PILO, Rosolino
PILO, Rosolino (Rosalino). – Nacque a Palermo l’11 luglio 1820 da Girolamo, conte di Capaci, e da Antonia Gioeni dei principi di Bologna e di Pretulla.
Fu registrato come Rosolino, ma egli volle sempre essere chiamato, e si firmava, Rosalino, nome derivante da santa Rosalia, patrona di Palermo.
Come quartogenito, fu destinato alla vita ecclesiastica dal fratello Ignazio, capofamiglia dopo la prematura morte del padre, e perciò nel 1831 fu mandato a Roma a studiare presso il Collegio dei teatini dove ebbe per maestro – fra gli altri – padre Gioacchino Ventura, di vaghi sentimenti repubblicani.
Secondo alcuni biografi, al suo ritorno a Palermo, nel 1840, indirizzò le proprie simpatie verso il mazzinianesimo, ma la sua piena adesione al programma repubblicano in questo momento è dubbia.
Fu comunque influenzato da giovani democratici come Giovanni Denti di Piraino, cugino di Pilo, e Luigi Orlando e dalla corrispondenza con Nicola Fabrizi, esule a Malta. Nel 1845 fu protagonista di una protesta antiborbonica a Palermo e fu perciò allontanato dalla città per alcuni mesi.
Nel settembre 1847 si interessò alla rivolta di Messina, subito repressa e da lui giudicata avventata, e si diede da fare per promuovere dimostrazioni anche a Palermo. A novembre fu a Napoli, dove insieme a Francesco Crispi conobbe molti patrioti napoletani e si gettò a capofitto nelle manifestazioni davanti al Palazzo Reale. Cominciava così la sua attivissima e breve vita di indomito rivoluzionario in cui prevalsero presto idee nettamente repubblicane, con posizioni estreme e atteggiamenti privati spesso anche violenti e parossistici, fino al rifiuto di qualsiasi compromesso o alleanza con i liberali moderati.
Tornato a Palermo, il 27 dicembre 1847 Pilo partecipò alla manifestazione al teatro Carolino e nei giorni successivi fu tra i più accesi dimostranti che chiedevano riforme a Ferdinando II. All’inizio del 1848 Pilo, con Giuseppe La Masa e altri, fu tra i primi a scendere in piazza. Il 12 gennaio con sessanta patrioti si scontrò con le truppe regie che si ritirarono; nei giorni successivi partecipò ai combattimenti in vari punti della città, fino all’abbandono di Palermo da parte delle truppe borboniche a inizio febbraio. Il 18 febbraio fu nominato maggiore d’artiglieria e a fine marzo fu preposto al comando delle artiglierie riunite in Palermo. Come referente per le questioni di armamento, esercitò continue quanto vane pressioni sul governo rivoluzionario perché dotasse la Sicilia di un esercito efficiente e ben armato. In estate fu uno dei principali compilatori dell’organo del repubblicanesimo più intransigente, La Sentinella del popolo, apparso a Palermo tra la fine di giugno e i primi giorni di luglio 1848.
Dopo la presa di Messina da parte dell’esercito napoletano (avvenuta nel settembre 1848) e l’armistizio promosso da Francia e Inghilterra, Pilo intensificò le sue critiche contro la troppo prudente politica del governo e soprattutto contro il ministro della Guerra, Mariano Stabile, da lui definito ‘gran faccendiere’. A dicembre abbandonò la sua carica, in appoggio alle dimissioni del generale Giacomo Antonini, che considerava sicura la disfatta. All’inizio di aprile 1849, con la ripresa delle ostilità, tornò in servizio e si pronunciò invano contro la resa, ritenendo che una resistenza, anche se destinata a sconfitta certa, avrebbe dato dignità alla rivoluzione e limitato l’arroganza della repressione borbonica. Scelta dal governo la via della resa, Pilo si imbarcò per Marsiglia il 26 aprile 1849, iniziando un esilio che si sarebbe concluso – in modo tragico – solo nel 1860.
