VILLARI, Rosario
– Nacque a Bagnara Calabra, paese materno, il 12 luglio 1925, da Francesco, impiegato (poi dirigente) alle Poste di Reggio Calabria, e da Anna Isaia, insegnante, secondo di cinque figli, con Nicola, Claudio, Mirella e Lucio, anche lui storico.
Cresciuto con la famiglia a Reggio, vi studiò fino alla maturità classica, conseguita con un anno d’anticipo al liceo Tommaso Campanella.
Nel 1942 s’iscrisse all’Università di Firenze (seguì i corsi di Giuseppe De Robertis, Giacomo Devoto e Giorgio Pasquali); ma a causa della guerra si trasferì l’anno dopo all’Università di Messina. Si laureò in lettere e filosofia nel 1947, con una tesi sul Problema della libertà in Croce, Sartre e Gramsci, con Galvano Della Volpe.
Maturò in quegli anni la sua passione politica. Nel 1942 a Reggio ebbe «i primi contatti con gruppi antifascisti»; fu poi redattore del settimanale del Partito comunista (PCI) reggino Il Lavoratore, e nel 1944 s’iscrisse al partito (Archivio di Stato di Reggio Calabria, Cartella biografica). Nel 1947 diffuse un manifesto che contestava il ritardo della cultura reggina e meridionale di fronte alle esigenze dell’Italia uscita dal fascismo. Responsabile della Commissione stampa e propaganda e poi della Commissione culturale del PCI di Reggio, nel 1949-50 fu tra i leader dell’occupazione contadina delle terre, operando nelle zone di Caulonia, Bivongi, Pazzano e Stilo.
Proseguì negli studi dopo un esordio letterario sul Politecnico nel 1945-46, con tre racconti e una poesia firmati Sascia Villari, seguiti da tre novelle uscite sulla rivista Il Ponte e sull’Avanti! (1949-50). Maturato il suo interesse per la ricerca storica, nel 1953 pubblicò il primo saggio: Rapporti economico-sociali nelle campagne meridionali nel secolo XVIII. Stimolato dalla storia sociale francese, «soprattutto le opere di Marc Bloch e Georges Lefebvre che riguardavano il mondo agricolo, la sua storia, i suoi momenti di crisi e di sviluppo» (Tra passato e presente, 2003, p. 15), fu influenzato inoltre dal pensiero di Antonio Gramsci, da cui trasse temi d’indagine sui ceti subalterni, i rapporti fra popolo e intellettuali, il meridionalismo. Più in generale, Gramsci giocò un ruolo cruciale nella sua formazione «per il legame che instaurava fra impegno politico e impegno culturale» (Villari, 1995, p. 102).
Il passaggio alla storia emergeva anche sul piano accademico. Dapprima assistente incaricato della cattedra di storia medievale e moderna all’Università di Messina, nel 1954 vi divenne assistente ordinario di Ruggero Moscati e, dal 1958, professore incaricato di storia moderna.
Dal 1954, intanto, si era trasferito a Napoli con la moglie Aldina Degioannis, che sarebbe scomparsa prematuramente e da cui nacquero Francesco e Antonella. Nella città partenopea fu redattore e tra i principali animatori di Cronache meridionali, impegnandosi in particolare nel riprendere e analizzare testi di pensatori illuministi, liberali e democratici del meridionalismo. Principale frutto delle sue ricerche in tal senso fu la pubblicazione dell’antologia Il Sud nella storia d’Italia edita con Laterza (Bari 1961), più volte riedita. Parallelamente, proseguì le ricerche sulle campagne meridionali, confluite in parte in Mezzogiorno e contadini nell’età moderna, altro suo libro di successo uscito sempre per Laterza nel 1961.
