ROSTRO (gr. ἔμβολος; lat. rostrum)
Questo nome, per analogie di forma applicato a diversi oggetti, venne dato anche a quello sperone che si trovava sulla prora delle antiche navi da guerra e che serviva per allontanare o perforare e sventrare le navi nemiche. Tutta la parte anteriore della nave (ruota di prua, chiglia, ecc.), nella sua costruzione, veniva subordinata alla necessità di portare questa potente arma offensiva. Il rostro di bronzo non era isolato, ma spesso era accompagnato da altri due di minori dimensioni: il primo doveva produrre nella nave avversaria lo squarcio che le punte minori avrebbero poi ingrandito. Lo sperone maggiore assumeva talvolta la forma di una testa di cinghiale, mentre il gruppo dei tre speroni, veduto di profilo, aveva quasi l'aspetto di un tridente. Il rostro agiva sopra il pelo dell'acqua, ma poteva anche funzionare sott'acqua se si caricava in special modo la prua. L'uso di quest'arma non era scevro di pericoli, ché talora, incuneandosi nella nave avversaria, il rostro poteva danneggiare seriamente anche quella che lo portava. Quest'ordigno fu in uso così nella marina greca, come in quella italica. Sovente esso fu considerato un trofeo navale, e infatti, come bottino di guerra, i rostri delle navi prese agli Anziati dai Romani furono applicati al suggesto da cui parlavano gli oratori nel Comizio, e che da essi ebbe infatti il nome (v. sotto). Dei rostri sarebbero stati infissi, in tale occasione, come ricordo della vittoria, anche nella colonna di C. Menio nel Foro, e più tardi, nel 260, in seguito alla battaglia di Mile, nella colonna onoraria del console Duilio (colonna rostrata). Dei rostri ornavano anche la corona navale che si concedeva a chi per primo era saltato su una nave nemica, o si era comunque segnalato in una battaglia navale. Tale onore, raramente concesso, fu conseguito, fra gli altri, da Varrone, dopo la guerra di Pompeo contro i pirati, e da Agrippa dopo la guerra di Sicilia.
I rostri e la colonna rostrata. - Si dissero per antonomasia le tribune dello stato di Roma antica, da quando la più antica fu ornata con i rostri delle navi tolte agli Anziati nel 338 a. C.
La più antica tribuna per la promulgazione delle leggi e degli editti dei magistrati, per la presidenza, da parte di questi, delle assemblee deliberanti (comitia), sorse nell'area del Comizio innanzi alla Curia Ostilia, succedendo con forme proprie architettoniche e individualità monumentale a quella che dalla natura stessa del suolo era offerta spontaneamente, a un dipresso nel luogo medesimo o assai prossimo a questo, nel Volcanal, la rupe alla base del Capitolino, quasi piccolo contrafforte di questo, sulla quale poi sorse il tempio della Concordia.
È dubbio se tale trasformazione della tribuna naturale nella tribuna effettiva, che si chiamò dal suo ornamento rostra, avvenisse in coincidenza dell'ornamento medesimo con le spoglie trionfali della più antica battaglia navale, oppure se essa già esistesse nel suo rialto o suggesto, cui venne ad aggiungersi più tardi quell'ornamento.
La forma di questa più antica tribuna non ci è nota, per non esserne a noi pervenuto il più lieve vestigio che non sia delle posteriori ricostruzioni. Per dover essere però, come la Curia, inaugurata a guisa di templum dobbiamo figurarcela sempre quale fu in seguito, di una figura fondamentalmente quadrilatera ed orientata, limitata sui lati da una balaustra e, naturalmente, sopraelevata sul piano del Foro. Ma eccetto per ciò che riguarda l'ampiezza, in corrispondenza con i numerosi monumenti che su essa si trovavano, nulla si può dire di preciso su questa più antica tribuna, la cui raffigurazione, sebbene controversa, può forse vedersi nella moneta di Marco Lollio Palicano, tribuno della plebe nel 70 a. C. Ma l'importanza storica di essa, pur nella totale sua sparizione, supera di gran lunga, rendendola assai più insigne, la seguente, della quale ora vediamo i resti, perchè è su essa e intorno ad essa che si svolsero le più fortunose vicende della vita pubblica di Roma, dalla pubblicazione dei più antichi trattatì e delle leggi delle XII Tavole alla declamazione delle orazioni di Cicerone; dalla esposizione delle liste di proscrizione a quella macabra delle teste recise di magistrati e di cittadini vittime delle contese civili.
Monumenti ed oggetti rari sorsero o trovarono luogo su questa tribuna: i trattati e le leggi già accennate, nella loro redazione su tavole di legno o di bronzo; il primo solarium "orologio solare" esposto sui rostri su una colonna e portato in Roma da Catania da M. Valerio Messala nel 263 a. C.; le statue onorarie dei cittadini più illustri e le statue di divinità considerate quali rare opere d'arte, come ad esempio una statua di Ercole già parte della preda di guerra di Lucullo e proveniente dall'Asia, e le statue delle tre Sibille, il cui ricordo, ancor vivo nel Medioevo, darà il nome di Tria Fata al tratto del Foro tra S. Adriano e S. Martina. Fu ancora su questa tribuna che ebbe luogo l'offerta e il rifiuto della corona regia a Cesare durante la celebrazione dei Lupercali. L'orazione di Antonio innanzi al corpo trafitto del dittatore è l'ultimo sicuro episodio storico di questa tribuna, che, già simbolo e centro della repubblica, sparisce con il morire della libertà dello stato.
