rota (ruota)
Il vocabolo, che porta spesso con sé l'idea del ‛ ruotare ', ha senso proprio nella similitudine di Pg VIII 87 là dove le stelle son più tarde, / sì come rota più presso a lo stelo: Benvenuto spiega l'immagine prendendo a esempio la r. dell'orologio: " quia ille circulus qui est vicinior axi, non videtur quasi moveri respectu ultimi qui videtur quasi volare "; e così nell'altra similitudine (If XXIII 47): Non corse mai sì tosto acqua per doccia / a volger ruota di molin terragno, ecc. Nel medesimo campo di valori propri a una rota ch'igualmente è mossa (Pd XXXIII 144) dall'amore divino D. paragona il placato ritmo del suo mondo interiore (disio e velle) al termine dell'esperienza mistica, subito dopo la folgorante rivelazione dell'ultimo mistero.
L'espressione dantesca richiama secondo i più il concetto generale di un moto uniforme: " cioè come si volge la ‛ rota ' che ‛ è mossa ' parimente, non più ratto l'una volta che l'altra " (Buti), " a dare ad intendere - precisa il Vellutello - che la sua volontà era una medesima con la volontà di Dio " (per le ascendenze filosofiche e teologiche del moto circolare, v. B. Nardi, " Sì come rota ch'igualmente è mossa ", in Nel mondo di D., Roma 1944, 337-350). Nel commento del Tommaseo si legge una nota di G. Antonelli che mira ad approfondire ancor meglio il senso della similitudine: " Ogni punto di una ruota egualmente mossa, cioè tale che giri di moto uniforme sopra invariabile asse, descrive una circonferenza medesima, senza prediligerne alcuna, quasi mostrandosi indifferente per tutte; giacché una circonferenza non è che la direzione continuamente ed egualmente variata nei moti locali. Il paragone, nella sua semplicità, è dei più profondi che abbia trovati il Poeta... ". Si tratterebbe cioè dell'armoniosa uniformità dei moti circolari compiuti dai punti di una r., che qui equivarrebbe piuttosto a " cerchio " pieno.
Il Pézard infine, richiamandosi a Is. 46, 12 e Ierem. Proph. 18, 1-6, sostiene che la r. cui D. si riferisce è il tornio da vasaio: " L'artisan façonne un calice, une écuelle ou un pot, efface l'ébauche en abaissant les doigts unis, la fait rejallir sous la forme neuve qu'il a dans l'esprit. Qui n'a pas vu de ses yeux cette simple féerie que la main de l'homme fait naître d'un peu de terre et d'eau rapides et transfigure à son gré, ne peut saisir la suggestive beauté de cette image, venne du fond des âges ".
Altrove, pur conservando in sé stessa valore proprio, riceve significazioni traslate dalla figura in cui è inserita. Così avviene delle due rote su cui si sostiene il carro... triunfale apparso a D. nel Paradiso terrestre come simbolo della Chiesa (Pg XXIX 107; e v. anche XXXII 131), sebbene i commentatori discordino nell'esegesi e intendano di volta in volta tali r. come le due Leggi, i due Testamenti (Pietro, Ottimo, Buti, Landino e molti altri: resta la proposta preferibile), o come i due popoli, ebraico e gentile (Benvenuto), o le due Chiese, greca e latina (Barelli), o la giustizia e la misericordia (Bennassutti), o i due ordini del chiericato, i claustrali e i secolari (Witte, Scartazzini nel commento lipsiense), o l'amore di Dio e quello del prossimo (Cicchitto).
A conferma di una preminente funzione allegorica, presso alla destra rota del carro (v. 121) stanno le tre virtù cardinali, presso alla sinistra (v. 130, dove il vocabolo peraltro non figura), le quattro virtù teologali (v. anche XXXII 25, 29 e 140, Pd XX 128).
Con metafora affine, altrove si parla della biga / in che la Santa Chiesa si difese / e vinse in campo la sua civil briga; di essa l'una rota (Pd XII 106) fu s. Domenico, l'altra (v. 110; anche qui il vocabolo non figura) s. Francesco.
La consueta rappresentazione della Fortuna che gira la r., con gesto indicativo della propria volubilità, è presente in If XV 95 giri Fortuna la sua rota / come le piace, e 'l villan la sua marra, dove prende spicco la forza morale del poeta, imperturbabile dinanzi al vario gioco della sorte; chiosa Benvenuto: " omnia faciant officium suum, et coelum et homines mutent vices suas, quia ego non mutabor "; l'immagine torna in Fiore XXXVIII 13 Se Fortuna m'ha tolto or mia ventura, / ella torna la rota tuttavia, ma con altro valore: ciò che la Fortuna toglie, la Fortuna stessa può restituire (v. anche XLI 10). A r. come " pietra " dell'arrotino, che girando in senso contrario al taglio di una lama l'ottunde, si rifà l'immagine (probabile modulo idiomatico) di Pg XXXI 42 quando scoppia de la propria gota / l'accusa del peccato, in nostra corte / rivolge sé contra 'l taglio la rota, che ricorda come l'ira divina si mitighi per la confessione dei propri peccati (Benvenuto e altri molti; alcuni interpreti condividono però la glossa del Lana: " la confession obtusa l'acuitade della colpa, sì come fa la roda: s'ella se volge verso 'l taglio del coltello lo disaguça e ingrossa ").