Gli anni napoletani coincisero con l’invasione sovietica in Ungheria. Il 28 ottobre 1956 uscì su l’Unità (p. 1) un documento della Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) che condannava i «metodi antidemocratici di governo», in nome «della più ampia affermazione dei diritti di libertà, di democrazia e di indipendenza nazionale». Villari e altri studiosi del PCI, a latere di un convegno dell’Istituto Gramsci, il giorno stesso indirizzarono una lettera di sostegno al sindacato scrivendo: «Abbiamo letto e pienamente condiviso la dichiarazione della Segreteria della CGIL sugli avvenimenti di Ungheria, nonché il commento che il compagno Di Vittorio ha voluto aggiungere ad essa. Ci felicitiamo con tali iniziative e vi salutiamo fraternamente» (Archivio storico CGIL nazionale, Atti e corrispondenza, b. 5, f. 93). Ciò gli causò attriti con il partito a Napoli, e la momentanea «destituzione dai comitati e organismi politici di cui facevo parte» (Villari, 1992, p. 317).
Nel 1958 fu tra i promotori della rivista Studi storici edita dall’Istituto Gramsci, uscita dall’anno seguente. La rivista fu diretta da Gastone Manacorda fino al 1964, quando fu affiancato da un comitato di direzione comprendente anche Villari, che ne sarebbe stato condirettore nel 1967-73 e direttore unico nel 1976-82.
Proseguirono al contempo i suoi studi sulla storia del Mezzogiorno: da ricordare una missione nel 1959 a Simancas, a stretto contatto con Federico Chabod. Sia la ricerca empirica sia l’allargamento delle prospettive storiografiche contribuirono alla svolta che lo indusse a spostare lo sguardo dal Sette-Ottocento al Cinque-Seicento, in particolare al lungo processo di gestazione della rivoluzione napoletana del 1647-48. Nacquero così i saggi preparatori che lo portarono alla Rivolta antispagnola a Napoli. Le origini 1585-1647 (Bari 1967).
La Rivolta ebbe sin dagli inizi un notevole impatto. Se suscitò pure critiche in alcuni settori della storiografia italiana, soprattutto per l’uso del termine «rifeudalizzazione» (fenomeno che, al di là dell’espressione, studi successivi hanno confermato), fu più volte riedita; e all’estero divenne un classico, inserendosi nell’importante dibattito sulla crisi del Seicento, animato da alcuni dei più grandi storici del Dopoguerra, tra cui Eric J. Hobsbawm e John Elliott che divennero tra l’altro cari amici di Villari. Recensendo la Rivolta sull’American historical review (LXXIII, 1968), Eric Cochrane la presentò come un «masterpiece of historical writing», giudicandone alcune pagine «equal to some of the best passages in Guicciardini» (p. 1566). Tradotta in spagnolo nel 1979 per Alianza Editorial, nel 1993 uscì in inglese per Cambridge University Press.
Nel frattempo, nel 1968 Villari era divenuto professore ordinario di storia moderna a Messina, da cui si spostò dal 1971 a Firenze per approdare dal 1979 alla Sapienza di Roma, dove chiuse la carriera da professore emerito. Tra il 1968 e il 1970, inoltre, uscì per Laterza il suo famoso manuale di storia, che ebbe oltre trenta ristampe e sul quale si formarono generazioni di italiane e italiani fino agli anni Novanta del Novecento, quando avviò una revisione che lo portò a un nuovo manuale dal titolo Sommario di storia (2002).
Con gli anni Settanta si consolidò la sua posizione internazionale (fu tra l’altro visiting professor al St. Antony’s College di Oxford nel 1974), mentre era proseguito il suo impegno civile e politico. Era entrato a far parte del Comitato centrale del PCI e, nel 1976, il partito lo candidò capolista alla Camera dei deputati in Calabria: risultò eletto con oltre 130.000 preferenze (l’Unità, 24 giugno 1976, p. 3).
