DELLA TURCA, Rosso
Nacque negli ultimi anni dei sec. XII a Genova. Non si conoscono i suoi rapporti di parentela all'interno della famiglia Della Turca, coinvolta nella lotta cittadina tra i sostenitori dei "De Volta" e quelli dei "De Curia". Nel 1214 insieme con Bulbonino e Nuvelono & Cammilla egli tese un agguato lungo il Bisagno a Sorleone Pevere, uno dei più autorevoli rappresentanti della consorteria dei "De Curia". Il colpo fallì per il tempestivo intervento di Ansaldo De Mari, che mise in fuga gli assalitori, ma venne egli stesso ferito nella zuffa. L'episodio dovette emarginare per alcuni anni il D. dalla vita politica cittadina, almeno sino al 1227 quando fu eletto tra gli Otto nobili incaricati dell'amministrazione finanziaria del Comune. Nel 1232 divenne podestà di Arles.
Sottoposta Genova alle pressioni esercitate da Federico II per costringerla a precisare la sua posizione nello scontro allora in atto tra Papato ed Impero, i conflitti interni - che erano da tempo degenerati in una serie continua di scontri sanguinosi, motivati spesso da rancori personali o familiari - finirono con l'essere superati, confluendo nelle rivalità provocate dalla divisione più netta e recente della classe dirigente in guelfi e ghibellini. Il D., insieme con Folco Guercio, divenne allora il protagonista delle campagne militari più importanti condotte in quegli anni dal Comune di Genova, alle prese con la ribellione delle città rivierasche, con la pressione dei feudatari e dei Comuni nernici oltremontani, con la minaccia delle armi imperiali.
Nel 1238, sollevatasi la Riviera di Ponente, il Comune di Albenga organizzò la lotta contro Genova munendo l'isola della Gallinaria, mentre Ventimiglia obbligò il podestà genovese a rifugiarsi nella rocca. Posto insieme con Folco Guercio al comando di una squadra di quattordici galee col compito di reprimere la rivolta, il D. dapprima sottomise Ventimiglia e poi pose il blocco alla Gallinaria. Riusciti vani i tentativi da lui compiuti per indurre alla resa il presidio nemico, d'accordo con Folco Guercio, decise di rompere gli indugi: il 14 agosto l'isola fu attaccata e conquistata. I militi del presidio nemico. fatti prigionieri, vennero condotti in ceppi a Genova. L'anno seguente, quando era diventato ormai insanabile in città il dissidio tra guelfi e ghibellini, furono scoperte alcune lettere inviate da Federico II ai suoi fautori genovesi, che rivelavano l'esistenza di un accordo per appoggiare l'azione militare dell'imperatore. Riferito in Consiglio segreto, il contenuto di tali lettere provocò lo sdegno unanime, che fu abilmente sfruttato dal podestà per far nominare due capitani dei Popolo nelle persone del D. e di Folco Guercio, che ebbero l'incarico di approntare la difesa della città, ormai decisa a schierarsi dalla parte della lega papale. Gli stessi ghibellini furono in tal modo costretti ad uscire allo scoperto per organizzare la loro lotta.
La nomina dei capitani del Popolo ebbe, in questa occasione, un carattere esclusivamente militare, ben diverso dalla funzione dirigente che tale carica avrebbe in seguito acquistato anche a Genova nell'ultimo quarto del secolo. Ai due capitani spettò il comando delle "compagne" cittadine (le quattro di città al Guercio e le quattro del borgo al D.) e di venticinque servienti ciascuno.
Sempre nel 1239 il D. fu testimone dell'accordo stretto tra Genova e alcuni condomini del castello di Carpena, nella Riviera di Levante. Nel 1240, fattasi sempre più pesante la pressione delle forze imperiali guidate da Manfredi Lancia, il D. venne inviato con una squadra di galee in sostegno del castello di Pietra Ligure, il cui presidio era sottoposto ai ripetuti attacchi delle truppe dei Lancia. Nel dicembre, in aiuto del castello si mosse anche l'esercito genovese rinforzato da contingenti di cavalleria inviati dalle città alleate di Milano e Piacenza. Pietra Ligure fu in tal modo liberata dall'assedio. Minor fortuna ebbe una successiva spedizione guidata dal D. contro il territorio di Savona e di Albenga, ribelli all'autorità di Genova.
L'anno seguente Genova si trovò sull'orlo del disastro: alle minacce esterne sulle Riviere si aggiunse infatti l'aperta ribellione dei ghibellini scoppiata in città. Il nuovo podestà, Guglielmo Surdo di Piacenza, per non compromettere l'allestimento della flotta incaricata di trasportare i prelati al concilio romano voluto da Gregorio IX, preferì non rivelare il gravissimo contenuto di una lettera che Federico II aveva inviato ai capi del partito filoimperiale genovese, Federico Grillo e Giovanni Streggiaporco. Precipitata, tuttavia, la situazione, il podestà decise di iniziare una energica opera di repressione contro i ghibellini e ne affidò l'esecuzione ai due capitani del Popolo. Il palazzo dello Streggiap venne abbattuto e furono assalite le torri e le case di Tommaso Spinola.
