MARIN, Rosso
– Nacque probabilmente poco prima del 1350, figlio del patrizio veneziano Pietro. Abitò nella parrocchia di S. Maria del Giglio (sestiere di S. Marco).
Nel 1384 sposò Bersabè, figlia del defunto Giovanni Vidal. Come garanzia della dote di lei (1000 ducati) il M. pose la sua «domus magna a stacio», la casa di abitazione di rappresentanza, che era circondata da numerose case d’affitto che gli appartenevano; il terreno confinava con un fondo già appartenuto a suo suocero.
Da Bersabè ebbe i figli: Tommaso (che sposò Franceschina di Piero Benedetti nel 1410), Alessandro (che sposò Cecilia di Azzo Trevisan nel 1414; 1500 ducati di dote), Antonio (nato nel 1398 circa, marito di Lucrezia di Antonio Barbarigo nel 1421), Carlo (nato nel 1399 circa, sposò Cristina di Domenico Malipiero nel 1422), Paolo (nato nel 1401 circa, sposò Foscarina di Pietro Foscarini nel 1426) e Giovanni (nato verosimilmente tra 1405 e 1410, dottore in utroque a Padova nel 1435, sposò nel 1437 Isabetta di Andrea Zulian), e le figlie Lena o Elena (moglie di Moisè Grimani), Fiordelise e Polisena.
Nel corso degli anni il M. si dedicò sempre di più al servizio della Repubblica, ma cominciò la sua attività nel commercio d’Oltremare.
Le poche notizie in proposito che ci sono giunte lo dicono nell’estate e nell’autunno 1385 patron di una delle tre galee del convoglio annuale sulla rotta per la Romania, che costeggiava i territori greci sino a Costantinopoli e da lì, eventualmente, si spingeva nel Mar Nero. Nel 1391 navigò con lo stesso ruolo verso Alessandria, nel 1392 acquisì una galea per quella rotta, ma non fece probabilmente il viaggio con essa. Nel 1395 era capitano del convoglio di quattro galee dirette nelle Fiandre e in Inghilterra che, come al solito, attesero lì la primavera. Come suoi soci nel commercio sono noti nel 1392 i fratelli Giacomo e Micheletto di Francesco Surian e Giacomo di Ludovico Priuli.
In quanto patrizio il M. fece parte del Maggior Consiglio di Venezia, al compimento dei 25 anni o prima. La sua carriera negli uffici della Repubblica cominciò nel 1384, quando fu eletto per il primo semestre nella Quarantia, Consiglio con prevalente funzione giurisdizionale, che costituiva anche parte del Senato (Consiglio dei pregadi), allora il più importante organo decisionale veneziano. La stessa funzione svolse anche nel 1385 e 1386. Indicativo del suo prevalente interesse (dopo quello per il commercio) per l’amministrazione della giustizia è la sua elezione nel 1384 a giudice del Mobile. Tre anni più tardi fu uno dei consoli dei mercanti; nel 1394 ricoprì nuovamente questo incarico. Già nel luglio 1388 era entrato nel Collegio governante come savio agli Ordini; dopo due mesi era di nuovo nella Quarantia. Quattro anni più tardi fu di nuovo savio agli Ordini.
Dal 1397 la serie dei pubblici uffici è quasi ininterrotta. Il M. fu in quell’anno membro del Consiglio dei dieci, l’influente consesso per gli affari interni, nel 1398 ufficiale alle Rason Vecchie e nel 1399 uno dei «provededori di Comun», che si dovevano soprattutto occupare dei rifornimenti alimentari di Venezia. Un anno dopo il Maggior Consiglio lo elesse nuovamente nel Collegio, ora con il grado più elevato di consigliere dogale (consiliarius Venetiarum), quindi membro del Minor Consiglio.
Nel 1400 ebbe il primo incarico fuori città (regimen): per due anni fu castellano nelle colonie veneziane nel Peloponneso, per la metà del tempo a Corone e a Modone. Dopo il ritorno in patria nel 1403 fu «provededor di Comun» e nel 1404 consigliere; nel corso di quest’ultima carica, semestrale, ebbe numerose mansioni nelle operazioni di guerra contro Francesco Novello da Carrara, signore di Padova. In un primo tempo, a luglio, sovrintese all’attacco delle truppe veneziane contro le fortificazioni nemiche vicino alle rive della laguna alla foce del Brenta. In settembre venne inviato come uno dei due provisores al fronte che si spostava dal Mantovano a Verona.
Nella primavera successiva fu uno dei tre avogadori di Comun, che esercitavano la sorveglianza sugli affari interni dello Stato. Poco dopo ebbe una commissione fuori Venezia: si recò nuovamente presso le truppe davanti a Verona e lì prese parte alle trattative di resa con la cittadinanza, quindi entrò in città il 22 giugno 1405 insieme con l’esercito vincitore. Successivamente fu alla guida dell’amministrazione di Verona come uno dei due provisores veneziani.
Già dopo un mese era nuovamente a Venezia come avogador di Comun. Seguì nel novembre l’insediamento formale come podestà di Verona, carica che ricoprì per un anno. Nel 1407 fu per breve tempo avogador di Comun, ma già nel maggio il Maggior Consiglio lo elesse nel Collegio di governo con la più autorevole carica di savio del Consiglio (o savio grande).
In luglio andò come podestà a Padova; dopo questo incarico annuale fu per breve tempo savio del Consiglio; contemporaneamente fece parte del Consiglio dei dieci. Durante quel periodo fu mediatore in un accordo con l’arcivescovo di Patrasso, il veneziano Stefano Zaccaria, che affittò per cinque anni i beni della sua Chiesa a Venezia.