Agli avvenimenti siciliani di quegli anni dedicò due scritti, rimasti inediti e pubblicati postumi: Esatta cronaca dei fatti avvenuti in Sicilia e preparativi di rivoluzione prima del 12 gennaro 1848, in Il Risorgimento italiano, VII (1914), 1, pp. 1-25; Cenni sopra gl’ultimi giorni d’aprile 1849 in Sicilia, in Il Risorgimento in Sicilia, IV (1968), 1-2, pp. 269-282.
A Marsiglia Pilo dimorò per poco tempo, perché nel luglio 1849 ottenne di stabilirsi a Genova, dove visse alcuni anni tra mille ristrettezze, in quanto con le scarse rendite che riceveva dal fratello Ignazio aiutava gli altri esuli in difficoltà; a sua volta ebbe spesso l’appoggio economico di Luigi Orlando, che già si stava affermando come industriale. A Genova entrò in stretto contatto con la nutrita schiera di esuli siciliani lì residenti, sia moderati che democratici, ma si rafforzò nelle idee repubblicane. Tuttavia, anche in seguito alle notizie del fallimento dell’insurrezione palermitana del gennaio 1850, auspicò un’unità d’intenti con tutte le forze liberali della penisola, perché era contrario per la Sicilia a qualsiasi scelta autonomista e poneva al primo posto l’obiettivo dell’unificazione nazionale. Molto fitta fu pertanto la corrispondenza con gli esuli italiani che erano sparsi per l’Europa, ma soprattutto con i siciliani, tra i quali Crispi, rifugiato a Torino, di cui fu molto amico, e gli esponenti dei comitati rivoluzionari siciliani, in particolare quello di Palermo, che operavano in clandestinità.
A Genova frequentò la buona borghesia locale, a cui apparteneva Rosetta Borlasca, figlia di un notaio e moglie di Barnaba Agostino Quartara, della quale si innamorò, ricambiato. Iniziò così una lunga relazione, contrassegnata da sfide, duelli mancati, polemiche che lo avrebbe portato anche ad avere un figlio (sul quale mancano del tutto notizie).
Dopo il mancato duello con Quartara a Torino, nel giugno 1852 fu costretto dalla polizia ad allontanarsi da Genova e a vivere per qualche tempo a San Francesco d’Albaro (allora comune autonomo, oggi quartiere della periferia genovese).
Seguirono due anni problematici: sul piano politico per il fallimento del moto mazziniano di Milano del febbraio 1853; sul piano personale per la diffusione del colera a Genova, da cui fu colpito non gravemente nel settembre 1854. L’anno successivo le sue posizioni divennero uniformi a quelle del partito mazziniano: contro l’alleanza tra Piemonte, Francia e Inghilterra in occasione della guerra di Crimea e contro le pretese di Lucien Murat verso il trono di Napoli. Per contrastare il murattismo e «sollevare dinanzi all’opinione pubblica europea la questione napoletana» (Librino, 1949, p. 76) Pilo risiedé alcuni mesi a Torino operando in stretto contatto con gli altri esuli meridionali. Qui ricevette una lettera anonima che accusava Rosetta di tradimento; perciò si abbandonò a furiosa gelosia, meditò il suicidio e poi decise di allontanarsi ulteriormente da Genova e di trasferirsi a Parigi, dove dimorò diversi mesi. Tornò a Genova nell’estate 1856, ormai convinto dalle lettere dell’amata della sua innocenza.
Frattanto la situazione politica era cambiata perché molti democratici avevano aderito alla politica di Cavour, colpiti dal successo della sua partecipazione al congresso di Parigi. Pilo, tuttavia, non si sentiva di aspettare la lenta maturazione degli eventi per via diplomatica e continuava a progettare un movimento rivoluzionario in Sicilia oppure una spedizione capitanata da Giuseppe Garibaldi. Scoppiata nel novembre 1856 vicino a Palermo la rivolta capeggiata da Francesco Bentivegna, il 1° dicembre successivo Pilo si imbarcò per la Sicilia, ma a Messina seppe dell’arresto dei rivoltosi e proseguì per Malta per far sospendere l’invio di armi organizzato da Fabrizi.
