ROSSI (De Rossi), Niccolo d'Aristotele de', detto lo Zoppino
ROSSI (De Rossi), Niccolò d’Aristotele de’, detto lo Zoppino (Zoppino, Niccolò). – Nacque a Ferrara non dopo il 1478. Il padre, Aristotele de’ Rossi, notaio, probabilmente morì in quell’anno. Il nome della madre non è noto.
Fu editore, tipografo e libraio per un quarantennio. Non interruppe i legami con la sua città. Nominato da Celio Calcagnini in una lettera a Lazzaro Bonamici del 1527, testimone nel 1541 in un atto di un notaio ferrarese, era stato arrestato a Venezia nel 1513 insieme a Vincenzo di Polo per la stampa e la diffusione a Ferrara di una Barzelletta antiveneziana dopo la battaglia di Agnadello. I due furono imprigionati per tre mesi, poi liberati, a seguito dell’appello dell’influente Marino Morosini. Questa è l’unica edizione ferrarese nota.
I suoi inizi furono invece a Bologna. Nel 1495 «Zopino de Ferara libraro» era debitore di 47 lire e 13 soldi nei confronti del tipografo Bazaliero Bazalieri. Nel 1503 «Nicolo di Aristotile dicto il Zoppino da Ferrara» sottoscrisse un’edizione stampata da Caligola Bazalieri: Il libro del maestro et del discipulo, di Onorio di Autun. Senza data, ma durante la signoria di Giovanni II Bentivoglio, sempre per Bazalieri, comparvero le Opere di Serafino Aquilano, dove Zoppino viene definito «impressore & venditore da libri». Un terzo lavoro bolognese gli è attribuito in virtù della presenza di una sua lettera al lettore, identica a quella della precedente edizione dell’Aquilano.
Circa una sua possibile identificazione con lo Zoppino aretiniano della Cortigiana e dei Ragionamenti, indicato come uno che «canta in banco», si può notare che per oltre un decennio Zoppino lavorò in stretto contatto proprio con un canterino, Vincenzo di Polo, che nel suo testamento, rogato a Faenza nel 1524, venne definito «cantor circumforaneus» e libraio. Un suo legame con il mondo degli artisti di piazza è testimoniato anche da un’incisione calcografica romana del 1542 raffigurante il torso di Pasquino, circondato da cartelli e motti volgari, latini e satirici firmata da Antonio Salamanca. Sul piedistallo si legge in un sonetto: «La simmia son di Nicolo Zoppino. / Ma son quel famosissimo Pasquino / Che tremar faccio i signor più soprani». In quello stesso 1542 pubblicò a Roma il dialogo Il legno della vita di Giovanni Bracesco.
I suoi progetti lo portarono nel 1505 a Venezia, capitale del libro. All’inizio fu editore, utilizzando varie tipografie di Venezia, Milano, Pesaro, Ancona, con una produzione di una ventina di titoli. Dal 1513 al 1524 fu in società con Vincenzo di Polo pubblicando 139 libretti. I due collaborarono con altre aziende non solo a Venezia (in particolare Rusconi), ma a Perugia, ad Ancona, a Pesaro. Dal 1525 al 1544 operò a Venezia con una propria tipografia, collaborando con stampatori anche di altre città: Perugia, Firenze (dove dal 1536 risulta iscritto all’Arte dei medici e speziali), Bologna, Roma e Savona. La produzione di questo periodo superò le 250 edizioni. Come libraio fu presente a Ravenna negli ultimi anni della sua vita con il figlio Sebastiano e a Faenza.
Si può evincere un programma editoriale dal catalogo e dalle lettere ai lettori. Quella datata 1505 (ma del 1525, essendovi citato il doge Andrea Gritti) premessa alla Vita Sanctae Mariae di Antonio Cornazano è il documento più completo. Infatti «vedendo la deuotissima operetta di quanto frutto essere possi alli deuoti serui della Gloriosa Uergine Maria e maxime a donne fanciulle e dongelle», ma riscontrandone il testo corrotto in precedenza dai tipografi, si è sforzato «li errori soi corregere [...] & far tutto quello chio conoscesse ad essa opera essere conueniente & al legente grata fusse». Nel Libro del peregrino di Iacopo Caviceo del 1524 aveva esaltato l’introduzione della correzione ortografica e della traduzione in volgare di vocaboli latini «assai oscuri». Nei suoi libri non è facile trovare vere e proprie novità letterarie, ma piuttosto opere già testate in precedenza da altri editori e per le quali Zoppino enfatizza particolarmente il suo ruolo di restauro della lingua, anche se talvolta è lecito dubitarne.