In quegli anni Villari si impegnò a sostegno degli intellettuali del dissenso nei Paesi ricadenti nell’orbita sovietica. Nel 1976 promosse la pubblicazione, per Editori Riuniti, del saggio La rivoluzione d’ottobre era inevitabile? dello storico russo Roj A. Medvedev; e nel 1977, con altri intellettuali del PCI (Nicola Badaloni, Biagio De Giovanni, Lucio Lombardo Radice, Cesare Luporini e Carlo Smuraglia), redasse un appello di solidarietà al movimento cecoslovacco Charta 77, animato da personalità come il futuro presidente Václav Havel. In una Dichiarazione di intellettuali comunisti sulla Cecoslovacchia, apparsa in prima pagina sul quotidiano l’Unità (13 gennaio 1977), i sei espressero «grave preoccupazione» per «le costrizioni imposte all’esercizio dei diritti civili e politici, gli impedimenti alle libertà di ricerca, di espressione, di pubblicazione e di dibattito». Sempre nel 1977 fu, con Bruno Trentin, l’unico esponente del PCI a partecipare al Convegno internazionale di Venezia su Potere e opposizione nelle società post-rivoluzionarie, organizzato dal quotidiano Il Manifesto a ridosso della Biennale del Dissenso. La sua esperienza parlamentare si concluse nel 1979.
Negli anni Ottanta Villari era ormai divenuto uno dei modernisti italiani più noti a livello internazionale (visiting professor all’Institute for advanced studies di Princeton nel 1981-82), affermandosi fra i massimi seicentisti con saggi innovativi tra cui l’Elogio della dissimulazione (Roma-Bari 1987), nel quale riformulò il tema dimostrando come simulazione e dissimulazione fossero anche strumenti di critica e opposizione al potere e non solo tecniche usate dal potere stesso. Nel 1991 diresse il volume L’uomo barocco nell’ambito del progetto internazionale L’uomo nella storia (pubblicato da Laterza ed edito in diverse lingue), i cui restanti volumi furono diretti, tra gli altri, da Jean-Pierre Vernant, Jacques Le Goff, Eugenio Garin, Michel Vovelle, François Furet. Nel 1994 pubblicò (sempre per Laterza) Per il re o per la patria. La fedeltà nel Seicento nel quale, sulla base di alcuni testi apparsi durante la rivoluzione napoletana (tra cui Il cittadino fedele), avviò una riconsiderazione del concetto di fedeltà, valorizzando una corrente di patriottismo democratico affermatasi nei mesi della rivoluzione.
Nel 1990, intanto, era stato ascritto all’Accademia nazionale dei Lincei e da quello stesso anno al 1995 fu presidente della giuria del premio Viareggio. Dimessosi da quest’ultima carica, nel 1996 assunse la presidenza della Giunta centrale per gli studi storici ed entrò a far parte dell’International committee of historical sciences. Lasciata la Giunta nel 2000, continuò a impegnarsi – con saggi, articoli, interventi radiofonici e televisivi – nella difesa del ruolo della storia. Nel 2002 fu tra i promotori e fondatori della SISEM (Società Italiana per la Storia dell’Età Moderna).
Continuò, inoltre, il suo impegno civile. Tra le sue ultime battaglie ci furono l’opposizione alla costruzione del ponte sullo Stretto di Messina e alla riforma costituzionale (incentrata sull’elezione diretta del premier e su fortissime autonomie regionali) votata dal centrodestra nel 2005 e rigettata nel referendum celebrato nel 2006.
Nel 2012 portò a compimento l’ultra cinquantennale lavoro sulla rivoluzione napoletana, uscendo per Mondadori il ponderoso Un sogno di libertà. Napoli nel declino di un impero 1585-1648, volume che, con Politica barocca (Roma-Bari 2010), rappresenta il suo testamento storiografico.
Morì a novantadue anni il 17 ottobre 2017, a Cetona, dove aveva un casolare in cui trascorreva lunghi soggiorni con la moglie Anna Rosa Santi. Della cittadina senese (oltre che di Cosenza e di Bagnara) era cittadino onorario.