Sei mesi dopo prese piede il progetto che sarebbe sfociato nell’infausta spedizione di Sapri. Pilo partì il 6 giugno 1857 con alcuni uomini e casse di armi e munizioni a bordo di una goletta che aveva il compito di precedere e rifornire la nave a vapore su cui avrebbe dovuto imbarcarsi Carlo Pisacane alcuni giorni dopo, ma una tempesta costrinse Pilo a gettare in mare il carico e a fare precipitoso ritorno a Genova. Un analogo tentativo fu messo in atto a fine mese, ma anche stavolta l’appuntamento con alcune barche da pesca guidate da Pilo non riuscì, probabilmente per un errore di rotta. A questo secondo fallimento si aggiunse qualche giorno dopo la facile repressione del moto che a Genova doveva accompagnare la rivoluzione nel Mezzogiorno. Pilo scappò a Malta, dove lo raggiunse la notizia della disfatta di Pisacane e del suo suicidio.
A Malta si fermò quasi un anno, frequentando fra gli altri Giovanni Corrao, futuro compagno nell’ultimo avventuroso atto della sua vita. Nel luglio 1858 si recò a Londra, dove suscitò l’apprensione del rappresentante borbonico per il fervore della sua attività; corrispondeva con Corrao, frequentava Giuseppe Mazzini e l’ambiente londinese intorno a lui; acquistò prestigio. Nella primavera del 1859 mentre si combatteva la guerra d’indipendenza contro l’Austria rimase a Londra, perché non credeva in Napoleone III e nell’alleanza franco-piemontese e si sentì avvalorato nelle sue opinioni dopo il trattato di Villafranca. Lasciò Londra solo alla fine di luglio 1859 e, senza passare per Genova, raggiunse Mazzini in Toscana. Il 17 agosto 1859 partì da Firenze con Giovanni Marangoni per portare alcune lettere del leader repubblicano a Bologna e Modena.
Nella notte, in albergo, fu arrestato dalla polizia e le lettere furono sequestrate. Restò in prigione fino al 25 settembre 1859, quando fu liberato per intervento di Garibaldi e portato in Svizzera. Dimorò a Lugano per circa tre mesi e poté tornare a Genova solo a dicembre. A Genova trovò i fuorusciti siciliani in grande fermento, con l’intenzione di promuovere uno sbarco in Sicilia. Nel marzo 1860, dopo aver avuto frenetici contatti con Crispi, Garibaldi e altri rivoluzionari, Pilo decise di partire con Corrao per mettersi alla testa dei cospiratori siciliani pronti a insorgere, in attesa dell’arrivo di Garibaldi. Partì da Genova il 26 marzo su una nave da carico e sbarcò a Messina il 10 aprile 1860, quando il moto cosiddetto della Gancia, scoppiato a Palermo qualche giorno prima, era già stato represso. Raccolti attorno a sé alcuni rivoluzionari, Pilo decise di puntare su Palermo, nei cui dintorni le bande erano ancora in attività. Percorse la costa settentrionale fino a Cefalù, poi piegò verso l’interno, ovunque invitando a tenersi pronti, ad attendere il segnale dell’insurrezione generale e l’arrivo di Garibaldi. Quando lo raggiunse la notizia che il 18 aprile alcune squadre di insorti erano state sconfitte a Carini, Pilo si adoperò per impedire il definitivo scioglimento delle bande armate e prese decisamente la via della montagna. Arrivato a Piana dei Greci cominciò a raccogliere gruppi di insorti, ma fu costretto a ripiegare per l’arrivo delle truppe borboniche (21-25 aprile). Il 12 maggio era a Carini, dove lo raggiunse la notizia dello sbarco di Garibaldi; il 18 maggio venne a conoscenza della vittoria di Calatafimi. Salvatore Calvino gli portò l’ordine di Garibaldi, che marciava verso Palermo, di portarsi «sulle alture a sud-est del monastero di San Martino, così da minacciare sul fianco le forze borboniche in Monreale, obbligandole a retrocedere» (Pieri, 1962, p. 665), ma la mattina del 21 maggio 1860 la sua squadra fu attaccata da due colonne nemiche e Pilo rimane ucciso, colpito da una pallottola alla testa.