaglioni spettasse ai principi sikh. Ventura partecipò alle campagne di Nowshera contro gli afghani (1823) e di Peshawar (1829) e in alcune battaglie minori. A seguito della conquista della fortezza di Kamlah, nella provincia di Mandy (o Mandi), nel dicembre del 1840 fu istituito l’ordine miliare Satah-y-Mandy, cioè Vittoria di Mandy, da cui il titolo di conte di Mandy che Ventura sfoggiò in seguito.
Ventura fu anche incaricato della riscossione dei tributi nelle regioni meridionali del Punjab e della pacificazione di alcune tribù, oltre che del controllo delle aree di frontiera. In particolare fu nominato governatore di Dera Ghazi Khan, e sotto il suo controllo la città di Multan conobbe una grande prosperità, mentre sull’incarico di qāẓī o governatore e giudice capo di Lahore – ruolo che gli avrebbe garantito il terzo posto nel Darbar (corte reale o Consiglio di governo) – le testimonianze sono contrastanti.
Per conformarsi alle usanze locali gli si impose di portare la barba, di non mangiare manzo e di non fumare, ma seguì solo le prime due prescrizioni. Oltre che fungere da quartier generale delle truppe, la casa di Ventura a Lahore, nei pressi della tomba di Anarkali, ospitò diversi visitatori provenienti dall’Europa.
Nel 1825 a Ludhiana Ventura avrebbe sposato Anna Moses, una giovane armena di discendenza mista, ma ci sono opinioni discordanti sulle origini, la religione e il nome della donna, che si considerava l’unica moglie legittima e che, nell’aprile del 1830, diede alla luce la figlia Claudine Victorine. Ebbe anche un figlio di nome Cosur che però morì bambino. Ventura continuò a tenere uno zenana (harem) anche durante il matrimonio, tanto da separarsi ben presto dalla moglie che si traferì a Ludhiana, dove continuò a vivere fino alla sua morte avvenuta il 10 luglio 1875. Non si hanno notizie precise delle altre compagne o di eventuali figli di Ventura, ma nel marzo del 1836 lo stesso Ranjit Singh intervenne per chiedergli, senza successo, di sposare una serva.
A partire dagli anni Trenta Ventura si interessò all’archeologia e alla numismatica. In particolare esplorò uno stupa nei pressi di Manikyala, nella zona di Rawalpindi. Ipotizzò che si trattasse del sito dell’antica Bucephalia, la città costruita da Alessandro Magno in onore del proprio cavallo (un suo resoconto degli scavi fu pubblicato in Asiatic researches, 1832, vol. 17, pp. 559-606). I reperti, che comprendono prevalentemente monete, ma anche anelli, token, sigilli e reliquiari, furono in seguito donati a James Prinsep e acquisiti dal British Museum nel 1847 (Londra, British Museum, Original papers, discussion related to the acquisition of the collection, 27 febbraio 1847 e ss.; la collezione è consultabile al link https:// www.britishmuseum.org/collection). In seguito ad altri ritrovamenti, alcune monete furono consegnate da Ventura alla Royal Asiatic Society di Londra nel 1838, mentre altro materiale, incrementato dalla raccolta di Allard, fu presentato da quest’ultimo al re francese ed è conservato a Parigi presso la Bibliothèque nationale de France, Département des Monnaies, Médailles et Antiques. A seguito di queste scoperte Ventura fu nominato membro onorario della Société asiatique de Paris e socio corrispondente della Royal Asiatic Society. Queste imprese di scavo, che coinvolsero anche gli altri generali europei al servizio di Ranjit Singh, forniscono interessanti riflessioni sulla relazione tra interesse archeologico e imperialismo, ma anche sulle diverse rappresentazioni dell’alterità e dell’Oriente.
Sul finire del 1837 Ventura ottenne un congedo temporaneo per tornare in Europa. Si recò a Parigi e a Londra, dove consegnò alla regina Vittoria una lettera di Ranjit Singh. Tornò nell’aprile del 1839 a Peshawar, ma la morte del sovrano sikh, nel giugno dello stesso anno, fece precipitare il Punajb in una guerra civile che si protrasse fino all’annessione britannica del marzo del 1849. Fu un susseguirsi di crisi di successione, di conflitti politici e ribellioni dei diversi signori locali. Spostandosi tra il territorio indiano sotto il controllo britannico e il Punjab, Ventura prese parte agli intrighi di corte, sostenendo Sheer Singh, nominato maharaja nel gennaio del 1841. Nella primavera del 1843 divenne consigliere del sovrano e, dopo il suo assassinio, affiancò anche il nuovo maharaja Hira Singh, prima di lasciare ogni incarico e Lahore il 9 dicembre 1843. Durante gli scontri per la successione al trono egli stesso fu attaccato da alcuni battaglioni dell’esercito sikh. Rimase a Shimla, in territorio britannico, fino al novembre del 1844, per spostarsi a Kolkata prima di partire per l’Europa (nel luglio 1845 era a Londra). L’anno successivo si trovò in Germania, Francia e Belgio, ma non si hanno informazioni precise sui suoi spostamenti. Tra il 1841 e il 1842 aveva visitato nuovamente l’Europa, frequentando il sovrano francese, che lo nominò grand’ufficiale della Legion d’onore, e inviando del denaro al Comune di Finale in occasione di una piena del Panaro.