Opere. Oltre ai libri citati: Mezzogiorno e democrazia, Roma-Bari 1978 (1964); Ribelli e riformatori dal XVI al XVIII secolo, Roma 1983 (1979); Storia dell’Europa contemporanea, Roma-Bari 1985 (1971); Mille anni di storia. Dalla città medievale all’unità dell’Europa, Roma-Bari 2005 (2000). Tra le curatele: Scrittori politici dell’età barocca, Roma 1998 (con L. Perini); Filippo II e il Mediterraneo, Roma-Bari 2003 (con L. Lotti); Universalismo e nazionalità nell’esperienza del giacobinismo italiano, Roma-Bari 2003 (con L. Lotti); G. Genoino, Memoriale dal carcere al re di Spagna, Firenze 2012. Per il resto, fino al 2005, cfr. E. Valeri, Bibliografia degli scritti di Rosario Villari, in Storia sociale e politica. Omaggio a Rosario Villari, a cura di A. Merola - G. Muto - E. Valeri - M.A. Visceglia, Milano 2007, pp. 11-29.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Reggio Calabria, Archivio del PCI - Federazione provinciale Reggio Calabria, Serie 6.1: Iscritti al partito, Biografie, Cartella biografica di Villari Rosario, b. 3, cc. n.n.; Biografia di Villari Rosario; P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, V, Torino 1975, pp. 150, 413; N. Ajello, Intellettuali e Pci 1944/1958, Roma-Bari 1979, pp. 333, 348 s.; G. Manacorda, Il movimento reale e la coscienza inquieta, a cura di C. Natoli - L. Rapone - B. Tobia, Milano 1992, ad ind.; R. Villari, Incontri con Gastone Manacorda, ibid., pp. 312-319; Id., Anni ’50-’70: Gramsci e la storia, intervista con S. Disegni, in Il cannocchiale. Rivista di studi filosofici, III (1995), pp. 101-108; N. Ajello, Il lungo addio. Intellettuali e Pci dal 1958 al 1991, Roma-Bari 1997, pp. 129, 131-133, 174, 345; F. Benigno, Specchi della rivoluzione, Roma 1999, ad ind.; R. Villari, Ruggero Moscati nel ricordo di un collaboratore e amico, in La figura e l’opera di Ruggero Moscati, a cura di I. Gallo, Salerno 2000, pp. 9-15; E. Hobsbawm, Interesting times. Twenthieth-century life, London 2002 (trad. it. Anni interessanti. Autobiografia di uno storico, a cura di B. Lotti, Milano 2004, pp. 388, 395); Tra passato e presente (colloquio con R. V.), in Élite e Storia. Semestrale di studi storici, III (2003), pp. 9-15; G. Napolitano, Dal Pci al socialismo europeo. Un’autobiografia politica, Roma-Bari 2005, ad ind.; J. Elliott, Naples in context. The historical contribution of R. V., in Storia sociale e politica. Omaggio a R. V., cit., pp. 33-45; D. Cantimori - G. Manacorda, Amici per la storia. Lettere 1942-1966, a cura di A. Vittoria, Roma 2013, ad ind.; A. Vittoria, Togliatti e gli intellettuali. La politica culturale dei comunisti italiani, Roma 2014, ad ind.; F. Ambrogio, Venti di speranza. La Calabria tra guerra e ricostruzione 1943-1950 (con premessa di R. Villari), Soveria Mannelli 2017, ad ind.; F. Giasi, V. voleva fare lo scrittore ma fu rapito da Marx e da Gramsci, in Strisciarossa, 20 ottobre 2017 (http://www.strisciarossa.it/villari-lo-storico-che-voleva-essere-scrittore-e-fu-rapito-da-marx-e-da-gramsci/, 3 giugno 2020); L. Rapone, R. V., in Studi storici, LVIII (2017), pp. 873-879; U. Gentiloni Silveri, Briefly remembering R. V., in Journal of modern Italian studies, XXIII (2018), pp. 229-233; R. V. Storiografia e politica nel secondo dopoguerra, in Studi storici, LXI (2020) (n. monografico con saggi di L. Addante, F. Barbagallo, E. Bernardi, F.J. Bouza, M. Ciliberto, J. Davis, J. Elliott, M. Formica, U. Gentiloni Silveri, F. Giasi, L. Masella, G. Muto, S. Pons, A.M. Rao, L. Rapone, L. Ribot Garcia, E. Valeri, P. Ventura, M.A. Visceglia).