Venuto a contatto con i circoli luterani della penisola, stampò Uno libretto volgare: con la dechiaratione de li dieci comandamenti: del Credo: del Pater noster... (Venezia 1525), prima traduzione italiana di Lutero nella quale non si preoccupò di celare la sua identità. L’anno dopo, usando come scudo il nome di Erasmo, ripubblicò l’opera, sempre sottoscrivendone il colophon. In seguito stampò Erasmo (non ancora condannato) in latino, Bernardino Ochino e altri aderenti o simpatizzanti riformati. Continuò a sfoggiare privilegi papali mai revocati e inoltre la presenza della sua marca in alcuni esemplari del testo violentemente antiluterano di Giovanni da Fano, stampato a Bologna da Giovan Battista Faelli nel 1532, potrebbe far pensare a un pentimento. Sarebbe azzardato farne una sorta di apostolo della Riforma.
Nel primo periodo (1503-24), più della metà delle edizioni appartiene al genere della letteratura cortigiana. Peso rilevante, ma minore, hanno i testi di cultura popolare e pratica come l’Epulario volgare di Rosselli e il Viaggio da Venezia al santo Sepolcro, le traduzioni di opere classiche e medievali, i poemi cavallereschi, le opere devozionali. Nel secondo periodo (1525-44), il quadro è molto più equilibrato. La letteratura volgare in versi rappresenta un terzo, resta costante il genere popolare (nel quale spiccano i bellissimi manuali di ricamo), mentre crescono i poemi cavallereschi e si ha l’emergere del teatro. I testi tradotti rappresentano poi la seconda voce del catalogo, che registra anche un certo peso delle opere di devozione mentre compaiono Erasmo e la Riforma. Delle 438 edizioni conosciute, solo una minima parte è priva di data. Le prime esperienze del periodo 1503-12 non arrivarono a 20 titoli mentre la collaborazione con Vincenzo ne produsse ben 139 in dodici anni. L’apice si toccò nel 1521 con 23 edizioni. L’ultimo ventennio vide poi 262 edizioni datate. Il picco si registrò nel 1530 con 29 titoli. Dal 1521 al 1532 Zoppino produsse una media di 17 edizioni all’anno. La media totale, più di 10 per anno, ne fa una delle figure principali dell’editoria italiana del primo Cinquecento. Nel periodo di collaborazione più intensa con Vincenzo (1516-24), alcuni mesi sembrano particolarmente propizi per la conclusione dei lavori. In quasi il 34% del totale la data di fine stampa è in agosto-settembre, nel 22% in marzo-aprile. Questo è da mettere in relazione con la presenza a fiere e mercati come la Sansa a Venezia, Recanati, Foligno e Lanciano, ma anche con delle vere e proprie tournées in giro per l’Italia, durante le quali Zoppino vendeva i libretti dei testi recitati e cantati da Vincenzo. In certi momenti poi i ritmi dell’uscita dei titoli erano frenetici. Ad esempio in due giorni di agosto del 1518 si accavallarono ben 4 edizioni.
I libri di Zoppino mostrano una sorta di ‘stile della casa’, anticipando quelle ‘collane’ lanciate di lì a qualche anno da Gabriele Giolito de’ Ferrari. Il modello si basa sul formato in ottavo, la xilografia un po’ naif sul frontespizio, il suo nome e quello dei suoi soci nel colophon, come pure le marche editoriali, le quali mostrano s. Nicola, talvolta con la fanciulla inginocchiata di fronte, che gli offre le tre palle d’oro.
Gli ultimi anni videro una decisa contrazione dell’attività, che si arrestò dopo il 1544, presunto anno della sua morte. Il luogo non è noto.
L’unico figlio noto è Sebastiano, collaboratore a Ravenna e presente alla fiera di Lanciano. Un documento del 1557 lo nomina come «Sebastian da Thodi, sive de Aristotile anlievo, overo fiolo». Ma Zoppino potrebbe avere avuto altri figli. In un testo musicale del 1555, è citato un Geronimo Zoppino da Ferrara organista. Difficile pensare che non discenda da Niccolò, visti i suoi stretti legami con il mondo della musica. Non è noto se Fabio e Agostino Zoppini, tipografi attivi a Venezia alla fine del Cinquecento, siano suoi parenti. Un certo Giacomo Zoppino agli inizi del Seicento a Venezia, Treviso e Bologna utilizzò la loro marca. Infine un altro Giacomo Zoppino nel 1550 collaborò a Venezia con Pietro Nicolini da Sabbio, mentre un figlio di questi nel 1568 ebbe una bottega all’insegna dello Zoppo.
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