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Fondo Rosolino Pilo; Fondo Crispi (carte provenienti da Reggio Emilia), b. 2; Fondo Crispi (carte provenienti dall’Archivio di Stato di Palermo), b. 29; Fondo Crispi (carte provenienti dalla Deputazione di storia patria di Palermo), b. 143; Archivio di Stato di Siena, Fondo Ottaviano Fabrizio Mossotti, Corrispondenza; Verona, Biblioteca civica, Carteggio La Masa, b. 407. Documenti, lettere, incisioni, fotografie di Rosolino Pilo sono altresì conservate in vari fondi dell’Archivio dell’Istituto per la storia del Risorgimento di Roma e dell’Istituto Mazziniano - Museo del Risorgimento di Genova. Tra le molte biografie si segnalano: F. Venosta, R. P. e la rivoluzione siciliana. Notizie storiche, Milano 1863; C. Rocca, P. R., in Dizionario del Risorgimento nazionale, a cura di M. Rosi, III, Milano 1933, ad vocem; G. Falzone, R. P., Palermo 1942; E. Librino, R. P. nel Risorgimento Italiano, Palermo 1949. Fondamentale è la lettura dei suoi epistolari: Lettere di R. P. a Nicola Fabrizi, a cura di A. De Stefano, I, 1854-1855, Palermo 1956; II, 1856-1857, Palermo 1968; Lettere di R. P., a cura di G. Falzone, Roma 1972; F. Crispi, Lettere a R. P. (1849-1855), con introduzione e note di S. Candido, Roma 1991. Inoltre: G. Macchia, Due lettere di R. P. a Cesare Civello, in Bollettino della Domus Mazziniana, XVIII (1972), 2, pp. 239-244; G.M. Varanini, Lettere inedite di R. P. a Giuseppe La Masa, in Archivio storico siciliano, s. 3, 1972, vol. 21-22, pp. 350-360; S. Candido, Postilla crittografica alle ‘Lettere di R. P.’, ibid., XIX (1973), 1, pp. 82-86; G. Falzone, Replica a un giudizio dato su documenti non visti. A proposito dell’epistolario di R. P., Palermo 1975. Per il ruolo ricoperto durante la rivoluzione del 1848-49, oltre alle biografie e alle lettere: G. Lucifora, Dal 13 gennaio 1848 al 19 maggio 1849, in Memorie della rivoluzione siciliana dell’anno MDCCCXLVIII, Palermo 1898, passim; G. Romano-Catania, R. P. e la rivoluzione siciliana del 1848-49. Su documenti inediti, in Nuova Antologia, s. 4, 1904, vol. 114, pp. 274-302. Per gli ultimi anni di vita e la spedizione in Sicilia: R. Motto, Relazione esatta della spedizione di R. P. e Giovanni Corrao avvenuta nel 1860, Viareggio 1893; G. Paolucci, R. P. Memorie e documenti dal 1857 al 1860, Palermo 1899; G. Romano-Catania, R. P. Aprile 1849-maggio 1860. Con lettere e documenti inediti, in Nuova Antologia, s. 5, 1911, vol. 156, f. 957, pp. 58-80; f. 958, pp. 224-246; G. Maioli, La prigionia in Bologna di R. P., di G. Marangoni, di Alberto Mario e consorte, nell’agosto-settembre 1859, in Atti e Memorie della deputazione di storia patria per l’Emilia e la Romagna, n.s., 1936-37, vol. 2, pp. 173-193; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962, ad indicem.