BUONDELMONTI, Rosso
Nacque a Firenze il 31 ott. 1478 da Battista e da Nanna di Bernardo della Tosa. Si hanno scarse notizie sulla sua prima attività. Una lettera di Biagio Buonaccorsi del 23 ag. 1500 a Niccolò Machiavelli, allora inviato fiorentino alla corte di Francia, testimonia che viveva in quella data a, Lione e, nonostante la giovane età, doveva aver già dato buona prova di sé negli affari, poiché il Buonaccorsi raccomanda all'amico di soffermarsi nel viaggio di ritorno a Lione e di trattare un affare di importanza - tuttavia non ulteriormente definito - appunto con il B., qualificato "huomo pratico".
Si può presumere che il B. servisse allora in una delle filiali lionesi di qualche impresa finanziaria fiorentina, probabilmente di una tra quelle che facevano capo ai Buondelmonti, i quali svolgevano in quel tempo in Francia una notevole attività. Che allora e negli anni seguenti il B. godesse in Francia di notevoli relazioni, anche con personaggi eminenti della corte, è provato dal fatto che la Signoria fiorentina lo scelse nel 1527 come inviato al principe d'Orange, allora a capo dell'esercito imperiale, proprio in virtù dei rapporti personali che il B. aveva in passato intrattenuto con lui.
Non si sa quando il B. facesse definitivo ritorno a Firenze: nuove notizie su di lui si hanno soltanto a partire dal 1527, allorché, cacciati Alessandro e Ippolito de' Medici e il loro tutore, il cardinale Silvio Passerini, il B. fu incaricato dal nuovo governo repubblicano di alcune importanti missioni, dimostrando in ciascuna di esse molta accortezza ed uno strenuo attaccamento alla causa della "libertà" fiorentina.
Il primo di questi incarichi fu quello di convincere i capitani Paccione da Pistoia e Galeotto da Barga, preposti al comando delle cittadelle di Pisa e di Livorno, a consegnare i tali fortezze ai Fiorentini, incarico difficile per i legami personali dei due capitani con i Medici: come ricorda il Nardi, infatti, le due fortezze "si tenevano da' particolari e propri capitani deputati dalla casa de' Medici" (I. Nardi, Istorie della città di Firenze, Firenze 1888, II, p. 125). Pare comunque che in questa missione il B. avesse funzioni secondarie, perché le trattative, finalmente coronate da successo, furono condotte essenzialmente da Zanobi Bartolini e da Anton Francesco degli Albizzi. Maggiori responsabilità il B. ebbe nelle trattative con i Lucchesi, perché espellessero dalla loro città il Passerini e i due giovani Medici che vi avevano trovato ospitalità: non ottenne tuttavia quanto la Signoria fiorentina desiderava.
Nel 1528, nel quadro della organizzazione delle difese cittadine in vista dell'attacco dell'esercito imperiale che si temeva imminente, al B. fu affidata la carica di capitano del Borgo San Sepolcro. Nell'estate del 1529, quando l'esercito imperiale, dopo la stipulazione del trattato di Barcellona tra Clemente VII e Carlo V, il 29 giugno, iniziò l'offensiva contro il territorio fiorentino, il B. si trovava ad Arezzo, dove nel settembre tentò invano di ritardare l'abbandono della città da parte di Francesco Antonio degli Albizzi e di Malatesta Baglioni. Inviato a trattare con l'Orange, il B. si portò quindi, il 15 settembre, al campo imperiale a Cortona.
