ROSSANO DI VAGLIO
Località archeologica nell'agro di Vaglio di Basilicata già nota nell'Ottocento, divenuta oggetto di scavo soltanto negli ultimi anni, conosciuta anche come Macchia di Rossano. Vi è stato messo in luce un santuario dedicato, come indicano le numerose iscrizioni in caratteri greci ma in lingua osca, alla dea Mefitis, in questo caso considerata una divinità lucana legata alle sorgenti. Il santuario è formato da diversi ambienti coperti distribuiti intorno a un grande ambiente scoperto, con un pavimento in grandi lastre in pietra durissima, in mezzo al quale sorge un altare di m 4,50 × 27,25, costruito in blocchi di pietra tenera recanti segni di cava in lettere dell'alfabeto greco. Intorno all'altare sono state rinvenute numerose iscrizioni in caratteri greci e lingua osca, quasi tutte menzionanti Mefitis, con diversi attributi, monete delle città greche della costa e qualcuna romana del periodo repubblicano. Le più antiche monete greche risalgono alla seconda metà del 4° secolo a. C. mentre quelle romane scendono anche alla prima metà del 1° secolo d. Cristo. A quest'ultima fase appartiene anche un'iscrizione latina in cui si allude a un rifacimento di una parte del santuario dovuto a un personaggio consolare di nome Acceronius. La vita del santuario quindi è fissata tra la seconda metà del 4° secolo a. C. e la prima metà del 1° secolo d. Cristo.
Negli ambienti che circondano quello in cui sorge l'altare, oltre alle monete che confermano la sua durata di vita, sono stati rinvenuti numerosi ex voto in terracotta e metallo, in primo luogo statuette e vasi fittili e offerte di armi, modellini di carri di guerra, cinturoni, schinieri e qualche statuetta in bronzo. Tutto testimonia il carattere guerriero dei fedeli lucani. Il più diffuso tipo di statuetta è quello raffigurante una divinità seduta con la patera e la colomba in mano oppure il tipo stante appoggiato a cerbiatti. Degno di nota è che molti di questi tipi assumono spesso caratteristiche popolaresche, raramente incontrate nelle stipi votive lucane, dovute in gran parte alla mancanza di una cultura artistica delle maestranze locali.
Per quanto riguarda il culto, accanto alla Mefitis, come paredri o in posizione subalterna, entrano a far parte del pantheon lucano Giove, Giunone, Venus, quest'ultima con l'attributo di custode delle capre, e Mamert. Al momento della cessazione del santuario a R., il culto si sposta nella vicina Potentia dove perdura a lungo anche nel periodo imperiale.
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