L'autore, e il momento della fondazione della nuova tribuna che a quella più antica succede, certamente subito dopo la morte di Cesare e secondo disposizioni già da questo date in rapporto al riordinamento del Foro e alla costruzione della nuova Curia Iulia, sono assai incerti, ma sembra che i nuovi rostri siano da riferire al triumvirato e precisamente ad Antonio in esecuzione dei progetti di Cesare; quanto al luogo esso è da riconoscere sul lato occidentale del Foro, dove per il primo li riconobbe L. Canina, pur confondendoli con la tribuna primitiva, nel noto rudere tra l'Arco di Severo e la Basilica Giulia.
Questa nuova tribuna, che effettivamente, pure spostata, sostituiva l'antica, mantenne il nome di rostra per antonomasia distinguendosi dalla tribuna situata sul lato opposto del Foro, costituita dal basamento del tempio di Cesare e ornata dei rostri delle navi di Cleopatra presi ad Azio, la quale fu designata con il nome di Rostra aedis divi Iulii. Per quanto mutata nella sua importanza politica, ai veri rostri rimase la secolare funzione di tribuna ufficiale dello stato anche durante l'impero, e notevoli furono gli eventi che vi si svolsero e del pari notevole l'assetto monumentale che ebbe e del quale ci rimangono gli avanzi.
Alle statue e agli emblemi che dai vecchi rostri erano stati ivi ricollocati, si aggiunsero statue onorarie di imperatori e personaggi varî, per tutta la durata dell'impero da Cesare a Stilicone; ma con l'aumento della magnificenza monumentale venne sempre meno la funzione politica, ridotta solo ad allocuzioni imperiali al popolo, alla investitura di re stranieri, come quella compiuta da Nerone per l'incoronazione di Tiridate re dei Parti; alla promulgazione di atti di beneficenza imperiale, quali gli alimenta puerorum e la remissione dei debiti verso il fisco, rappresentati nei ben noti plutei di età traianea; o anche la distribuzione effettiva, nei congiaria, delle elargizioni imperiali.
Un prolungamento della tribuna rivela una tardissima aggiunta fatta per rievocare, allo spirare della potenza di Roma, gli antichi fasti gloriosi: su essa furono apposti i rostri tolti in una battaglia navale vinta sui Vandali, onde quella aggiunta si disse rostra vandalica.
Nel loro complesso i ruderi del monumento presentano la forma quadrilatera su tre lati, mentre il lato settentrionale, che guarda il Tabulario, ha la forma di un emiciclo ed è costituito da una scalinata semicircolare che serviva di accesso alla piattaforma costituente la loggiaa, la tribuna propriamente detta.
Il podio di questa sul lato verso la piazza era rivestito di marmo portasanta, con cornici, similmente marmoree, e zoccolo, e reca sulle lastre i fori per l'imperniatura dei rostri di bronzo, disposti su duplice fila e tra loro alternati.
Gli estremi dell'emiciclo formanti le testate della scalinata erano costituiti da due monumenti: una colonna su zoccolo marmoreo, sul cui fusto, incisi su lastre di bronzo, si leggevano i nomi delle vie consolari e la loro lunghezza dalle porte di Roma fino al loro estremo (milliarium aureum), e l'umbilicus Urbis, un cilindro a triplice risega rivestito di marmo e forse sormontato da un ornamento di metallo, simboleggiante il centro dell'Urbe e dell'Orbe.
L'emiciclo forma il raccordo tra i due monumenti, mentre la piattaforma rettangolare costituente la tribuna vera e propria si eleva sul Foro per circa m. 3, e si stende su un'area di m. 24 × 10, abbastanza ampia per accogliere monumenti e persone secondo la raffigurazione che ne abbiamo nell'Arco di Costantino. Da questa vediamo che una balaustra marmorea, interrotta al centro, correva sul margine frontale e sui fianchi della piattaforma, ornata di statue sedute e di colonne sorreggenti statue in piedi. Alle balaustrate minori laterali si riferiscono forse i due parapetti marmorei, i plutei, con su un lato scene relative all'impero di Traiano, cui fanno da sfondo gli edifici del Foro, e sull'altro i tre animali del sacrificio (suovetaurilia).
Analogo ornamento di rostri tolti a navi nemiche ebbero alcune colonne, erette quali monumenti commemorativi di vittorie navali e dette per questo columnae rostratae.
La più antica in Roma e la più celebre, situata tra il Comizio e i Rostra Vetera, fu la Columna Duilia, eretta in onore di C. Duilio e forse sorreggente la sua statua, in ricordo della prima vittoria navale riportata nel 260 a. C. sui Cartaginesi. Altra colonna analoga sorse nel Foro, in onore di Ottaviano e di Agrippa nel 36 a. C., in memoria della vittoria navale da essi riportata in Sicilia su Sesto Pompeo.
Bibl.: L. Canina, in Atti della Pontif. Accad. di archeologia, VIII (1838); A. Nibby, Roma nell'anno MDCCCXXXVIII, II, Roma 1839, p. 154; C. Bunsen e altri, Beschreibung d. Stadt Rom, III, ii, Stoccarda-Tubinga 1838, p. 906; O. Gilbert, Gesch. und Top., Lipsia 1890, III, p. 171; Ch. Huelsen, Foro Romano, Roma 1905, p. 59 segg.; E. De Ruggiero, Il Foro Romano, Roma-Arpino 1913, p. 347 seg.; G. Lugli, Zona archeologica, I, 2ª ed., Roma 1931.