Sul prolungamento del rapporto r.-moto si pone l'equivalenza tra il vocabolo e i cieli rotanti, detti dal pellegrino che li attraversa o vi tende queste rote (Pd VI 126, XVII 81 e 136; queste ruote in IV 58; questa rota in XXI 58, con allusione al cielo di Saturno), quelle ruote (Pg XXIV 88), alte rote (Pd X 7; l'alta rota di XXII 119 risponde al cielo Stellato), superne rote (Pg VIII 18), etterne rote (Pd I 64), rote magne (Pg XIX 63, XXX 109). In Pd XIII 12 con prima rota viene designato il Primo Mobile; stellate ruote ha il senso generico di " cielo " in Pg XI 36.
La rota che Dio ‛ sempiterna ' desiderato (Pd I 76) è invece la " rotazione " delle sfere celesti (per il Buti " la cumulazione e la revoluzione di tutta la natura, non che dei cieli ") generata e resa eterna dal desiderio che esse hanno di Dio (v. anche Rime C 1).
Ancora come " rotazione " apparentemente a spirale del sole, che per i terrestri s'innalza o si abbassa rispetto all'orizzonte secondo le stagioni, in Cv III V 14 questa [la mola, cioè il sole] veggia venire montando a guisa d'una vite dintorno, tanto che compia novanta e una rota e poco più (ugualmente in V 15, e 16 [due volte]).
La distinzione fra il girare a modo di mola e a modo di r. (Cv III V 18, in integrazione) vuol ricordare come l'orbita solare per chi si trovi nella zona equatoriale-tropicale appaia disposta lungo un piano verticale all'orizzonte (la r. del carro, che forse agisce nella memoria dantesca, gira verticalmente alla terra, mentre la mola gira in senso orizzontale).
Richiamano il senso di un movimento circolare le occorrenze in cui r. qualifica la traiettoria di esseri volanti come Gerione (If XVII 98) o il falcone (v. 131); in tale ambito ‛ fare r. ' equivale a " girare in volo ": Meglio sarebbe a voi come rondine volare basso, che come nibbio altissime rote fare sopra le cose vilissime (Cv IV VI 20). Un'espressione analoga (fenno una rota di sé tutti e trei, If XVI 21) corrisponde invece a " formare un cerchio " tenendosi per le mani o per le braccia, come sembra confermare il successivo paragone (Qual sogliono i campion far nudi e unti, / avvisando lor presa e lor vantaggio, vv. 22-23) e il v. 86 Indi rupper la rota.
Figuratamente per una " corona " di anime, giranti a guisa di r. d'orologio (Pd X 145) o per i nove cerchi angelici (Pd XXVIII 47); sta per " danza in tondo " nelle espressioni ‛ andare a r. ' (Pd XIV 20: appunto " danzare in tondo ") e ‛ mettersi nella r. ' (IX 65; XXV 109).
Sull'immagine di Caronte che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote (If III 99) si riflette certo lo " stant lumina flamma " del Caronte virgiliano (Aen. VI 300; v. anche Ovidio Met. XI 368 " rubra soffusus lumina flamma "); ma per il Parodi (" Bull. " XXIII [1916] 29 n.) " si tratta di rappresentazione ovvia e solita ", anche se occorre riconoscervi, come nota F. Mazzoni (Saggio di un nuovo commento alla D.C., Firenze 1967, 434), una componente biblica: vedi per es. Apoc. 1, 14 " et oculi eius tanquam fiamma ignis "; 2, 18 " qui habet oculos tanquam flammam ignis ".
Tuttavia D. dice forse qualcosa di più rispetto ai presumibili modelli. Al colore sanguigno degli occhi (cfr. If III 109 Caron dimonio, con occhi di bragia), sembra aggiungere il suggerimento dello sguardo che si volge intorno fiammeggiando, con ricordo piuttosto di un altro luogo di Virgilio: " ardentis oculorum orbis ad moenia torsit / turbidus " (Aen. XII 670-671).
D'altro avviso i commentatori per i quali la rappresentazione dantesca ha carattere statico; il Sapegno per esempio parla di tratto stilizzato, " quasi di pittura pregiottesca ", da accostare a Vn XXXIX 4 li miei occhi pareano due cose che disiderassero pur di piangere; e spesso avvenia che per lo lungo continuare del pianto, dintorno loro si facea uno colore purpureo, lo quale suole apparire per alcuno martirio che altri riceva.
Il diminutivo ricorre unicamente in If XVII 15, a proposito di Gerione che ha il dorso, il petto e i fianchi dipinti... di nodi e di rotelle, " figure ritonde ", per il Boccaccio; " Allegoricamente significa le simulazioni che sono nell'astuzia, che sempre sono implicate e colorate " (Buti).