SCUDERI, Rosario
SCUDERI, Rosario. – Nacque a Viagrande (Catania) il 15 ottobre 1767. Non si conoscono i nomi dei genitori.
Lo zio paterno Francesco Maria, sacerdote e medico, era una figura rilevante nel panorama della Catania e della Sicilia di fine Settecento. Condotto a Francavilla, protomedico di Catania e cattedratico di Medicina pratica in quella città, autore di opere sul vaiolo, ippocratico convinto, fu il tipico esponente di una solida cultura medica, fondata sui testi e sull'esperienza, ma del tutto inadeguata a registrare il grande cambiamento in corso nella scienza medica europea (cfr. L. Vigo, Il sacerdote Francesco M. Scuderi, in Biografia degli uomini illustri della Sicilia, III, a cura di G.E. Ortolani, Napoli 1819, ad vocem).
Rosario Scuderi crebbe all'ombra dello zio, che ne curò l'educazione, dai primi passi a Catania fino al trasferimento a Napoli. Nel 1786 infatti Rosario accompagnò nella capitale lo zio, che si recava a presentare al re Ferdinando I di Borbone la sua memoria sull'estinzione del vaiolo. Il giovane decideva di rimanervi per studiare medicina. Gli anni napoletani costituirono un punto di svolta nella sua formazione. Scuderi si trovò a contatto con un ambiente di grande apertura e fervore intellettuale. Ebbe fra i suoi maestri Domenico Cotugno, il botanico e medico Vincenzo Petagna, il chimico Giuseppe Vairo e Domenico Cirillo. Il suo maestro diretto, secondo le biografie, sarebbe stato un altro protagonista della cultura napoletana di fine Settecento, il fisiologo e medico assistente all’ospedale degli Incurabili Antonio Sementini, più tardi lettore di Fisiologia e Patologia all’università (cfr. A. Borrelli, Domenico Cotugno, p. 98; A. Mazzarella, Antonio Sementini, in D. Martuscelli, Biografia degli Uomini Illustri del Regno di Napoli, IV, Napoli 1817, ad vocem). Come gran parte dell’ambiente medico napoletano, Sementini era molto influenzato dalla medicina francese e fortemente avverso alla teoria dell'irritabilità di Brown, che rimarrà sempre uno dei bersagli dei suoi scritti. In questi anni maturò la decisione di Scuderi di dedicarsi alla storia della medicina, una disciplina che nella Napoli di questo periodo, in cui l’influenza delle opere di Giambattista Vico era ancora molto forte, venne percepita come una necessaria propedeutica alla scienza medica vera e propria.
L' Introduzione alla storia della medicina antica e moderna vide la luce nel 1794 a Napoli, presso G. M. Porcelli. Venne ristampata nel 1796, sempre a Napoli presso i fratelli Marotta, a Venezia (senza nome dell’editore) e a Milano, presso Pirotta e Maspero, nel 1800. L’opera ebbe quindi un notevole successo: in pieno decennio francese, nel 1810, l’opera venne pubblicata a Parigi (Introduction à l’Histoire de la Médecine ancienne et moderne, tradotta da Charles Billardet) e successivamente ristampata nel 1814 a Napoli, nella Stamperia Reale, e a Padova, coi tipi della Minerva, nel 1824 e nel 1831. Se ne trova l’eco in diversi periodici napoletani e italiani, che la recensirono con grandi lodi, abbastanza insolite per un autore ancora giovane. Una parte di questo successo si dovette senz’altro all’atmosfera favorevole creata in Italia dalle traduzioni e dalla fortuna della storia della medicina del botanico tedesco Kurt Sprengel, ma anche all’ottima strutturazione, e soprattutto all’‘italianità’, del lavoro del siciliano.
Il lavoro si proponeva come una breve introduzione a un Saggio sopra la Medicina Teorica, ma era cresciuto oltre le intenzioni del suo autore. Scuderi adottava la nozione di «epoca», come momento preminente intorno a cui organizzare lo sviluppo di una disciplina, e ne individuava nove, con un’ulteriore suddivisione in medicina antica, fino alla Scolastica, e moderna, fino al sistema di Brown. Come nella tradizione di questo genere, Scuderi dava grande importanza alla medicina delle origini e alle figure mitologiche che la avrebbero animata. La medicina moderna si raccoglieva intorno alla chimica, e in particolare a quella di Van Helmont, alla meccanica e alla fisica di Boerhaave. La trattazione sulla medicina del Settecento, praticamente contemporanea all’autore, è interessante perché si propone come una rivendicazione del carattere congetturale e imperfetto del sapere medico e un manifesto contro i sistemi, a favore di una lenta accumulazione di fatti scientifici meticolosamente verificati. Il rifiuto della dottrina di Brown è totale, e deriva dall’essere questa l’ennesima setta dogmatica, fondata su principi semplici e non dimostrabili, comparsa sulla scena della medicina, e analoga a quelle di Tessalo o di Descartes.