Il D. in persona guidò i propri reparti, rinforzati per l'occasione dagli equipaggi della flotta in attesa di salpare per Roma; nell'assalto lo Spinola fu ferito mortalmente. Gli altri ghibellini preferirono fuggire dalla città, ormai collocata nello schieramento filopapale. L'anno seguente, il D. appare tra i consiliatores che sottoscrissero l'accordo tra il Comune e i visconti di Savignone, entrati a far parte della "compagna". Nel 1246, sempre come consiliator, egli prese parte alla ratifica degli accordi stipulati dal suo collega Folco Guercio con gli uomini di Cervo. Allontanatosi momentaneamente il pericolo delle armi ghibelline dalle Riviere e ridottesi le operazioni militari a scaramucce di limitata entità, Genova poté dedicarsi al lucroso affare costituito dall'allestimento della flotta per la crociata bandita dal re di Francia Luigi IX. Designato in un primo tempo come comandante di tale flotta, il D. ricevette in seguito, quando si profilò il pericolo di un ulteriore tentativo imperiale di impadronirsi della città, l'ordine di restare a Genova per dirigere la difesa del porto. Gli fu allora affidato il comando di una squadra composta di trentadue galee, che doveva opporsi alle scorrerie delle navi imperiali guidate da Andriolo De Mari. In quell'anno egli continuò a far parte del Consiglio maggiore, presenziando all'accordo tra il Comune e gli uomini del castello di Groppo. Nel 1250 sottoscrisse l'alleanza tra Genova e Grasse. Morto Federico 11, incalzante divenne l'opera di riconquista della Riviera occidentale. Nell'esercito genovese, radunatosi a Varazze per dare inizio alle operazioni militari, si trovò anche il D., il quale nel 1251 fu teste alle trattative che portarono alla resa di Albenga (18febbraio), di Savona (19 febbraio) e a quella di Giacomo Del Carretto (20 febbraio). Nel giugno, ritornato in città, egli assistette all'accordo tra il Comune e Ventimiglia, anch'essa arresasi, e fu tra i consiliatores che sottoscrissero la pace tra Genova e Venezia. Nell'ottobre presenziò alla firma dell'accordo commerciale tra il Comune genovese e Pavia. L'anno seguente fu testimone al trattato tra Genova e gli uomini del castello di Brehl, posto vicino a Ventimiglia. Nel 1256 accompagnò a Levanto il podestà Filippo Della Torre e approvò le trattative con gli uomini di Lerici per arrivare alla cessione di quel castello a Genova. Nel 1258 fu nominato ammiraglio della flotta che venne inviata nel Mediterraneo orientale per portare aiuto ai Genovesi di Acri e contrapporsi in quei mari alle navi veneziane, guidate da Andrea Zen.
Il D., ormai anziano, volle con sé il figlio Mirialdo, che finì con l'assumere l'effettivo comando della flotta. Giunte le navi a Tiro, il D. concertò col signore di quella città, Filippo di Montfort, il piano d'attacco contro Acri, dove da tempo Genovesi, Veneziani e Pisani si contendevano il controllo del porto. A Filippo sarebbe spettato il compito di avvicinarsi con le sue truppe alla città da terra, unendosi al contingente del gran maestro dei giovanniti, mentre il D. con le navi avrebbero dovuto distruggere le flotte nemiche. Tuttavia la scomparsa del figlio Mirialdo, morto improvvisamente durante il soggiorno a Tiro, gettò il D. in un così profondo stato di prostrazione e di sconforto che, secondo il racconto annalistico, il vecchio ammiraglio finì col perdere la sua lucidità di uomo d'azione. Certo è che, postasi la flotta genovese all'ancora davanti al porto di Acri, il D. decise di aspettare l'attacco nemico. Fu un grave errore. 1 Pisani e i Veneziani, superata una fase iniziale di sbandamento grazie anche all'aiuto dell'Ordine dei templari, procedettero ad un massiccio arruolamento di volontari, in gran parte "pollini" (termine usato dai cronisti genovesi per indicare i nati da cristiani e da donne indigene).
Quindi la flotta venetopisana mosse incontro a quella nemica il 24 giugno 1258. La situazione fu alrinizio ancora favorevole'al D., perché un forte vento finì col dividere la flotta venetopisana in due tronconi. Il vecchio ammiraglio, invece di sfruttare l'occasione, preferì sospendere le operazioni. Nel pomeriggio, tuttavia, calato il vento, le navi di Venezia e di Pisa attaccarono improvvisamente quelle genovesi, travolgendole. Metà delle navi comandate dal D. andarono perdute nello scontro; 1.700furono gli uomini catturati ed uccisi. 1 superstiti trovarono rifugio a Tiro, dove riparò anche Filippo di Montfort. La gravissima sconfitta provocò la fine della colonia genovese ad Acri, che fu saccheggiata dai vincitori.
Si ignora se il D. abbia trovato la morte nel combattimento o se sia riuscito a porsi in salvo; tuttavia le fonti non riportano altre notizie su di lui dopo questa data.
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