NICOLO, Rosario
NICOLÒ, Rosario. − Nacque a Reggio Calabria il 12 settembre 1910, da Francesco e da Teresa Surace.
Proveniente da una famiglia modesta, rimasto presto orfano del padre, trovò sostegno in uno zio per la prosecuzione degli studi. La precocità fu il segno della sua carriera. A 20 anni si laureò in giurisprudenza all’Università di Messina, a 24 vinse la cattedra di diritto civile in un concorso bandito dalla facoltà di giurisprudenza di Catania. L’inconsueto cursus honorum, frutto di un esordio scientifico di particolare rilievo, attirò l’attenzione di Filippo Vassalli, all’epoca personaggio chiave nell’ambito universitario e in quello politico, che rimase colpito da quella che sarebbe stata poi definita l’‘intelligenza sistematica’ del giovane studioso (Rondinone, 2003). A Vassalli, negoziatore del Concordato del 1929 tra lo Stato e la Chiesa, era stato affidato il compito di guidare il lavoro di riforma della codificazione civile ed egli per questo delicatissimo incarico volle al suo fianco Nicolò, il cui peso divenne sempre più rilevante nella redazione del nuovo codice.
Esaminando i documenti d’archivio pubblicati da Nicola Rondinone, infatti, si può concludere che, nella tessitura del codice, Nicolò progressivamente assunse un ruolo secondo soltanto a quello di Vassalli il quale, carico per sua stessa ammissione di numerosi impegni, delegò sempre più largamente il lavoro al suo fido collaboratore, anche per quanto riguardava i rapporti diretti con il guardasigilli Dino Grandi. Nicolò riuscì nell’impresa difficile di essere interlocutore continuo e affidabile dei politici e degli studiosi. Un’espressione rivelatrice, «il nostro Nicolò» compare sia in una lettera del 29 agosto 1939 di Grandi, sia in una lettera del gennaio 1941 di un autorevolissimo studioso del diritto processuale, Enrico Redenti (ibid., pp. 186, 483). Accanto all’azione ufficiale di commissioni e sottocommissioni, all’attenzione continua dei rappresentanti del ministero di Grazia e giustizia, si coglie in tutte le materie affrontate la presenza costante del giovane professore. E se, nella fase iniziale di stesura del libro sulle successioni, questa poteva essere giustificata proprio dai suoi studi in materia, dopo non vi fu questione politicamente delicata e tecnicamente impegnativa che non gli venisse affidata. Alla sapienza giuridica affiancava una notevole capacità di persuasione; in una comunicazione a Grandi, uno dei collaboratori del ministro riferì di un colloquio con Nicolò, che gli aveva detto: «che le cose vanno bene, solo che i Membri della Commissione fanno molte discussioni, di varie ore, per poi finire di accogliere quasi sempre le sue proposte» (ibid., p. 348).
Non sorprende, allora, trovare Nicolò direttamente coinvolto in scelte decisive, quali furono quelle relative all’unificazione del diritto privato, con la soppressione del codice di commercio, e al libro del codice dedicato alla tutela dei diritti. Gli fu affidato anche un tema assai controverso e politicamente impegnativo, come quello delle ‘iniezioni corporative’ nel codice. Si mostrò freddo di fronte ai tentativi di ‘corporativizzare’ il progetto e, più tardi, avrebbe parlato di questa fase del lavoro di redazione come di un tempo in cui «premevano confuse istanze politiche che volevano fare del codice una espressione delle ideologie fasciste, aderente a quella che si qualificava la concezione corporativa dello Stato e dell’economia» (Codice civile, in Enciclopedia del diritto, VII, Milano 1961, p. 244). La sua presenza, in ogni modo, rimase costante, fino alla revisione e al coordinamento finale del testo approvato.
Quelli del codice furono così per Nicolò veri anni formativi. Si proiettò al di là della dimensione soltanto tecnica del lavoro giuridico (a ciò lo incitava lo stesso Grandi); conobbe le logiche che governavano i rapporti con gli ambienti politici; si familiarizzò con il mondo accademico ed entrò in contatto con l’alta magistratura, senza manifestare alcuna forma di soggezione. Il suo futuro fu fortemente segnato da questa esperienza, che tuttavia venne tutta ricondotta all’interno del mondo accademico e professionale, senza aperture o concessioni verso una più diretta presenza nella vita pubblica.