Dopo il 1801, e prima del 1804, Scuderi tornò in Sicilia, dove occupò all’Università di Palermo la cattedra di Medicina teorica, che nel 1801 era stata divisa in Fisiologia e Patologia (G. Algeri-Fogliani, Prospetto delle scienze e della letteratura del secolo Decimonono in Sicilia, Scienze Mediche. Fisiologia, in Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia, XXIV, Palermo 1839, pp. 129-143). A Palermo tenne una prolusione sulla teoria delle scienze, Discorso sulla teoria delle scienze in generale, e si dedicò a un’opera ambiziosa ma che rimase incompiuta e almeno in parte inedita, delle Institutiones di medicina teorica di cui ci restano solo abbozzi, e di cui la Storia doveva essere l’introduzione. La sola parte che fu pubblicata è il Programma di un sistema di medicina teorica, ordinato secondo i principi del metodo analitico, con cinque tavole sinottiche (Palermo 1804). Secondo uno dei suoi biografi, «la morte dell’autore stornò la pubblicazione della grand’Opera in questo quadro delineata» (A. Narbone, Bibliografia sicola sistematica o apparato metodico alla storia letteraria della Sicilia, III, Palermo 1854, p. 156).
Secondo il piano, l’opera avrebbe dovuto essere composta di quattro discorsi, di cui quello pubblicato è solo l’ultimo; secondo una testimonianza di poco più tarda (D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, Palermo 1859, pp. 386-389) la tesi principale del libro avrebbe dovuto essere l’unitarietà di fisiologia patologia e terapeutica. Sulle orme di Xavier Bichat, Scuderi avrebbe ridotto i fenomeni vitali al solo moto e alla forza organica vitale, ma cumulando la vita inorganica e quella organica, che invece il francese Bichat aveva lasciato separate, e che sarebbero state in seguito riunite da François Magendie. Per Scuderi, che delineava una teoria dei sintomi rifacendosi anche qui alla tradizone italiana e lodando Baglivi, le malattie erano un eccesso o una mancanza di irritazione. Altre parti del libro sarebbero state dedicate alla teoria medica (cfr. R. Scuderi, Discorso della teoria medica in particolare e de’ differenti metodi di trattarla, Giornale del Gabinetto letterario dell’accademia gioenia di Catania, III, 1834, p. 21 ss., 94, p. 236 (cit. in A. Narbone, Bibliografia sicola sistematica o apparato metodico alla storia letteraria della Sicilia, III, Palermo 1854, p.156), pubblicato postumo: si tratta probabilmente ancora di una parte del lavoro inedito); e a «i principii del metodo di filosofare in medicina» (Scinà, Prospetto…, cit., p. 386). Tra gli argomenti trattati, la vexata quaestio delle malattie ereditarie.
La battaglia intrapresa da Scuderi contro il riduzionismo chimico ne avrebbe probabilmente decretato l’inattualità in un’epoca in cui si andava affermando una fisiologia incentrata proprio sulla chimica. In ogni caso, il giovane medico si ammalò gravemente, probabilmente di disturbi mentali: nel 1805 lasciava la cattedra di Patologia a Palermo in seguito a dissapori con i colleghi o, come dicono i biografo, per «gli errori della sua immaginazione» o «per gli spettri della sua fantasia» (rispettivamente F. Strano, Catalogo Ragionato della Biblioteca Ventimilliana esistente nella Regia Università degli studi di Catania, Catania 1830, p. 457, e Scinà, Prospetto…, cit., p. 389). Nel 1806, ottenuta licenza da Alessendro Filangieri, viceré di Sicilia, si imbarcò a Messina e viaggiò a Trieste, Venezia, Verona.
Morì a Verona il 21 maggio 1806.
La fama di Scuderi, autore di una sola opera di rilievo, morto ancora giovane, restò viva nella medicina italiana di primo Ottocento. Fu ricordato non solo come autore di opere storiche: secondo le testimonianze, fu anche un capace medico pratico al letto degli infermi. Morto prima della fondazione dell’Accademia Gioenia di Catania, fu amico di molti di coloro che la animarono.
Fonti e bibl.: Componimenti recitati nell’aula dell’Università di Catania il dì 21 maggio 1807 in morte del dott. R. S., Catania 1811; G. E. Ortolani, Dottor R. S., in Biografia degli uomini illustri della Sicilia, t. I, Napoli 1817, ad vocem; C. Biondi, O. Sozzi, R. S. e Quattrocchi, celebre medico: nato in Viagrande li 15 ottobre 1767, morto in Verona li 21 maggio 1806, Napoli 1817.