ROSSANO
Località archeologica sita nel comune di Vaglio di Basilicata, resa nota già nel 1832 da A. Lombardi e più tardi da M. Lacava, indagata negli anni '60 da F. Ranaldi, e oggetto di scavi regolari dal 1969 in poi. Sorto in un ambiente montagnoso, il sito si trova c.a 10 km a NE di Serra di Vaglio, a 800 m di quota.
Dalle indicazioni del Lombardi e del Lacava, nella zona vi era un «abitato» o un grande monumento di cui si vedevano porte e muri e da cui provenivano bronzi raffiguranti animali, un candelabro e altri materiali, tutti confluiti nel Museo Nazionale di Napoli, mentre dagli scavi fatti negli anni '60 venivano alla luce statuette fittili del IV-III sec. a.C. ora al Museo Provinciale di Potenza. In occasione di questi ultimi saggi è stata scoperta anche un'iscrizione in lingua osco-lucana, redatta in caratteri greci, databile nel II sec. a.C., il cui luogo di rinvenimento era stato in passato erroneamente identificato con Serra di Vaglio (v.), centro indigeno ellenizzato scomparso però già durante il III sec. a.C.
Il complesso monumentale è formato da un ampio spiazzo (cortile) o «sagrato» (27 χ 21 m) pavimentato con grossi blocchi di durissimo calcare raccolto nell'area vicina. Il sagrato è affiancato sul lato meridionale da due ambienti e sui lati O ed E da un solo ambiente; l'entrata principale (larga 6 m) si trova nel lato N. Di fronte a quella, sul lato meridionale del cortile, si erge un altare (27,25 X 4,50 m) in blocchi di arenaria diviso in due parti, di cui si conserva soltanto il filare di posa. Sotto il filare divisorio è stata rinvenuta una spada, probabilmente una thysìa, un ex voto simile a quello trovato nell'ambiente IV, in cui erano state deposte anche una serie di lucerne di età imperiale. Ai lati dell'entrata due canaletti adducevano l'acqua della sorgente principale, distante 1.500 m in linea d'aria, a monte del complesso. All'altezza del sagrato, l'acqua scendeva attraverso due doccioni fittili a protomi leonine della seconda metà del IV sec. a.C.; da qui, dopo aver attraversato obliquamente il sagrato con un canaletto intagliato nel calcare del pavimento, finiva all'esterno verso l'angolo SE, dove si trovano due canaletti a livelli diversi corrispondenti alla fase più antica e a quella più recente del complesso. L'esistenza di almeno due fasi di vita è confermata dai materiali utilizzati nelle costruzioni: nella prima fase è impiegata la pietra arenaria, mentre nella seconda il calcare. I dislivelli sono la conseguenza di una frana che ha interessato tutta l'area.
I due ambienti meridionali (I e II) sarebbero depositi sacri o ricoveri per i fedeli, mentre nell'ambiente III si può identificare il locale in cui si trovava una statua di cui si conservano il basamento e molti frammenti in bronzo; l'ambiente IV (m 5,30 x 21) si può considerare una grande favissa con materiale votivo che va dalla seconda metà del IV sec. a.C. fino agli inizi del I sec. d.C. Esso consisteva in iscrizioni, ruote di carro, statue di marmo, frammenti di statue in bronzo, telamoni, molte statuette fittili, numerosi thymiatèria, fibule in bronzo e ferro, chiodi, monete argentee e bronzee nonché uno statere aureo di Alessandro Magno, finimenti in bronzo e ferro, numerosi blocchi di pietra. Questi ultimi potrebbero essere relativi a una pavimentazione dell'ambiente, presso le cui porte possono essere ancora notate tracce di un altro pavimento superiore, in opus signinum. Il complesso era circondato da un canale che lo proteggeva dalle acque.
In varie parti di questo complesso sono state rinvenute numerose iscrizioni, alcune frammentarie, in lingua osco-lucana, in caratteri greci e in latino; soltanto una, di età repubblicana, è in greco. Gli scavi, iniziati nel 1969, hanno fissato in località Macchia di Rossano il Santuario di Mefite Utiana, epiclesi derivata molto probabilmente dal nome del gruppo etnico degli Utiani, stabilitosi nel centro dell'Italia meridionale, oppure dalla gens Utia. Accanto a Mefite vi erano anche altre divinità, come Iuppiter e Domina Iovia, Mamert. Le stesse iscrizioni permettono di seguire le trasformazioni del culto in Lucania e di conoscere anche gli ordinamenti amministrativi e civili, mentre un'altra epigrafe monumentale fornisce il nome dell'ultimo restauratore, Acerronius, un consulans di origine lucana. Le monete - circa mille - rinvenute finora, vengono datate tra il IV sec. a.C. e l'età di Tiberio e provengono da varie zecche sia dell'Italia sia di altre aree esterne alla penisola. La produzione degli ex voto, le antefisse fittili, le figure in bronzo e in marmo e le statuette dimostrano ima varietà notevole di correnti artistiche: si tratta di migliaia di oggetti in cui dominano i tipi tarentini, eracleoti e campani del IV-III e II sec. a.C. Nell'architettura del settore occidentale del santuario si colgono anche echi di modelli della tarda repubblica e dell'inizio dell'impero.
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