È nell’esperienza professionale che può essere ritrovata qualche traccia della sua attenzione per questioni rilevanti più dal punto di vista sociale che da quello strettamente politico, come avvenne nel 1971 con la difesa davanti alla Corte costituzionale della legittimità della legge sul divorzio, insieme a Paolo Barile ed Enzo Cheli.
Dalla metà degli anni Trenta ebbe inizio l’iter accademico che lo portò a insegnare, dopo Catania (1937-40), nelle Università di Pisa (1940-43), Napoli (1943-53) e infine Roma, prima nella facoltà di economia e commercio (1953-55) e poi, dal 1955 al 1980, in quella di giurisprudenza, di cui fu preside dal 1966 al 1980.
Nel 1937 sposò Luciana Ligas, da cui ebbe due figli, Angela Maria e Francesco.
Il percorso accademico di Nicolò fu caratterizzato da un’attenzione costante e assai viva per la scuola. All’insegnamento si dedicò con particolare impegno didattico, di cui sono prova le lezioni contenute in un volume che ha avuto influenza ben al di là dei corsi universitari (Istituzioni di diritto privato, Milano 1962). Negli anni romani raccolse intorno a sé e indirizzò il lavoro di numerosi studiosi giovani, che avrebbero contribuito al rinnovamento degli studi di diritto civile, nel tempo in cui egli stesso rimeditava il significato assunto da questa storica partizione del diritto, e il suo ruolo magistrale si contrassegnò per l’estremo rispetto della varietà delle opinioni che egli stesso sapeva suscitare. Esercitò un’influenza notevole nella selezione dei professori di materie privatistiche attraverso i concorsi. La sua lunga presidenza della facoltà giuridica romana fu segnata da un organico più che raddoppiato, che consentì la chiamata di un significativo gruppo di giovani studiosi, e da una presenza vigile nelle difficili giornate del 1968, durante le quali era frequente vederlo di fronte alla facoltà occupata.
Accanto allo studioso rigoroso e attento al nuovo, al didatta scrupoloso, emerse progressivamente una figura professionale che lo portò a divenire il più importante avvocato civilista d’Italia, esercitando così «l’arte del diritto» (Presentazione, in Raccolta di scritti, I, Milano 1980, p. V). Impressionava, nelle discussioni in Cassazione come in ogni altra occasione, la sicurezza del suo intuito giuridico che gli consentiva di individuare con implacabile logica il punto chiave d’ogni questione con una straordinaria chiarezza nell’argomentare. Fu così protagonista di una serie di importantissimi e anche clamorosi processi civili (spicca quello riguardante l’eredità di Casa Savoia), consulente di grandi imprese pubbliche e private (l’IRI lo chiamò a far parte della commissione per il riordino delle partecipazioni statali), componente di una serie di consigli di amministrazione con posizioni di notevole responsabilità (Assicurazioni Generali, Montedison, Cassa di Risparmio di Roma).
Quella sua ricca e multiforme attività fu interrotta da un episodio drammatico, che lo avrebbe segnato negli anni immediatamente successivi. La sera del 28 aprile 1977 fu rapito, tenuto prigioniero per più di un mese, rilasciato dopo il pagamento di un ingente riscatto. I rapitori non furono mai individuati.