Lasciando il Punjab, Ventura vendette tutte le sue proprietà, a parte una casa a Ludhiana (dove risiedeva la moglie) e il jaghir, che comprendeva diversi villaggi, donato da Ranjit Singh a sua figlia nel 1833. Incaricò un uomo di fiducia di amministrare i suoi possedimenti, sotto la supervisione delle autorità britanniche, in cambio di un canone annuale. Al servizio dell’esercito sikh, riuscì ad accumulare beni considerevoli, ma ne perse una parte a causa di alcune speculazioni sbagliate; nel 1848 fu dunque costretto a tornare nel continente indiano per cercare di vendere i suoi beni. In quest’occasione, mentre la seconda guerra anglo-sikh era ancora in corso, gli si chiese di assumere il comando supremo delle truppe sikh, ma di contro egli offrì ripetutamente di combattere per i britannici. Durante il suo lungo soggiorno presso il maharaja fornì all’agente britannico a Ludhiana informazioni sullo stato degli affari in Punjab; anche per questo il governo di Londra gli offrì una somma considerevole per l’acquisizione del suo jaghir (1852) e una pensione annua di 300 sterline. «I believe General Ventura have been always friendly to the British Government, in the days of his authority under Rujeet Sigh» (Londra, British Library, Mss. Eur, T213/24), dichiarò nell’agosto del 1845 il marchese Dalhousie.
Non ci sono informazioni precise sugli spostamenti di Ventura nel periodo successivo. Fino all’aprile del 1850 la sua pensione fu pagata in India; nel 1853 era a Parigi. Probabilmente tornò in India anche sul finire del 1854, o almeno ebbe in programma di tornare.
Morì il 3 aprile 1858 a Lardenne, nei pressi di Toulouse, nel castello che lui chiamò di Mandy, a seguito di una breve malattia. La stampa francese e inglese ne diede ampia notizia. Le esequie si tennero nella parrocchia di Lardenne e gli furono tributati gli onori militari da due squadroni di artiglieria a cavallo. Una cronaca del funerale sostiene che «pochi giorni prima della malattia, il generale si stava preparando a partire ancora per l’India» (Journal de Toulouse, 6 aprile 1858).
Fonti e Bibl.: Sull’arruolamento nell’Armata d’Italia: Finale Emilia, Archivio comunale (ACF), casse 210 e 211, e Archivio di Stato di Modena (ASMO), Fondo Napoleonico, Truppe Nazionali, 1814, s. 27, f. 5533; sulla sorveglianza della polizia: ACF, cass. 276 e ASMO, Archivio Austro-Estense, Governatorato di Modena, Archivio Segreto, filza X, f. 19, 50. In ACF si trova anche un manoscritto anonimo, Dossier Ventura. Sull’esperienza nel Punjab: Londra, British Library, India Office Records e Additional Manuscript, ad ind.; Château-Thierry, Musée Jean de La Fontaine, Lettera a F. Feuillet, 9 ottobre 1839; Saint-Tropez, Archivio privato, Jean-François Allard. Sul conferimento della Legion d’onore: Parigi, Archives nationales, Dossier LH/2685/67 (disponibile nel sito Léonore, ad nomen).