Il 4 sett. 1408 il Senato nominò il M. ambasciatore per patrocinare in nome della Repubblica una soluzione al conflitto che si era sviluppato, in conseguenza del grande scisma d’Occidente, tra papa Gregorio XII e la maggioranza dei suoi cardinali che si erano allontanati da lui, unendosi alla maggior parte dei cardinali di obbedienza avignonese per una comune azione politica. In luogo dei due diversi concili generali (oltre al terzo di Benedetto XIII) che le parti avevano convocato, se ne sarebbe dovuto svolgere uno unico sotto la protezione veneziana, che avrebbe dovuto porre fine alla divisione nella Chiesa, con l’abdicazione o la deposizione di Gregorio; nel caso che costui non acconsentisse, si sarebbe dovuta minacciare la sottrazione dell’obbedienza. Il M. si recò a Siena dal papa, poi a Pisa dai cardinali che vi si erano riuniti, quindi tornò indietro e seguì a Rimini la Curia di Gregorio; alla fine tornò a Pisa per proseguire la sua opera di persuasione. Il 20 dicembre il governo veneziano dovette però riconoscere l’insuccesso della missione e lo richiamò in patria. Questa attività in difesa degli interessi diplomatici della Repubblica fu certamente il punto più alto della carriera politica del Marin.
Il 17 genn. 1409 il Senato lo elesse savio del Consiglio. Proseguì così l’attività pubblica quasi senza soste, in parte alternativamente in parte contemporaneamente nel Collegio, in veste di savio del Consiglio (1409, 1412-13, 1418, 1419-20), e nel Consiglio dei dieci (1409-10, 1412-13, 1415-16, 1417-18, 1419-20, 1422), inframmezzata da due bienni come avogador di Comun (1410-12, 1413-15).
Nel 1416-17 e nel 1420-21 ci furono pause di un anno tondo. Solo per il 1412 è testimoniato che il M. lasciò Venezia. Nella guerra contro Sigismondo di Lussemburgo fu incaricato due volte di recarsi nell’accampamento del capitano generale veneziano Carlo Malatesta. Successivamente fu coinvolto più volte a Venezia in trattative diplomatiche: nel 1418 per un accordo con l’Ordine dei cavalieri di S. Giovanni, nel 1419 con Brescia; particolarmente importante nello stesso anno fu l’accordo con Cividale del Friuli e nel successivo quello con Cattaro, accordi che siglarono la sottomissione di quelle città al dominio della Repubblica.
Se gli uffici regolari e le mansioni di breve durata testimoniano della considerazione goduta dal M. nella vita politica di Venezia, è però chiaro che la sua carriera non avrebbe portato alle cariche più elevate, in particolare a quella di procuratore di S. Marco, la più alta dignità dopo il doge.
Due volte il M. partecipò direttamente all’elezione del doge: il 7 genn. 1414 quando fu eletto Tommaso Mocenigo e dal 10 al 15 apr. 1423 per l’elezione di Francesco Foscari. In questa occasione il Maggior Consiglio lo nominò, come più anziano, membro della commissione dei correttori alla Promissione ducale.
Queste sono le ultime informazioni che abbiamo sulla vita del Marin. La sua morte deve essere verosimilmente collocata poco dopo, perché una sentenza giudiziaria del 30 giugno 1423 riguarda già la sua eredità.
Il 19 marzo 1423 il M. aveva scritto di sua mano le sue ultime volontà, per la cui realizzazione costituì esecutori testamentari i quattro figli più giovani: Antonio, Carlo, Paolo e Giovanni. Eleggeva a sua sepoltura l’«archa» di famiglia nella cappella di S. Orsola nella chiesa domenicana dei Ss. Giovanni e Paolo. Seguono numerosi legati a scopi devozionali e di beneficienza. I quattro figli menzionati furono costituiti eredi universali; i due maggiori non ricevettero invece alcuna elargizione, come viene sottolineato due volte nel testamento, «abiando habuodo da my tanto che ben ly può bastar», «perché lor à ben abuodo quelo i deveva aver da my, chomo par per una segurtade ho da loro fata». Questo lascia intuire contrasti familiari di varia natura. Con sua moglie Bersabè il M. era evidentemente irreparabilmente in lite, «abiandose zià tanti any portado chuxì chomo l’à e abiandomi per tanti muody e con tante persone ⟨adovrado> perché la se removese da tal anemo, e nie⟨n>te may à ziovado». Così egli nel suo testamento non le destinò alcun legato, e a lei spettò solo per diritto la dote che un tempo aveva portato. I 1000 ducati erano garantiti dal palazzo di abitazioni del M.; i quattro figli eredi dovevano subentrare in questo impegno.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Maggior Consiglio, Deliberazioni, regg. 21 (Leona), cc. 14, 26r, 104v-105v, 106v, 142v-143v, 144v, 236r; 22 (Ursa), cc. 56r, 57v, 58v; Segretario alle Voci, Misti, regg. 3, cc. 13r, 15v, 37r, 39v, 42r; 13, cc. 128r, 171v, 172r, 173v, 174v; Senato, Misti, regg. 39, c. 87r; 40, cc. 28v, 95v, 133v, 136v, 148v; 42, cc. 3r, 7r, 63v, 65r, 70r, 72v, 76r, 79r, 106r; 43, cc. 39r, 47v, 142v, 180v; 44, cc. 1v, 95r, 97v, 98r, 99r, 105r, 107v, 111r, 113v; 46, cc. 24v, 38r, 39r, 133r, 134v, 138r, 158r; 47, cc. 106r, 116r, 121v, 127v, 128v; 48, cc. 28v-30r, 34v-108r, 188v, 191v; 49, cc. 57v, 97-136, 138v-168v; 52, cc. 66r, 70r-106r, 161v-190v; 53, cc. 4-72, 80r; Senato, Secreti, regg. 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