L’opera scientifica di Nicolò ebbe un avvio particolarmente intenso. Tra il 1932 e il 1936 pubblicò quattro importanti lavori: Il negozio delegatorio (Messina 1932), La vocazione ereditaria diretta e indiretta (ibid. 1934), Il riconoscimento e la transazione (ibid. 1934) e infine L’adempimento dell’obbligo altrui (Milano 1936), sicuramente l’opera sua più significativa. In quella fase della ricerca è evidente l’impronta dommatica, tipica della scienza giuridica italiana del tempo, che tuttavia in quella che fu detta la ‘scuola messinese’ rivelava venature a loro modo ‘realistiche’, che la allontanavano dal concettualismo senza sbocchi di altri gruppi di studiosi. Questa attitudine trovò conferma nella ricerca di Salvatore Pugliatti e, appunto, di Nicolò. Tra il 1942 e il 1977, questi dedicò puntuali commenti all’usufrutto, l’uso e l’abitazione (in Commentario del codice civile. Libro della proprietà, a cura di M. D’Amelio, Firenze 1942); con particolare ampiezza, all’azione surrogatoria e all’azione revocatoria (in Commentario del codice civile, Libro VI, a cura di A. Scialoja - G. Branca, Bologna-Roma 1953); alla responsabilità patrimoniale (ibid., Bologna-Roma 1955); al matrimonio putativo (in Commentario della riforma del diritto di famiglia, a cura di L. Carraro - G. Oppo - A. Trabucchi, Padova 1977).
Ma la connessione tra la costruzione sistematica delle categorie e i dati di realtà si coglie con assoluta evidenza nella prolusione romana del 1956, dedicata a Riflessioni sul tema dell’impresa e su talune esigenze di una moderna dottrina del diritto civile (in Rivista del diritto commerciale, LVI [1956], 1, pp. 177-195). Registrando il fatto che, nel codice civile, «per la prima volta l’istituto giuridico della impresa, come situazione oggettiva che fa capo all’imprenditore, si pone al centro del sistema del diritto privato», Nicolò riconduce l’impresa allo schema del diritto di proprietà, con una operazione che fa corrispondere il passaggio economico e sociale dalla proprietà all’impresa con una attribuzione a quest’ultima della più forte tra le tutele privatistiche.
Nel titolo della prolusione, la cui tesi suscitò un dibattito vivace, si coglie però uno sguardo gettato al di là della questione specifica. Negli anni Sessanta, infatti, Nicolò compì una significativa riflessione proprio sulla moderna dottrina del diritto civile, che si svolse in due tempi, entrambi scanditi da voci dell’Enciclopedia del diritto (Milano, Giuffrè). Affrontò la questione nel 1960, in prospettiva storica, con la voce Codice civile (VII, pp. 240-250) nella quale offre una lettura della codificazione che, senza trascurarne i limiti e le manchevolezze, ne accentua la valenza propriamente tecnica, con notazioni importanti dalle quali è innescata una discussione che non può essere mirata unicamente a stabilire se questo, come i contributi di altri studiosi, avesse come unico obiettivo quello di ridimensionare il ruolo politico dei giuristi. Con la voce Diritto civile (X, 1964, pp. 904-923), l’orizzonte viene allargato. Si prende atto della novità rappresentata dall’entrata in vigore di una costituzione rigida e del passaggio di alcuni classici principi civilistici nella dimensione costituzionale. Questo, da una parte, conferma il necessario distacco del diritto civile dai metodi puramente concettualistici; e, dall’altra, impone una nuova riflessione sull’autonomia individuale e i suoi limiti. Da qui la sottolineatura, che si trova in un suo scritto di commiato, della «funzione del giurista nella società civile», che può anche farlo divenire «protagonista impegnato del tumultuoso cammino della società» (Presentazione, cit:, p. VII).
Morì a Roma nella notte del 1° gennaio 1988.
Opere: I lavori di Nicolò sono stati in gran parte ripubblicati nella Raccolta di scritti (I-II, Milano 1980; III, ibid. 1985).
Fonti e Bibl.: N., R., in Novissimo Digesto Italiano, XI, Torino 1965, p. 567; C. Grassetti, R. N., in Rivista di diritto civile, XXXIV (1988), 5, pp. 713-715; N. Lipari, In ricordo di R. N., in Vita notarile, XLV (1993), 1, pp. 92-99; G. Alpa, La cultura delle regole. Storia del diritto civile italiano, Roma-Bari 2000, pp. 356 s.; N. Rondinone, Storia inedita della codificazione civile, Milano 2003, ad ind.; P. Grossi, Il diritto civile italiano alle soglie del terzo millennio (una pos-fazione), in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico, XXXIX (2010), pp. 470 s.; R. N., a cura di N. Lipari, Napoli 2011.