La biografia più completa di Ventura è M.P. Balboni, Il Generale R. V. La straordinaria vita di un ebreo del Finale al servizio del maharaja Ranjit Singh, Finale Emilia 2019. Inoltre: V. Jacquemont, Correspondance [...] pendant son voyage dans l’Inde, I-II, Bruxelles 1834, passim; H. Prinsep, Origin of the Sikh power in the Punjab and political life of Muha-Raja Runjeet Singh, Calcutta 1834, ad ind.; Cenni sul generale italiano R. V., al servizio del re di Lahore, in Annali universali di statistica, economia pubblica, storia, viaggi e commercio, 1836, vol. 50, pp. 196-199; Cenno sul generale italiano R. V., al servizio del re di Lahore, in Gazzetta privilegiata di Bologna, 6 agosto 1836, n. 94, pp. 17 s.; H.H. Wilson, Ariana Antiqua. A descriptive account of the antiquities and coins of Afghanistan, London 1841, ad ind.; Il famoso generale V. nativo di Modena rientrato dall’India in Francia, in Bollettino di notizie italiane e straniere, 1842, primo semestre, pp. 4-6; C. Baratta, Recentissime notizie su i generali Allard e V., in Museo scientifico, letterario ed artistico, V (1843), pp. 233-235; W. Barr, Journal of a march from Delhi to Peshawar and from thence to Cabul, London 1844, passim; C. Hügel, Travels in Kashmir and the Panjab, London 1845, passim; J.D. Cunningham, History of the Sikhs, London 1849, ad ind.; In the matter of David Ochterlony Dyce Sombre, a person found to be of unsound mind, London 1851 (in partic. pp. 93-98); C. Mackenzie, Life in the mission, the camp and the Zenátá or six years in India, II-III, London 1853, passim; J. Prinsep, Essays on Indian antiquities, historic, numismatic and palaeographic, I, London 1853, pp. 111, 125, 135-137; F. Servi, Uno sguardo alle Comunità israelitiche d’Italia: Finale, in Corriere israelitico, X (1871-1872), pp. 47 s.; R. Grossi, Notizie storiche e biografiche del generale R. V. finalese esposte da un suo concittadino, Finale Emilia 1882; S.M. Latif, History of the Panjáb from the remotest antiquity to the present time, Calcutta 1891, passim; L. Griffin, Rulers of India. Ranjit Singh, Oxford 1892, ad ind.; A. Gardner, Memoirs, a cura di H. Pearse, Edinburgh 1898 (in partic. pp. 304-311); C.E. Buckland, V., in Dictionary of Indian biography, London 1906, pp. 435 s.; G.W. Philipe De Rhe, Ventura, Reuben, in Inscriptions of Christian tombs or monuments in the Punjab, II, Biographical notices, Lahore 1912, pp. 359 s.; C. Grey, European adventures of Northern India, 1785 to 1849, a cura di H.L.O. Garrett, Lahore 1929 (in partic. cap. VII); B. Litt, A note on general V.’s Jahgir, in The Calcutta Review, LXXXIV (1942), pp. 249-256; H. Bullock, General V.’s family and travels, in The Indian Archives, I (1947), pp. 18-25; The Panjab in 1839-40. Selections from the Punjab Akhbars, Punjab Intelligence, a cura di G. Singh, Amritsar 1952, passim; G.L. Chopra, The Panjab as a sovereign state (1799-1839), Hoshiarpur 1960, pp. 112-114; L.S. Lal Suri, Umdat-ut-Tawarikh, III, 1-5, Chronicle of the reign of Maharaja Ranjit Singh 1831-1839, Dehli 1961, ad ind., IV, 1-3, Chronicle of the reign of Maharaja Ranjit Singh, Kanwar Nau Nihal Singh, Maharaja Sher Singh and Maharaja Dalip Singh 1839-1845, 1972, ad ind.; H.M.L. Lawrence, Adventures of an officer in the Punjab, I-II, Dehli 1970, passim; Panjab on the eve of first Sikh war. A documentary study of the political, social and economic conditions of the Panjab, a cura di H. Ram Gupta, Chandigarh 1975, ad ind.; B.J. Hasrat, Life and times of Ranjit Singh. A saga of benevolent despotism, Hoshiarpur 1977, ad ind.; F. Focherini, Italiani in Asia nel XIX secolo. Due generali e un maharaja, in Storia illustrata, aprile 1990, n. 389, pp. 52-61; J.-M. Lafont, La présence française dans le royaume Sikh du Penjab, 1822-1849, Paris 1992, ad ind.; Id., Les Indo-Grecs. Recherches archéologiques françaises dans le royaume sikh du Penjab 1822/1843, in Topoi. Orient-Occident, IV (1994), 1, pp. 9-68; Id., Maharaja Ranjit Singh the French connections, a cura di P. Singh Kapur, Amritsar 2001, passim; D.K. Verma, Foreigners at the court of maharaja Ranjit Singh, Patiala 2006, passim; From Persepolis to the Punjab. Exploring ancient Iran, Afghanistan and Pakistan, a cura di E. Errington, London 2007 (in partic. i capp. di J.-M. Lafont ed E. Errington, pp. 141-151, 211-226).