Secondo le istruzioni ricevute dai Dieci della guerra egli non fece proposte concrete all'Orange, ma si limitò a riaffermargli la immutata devozione dei Fiorentini a Carlo V, tentando con ciò di dissuaderlo dal proseguire la campagna. Il principe replicò che egli aveva l'ordine di attaccare la città e che non avrebbe potuto astenersene se la Repubblica non avesse tempestivamente raggiunto un accordo col pontefice. Sebbene il colloquio si concludesse con la reciproca minaccia di una strenua e pressoché insuperabile difesa di Firenze e di una completa devastazione del territorio, l'Orange mantenne verso il suo interlocutore un atteggiamento cordiale, evidentemente in nome delle loro antiche relazioni, e gli permise di trattenersi nell'accampamento imperiale. Di qui il B. poté così inviare ai Dieci circostanziati rapporti sulla consistenza dell'esercito avversario e sulle intenzioni del loro capo, cosa della quale l'Orange non mostrò in alcun modo di preoccuparsi, evidentemente contando sull'efficacia intimidatoria di tali notizie, relative alle milizie che due anni prima avevano compiuto il sacco di Roma. Il B., per conto suo, non si stancava di tributare ai capi imperiali i segni del più grande ossequio, ed ottenne che anche la Repubblica rivolgesse loro analoghe manifestazioni, con l'invio, per esempio, al principe d'Orange ed al marchese del Vasto, di alcuni cavalli turchi, "i migliori che si potessero trovare" (Roth, p. 249).
Ma ben presto apparve chiaro che non era nel campo imperiale che si poteva operare con successo per sventare la minaccia che gravava sulla Repubblica. Fu proprio il B. ad insistere perché si tentasse di allacciare trattative dirette con Clemente VII, riuscendo alla fine a superare gli ostacoli che da più parti si frapponevano in Firenze a un simile tentativo presso il più accanito nemico della Signoria. Così, finalmente, il 19 settembre veniva inviata a Roma la missione fiorentina capeggiata da Pierfrancesco Portinari. Contemporaneamente Lorenzo Strozzi, Leonardo Ginori e Bartolomeo Marucelli venivano inviati al campo imperiale, frattanto trasferitosi a Montevarchi, per affiancare il B. nel tentativo di trattenere lontano da Firenze l'Orange fino a che non si fossero concluse le trattative con il pontefice. Finalmente, alla fine di settembre, quando apparve chiaro che un compromesso onorevole non sarebbe stato possibile per la Repubblica e fu decisa la resistenza ad oltranza, il B. fu richiamato in Firenze insieme con i compagni.
Durante l'assedio di Firenze il B., al quale fu affidato il comando delle milizie di S. Maria Novella, fu tra coloro che si opposero sino all'ultimo alle proposte di capitolazione. Non si sa che cosa avvenisse di lui quando gli Imperiali finalmente restaurarono la signoria dei Medici, nell'agosto 1530. Se fu esiliato, insieme con i più tenaci esponenti del partito repubblicano, come è probabile, dovette essere poi amnistiato da Cosimo de' Medici: risulta infatti che questi nel 1545 lo nominò commissario in Valdinievole. Dopo questa data non si hanno più notizie del Buondelmonti. Aveva sposato Ginevra di Benedetto Tomaquinci, dalla quale ebbe Andrea, nato il 21 luglio del 1534 e morto il 29 marzo del 1596, e Marietta, sposata a Mariano degli Ughi.
Fonti e Bibl.: B. Varchi, Storia fiorentina, in Opere, a cura di A. Racheli, I, Trieste 1858, pp. 67, 209, 285; N. Machiavelli, Lettere, a cura di F. Gaeta, Milano 1961, p. 54; M. Rastrelli, Vita di Alessandro de' Medici, Firenze 1781, passim; P.Falletti-Fossati, L'assedio di Firenze, Palermo 1833, passim;F-T. Perrens, Histoire de Florence depuis la domination des Médicis jusqu'à la chute de la Rèpublieue, III, Paris 1890, pp. 226, 247, 251, 252; C. Roth, L'ultima repubblica fiorentina, Firenze 1929, pp. 242 n., 243 n., 248, 249 n., 250, 252, 253, 255 n., 257, 267 n.; P. Litta, Le famiglie celebri ital., s.v. Buondelmonti, tav. IX.