BOSCO, Rosario Garibaldi
Nacque a Palermo il 28 luglio del 1866 da Niccolò e Teresa Patorno, in una famiglia della media borghesia di idee democratiche. Conseguito il diploma di ragioniere, e sposatosi con Concetta Seminara, s'impiegò, dal 1886, nella Società agrumaria siciliana e, dal 1892, presso la ditta Teodoro Leone. Dall'età di 15 anni aveva preso a frequentare i circoli operai di Palermo per i cui iscritti leggeva i giornali e gli opuscoli socialisti. Nell'83 partecipò alle dimostrazioni per Oberdan; sei anni dopo si andava orientando sulle pagine del Socialismo di N. Colajanni: fu così tra i protagonisti di quel moto di opinione che, nel nome di Colajanni appunto, fondò il circolo universitano Mameli e il circolo radicale, a presiedere il quale venne chiamato nel 1891. L'anno seguente fondava il Fascio operaio di Palermo.
Erano gli anni in cui, a grandi passi, l'associazionismo operaio si svincolava dal mutualismo per assumere in forma più diretta "il problema delle questioni sociali". Erano stati fondati i Fasci di Messina (nel 1888, da Petrina) e di Catania (nel 1891, da De Felice), quando, nell'aprile del 1891, in un comizio a Palermo, si stabilirono i primi legami ufficiali tra i socialisti isolani. Deboli legami, se, quando Dell'Avalle e Casati nel febbraio del '92, in occasione dell'Esposizione nazionale, scesero a Palermo, dovettero deporre il gonfalone della Federazione milanese presso il municipio per non aver trovato "una vera e propria associazione operaia". Essa prendeva corpo, nello spazio di pochi mesi, per la febbrile iniziativa del B.: evitando, come ebbe a dichiarare, l'esempio milanese e quello di Catania (a cui peraltro guardarono molti Fasci siciliani), era "sul modello della Camera del lavoro di Parigi che a Palermo procurai di foggiare il Fascio, diviso per sezioni d'arti e mestieri". In realtà, più che un modello specifico - perché tutti i Fasci cittadini, su di un impianto tra mutualistico (servizi sanitario-farmaceutici, assicurazione sulla vita) e cooperativistico (cooperazione di consumo e di lavoro, con una particolare attenzione prestata dal B. per la seconda e l'impegno di inserirsi nel gioco delle aste pubbliche), rinvigorito da un più preciso intento politico (difesa gratuita per gli incriminati politici, scuola per adulti e di cultura politica), distesero una maglia di sezioni "per arti, professioni e mestieri" (statuto del Fascio di Catania) - il B. seguì il maturare delle proprie idee che, dalla forma, comune a tutti i Fasci, di organizzazione tra sindacale e politica (v. F. S. Romano) lo portavano a porre con particolare vigore l'accento sul secondo momento e a caratterizzarlo nel senso di uno stretto collegamento, pratico e ideologico, con il movimento socialista nazionale.
Nel maggio 1892 il B. partecipava al XVIII Congresso delle Società operaie affratellate, che si tenne a Palermo, presiedendo e facendo gli onori a nome del Fascio locale, e votava l'o.d.g. collettivista di Magliano, che ottenne la maggioranza. A quella data del Fascio operava solo la commissione per lo statuto (diretta dal B.), costituita il 18 aprile. Il 29 giugno, con l'approvazione dello statuto, l'elezione degli organi dirigenti (il B. veniva chiamato alla presidenza) e l'inaugurazione del gonfalone, il Fascio palermitano iniziava l'attività ufficiale.
In due mesi saliva da 1600 a 7500 iscritti, per stabilizzarsi, dopo lo slancio iniziale, sui 4730. Sin dai primi passi, secondo l'intento del B., esso si caratterizzava con un saluto ai socialisti milanesi, cui rispondeva (il 4 luglio) con una lettera F. Turati, e si dava un organo dalla testata programmatica, Il Socialista, uscito dal maggio al settembre. La cerimonia mancata in febbraio si ebbe il 4 dicembre con una suggestiva manifestazione e la consegna nelle mani del B. del gonfalone dei socialisti milanesi. Per il B. non si trattava di alleanza formale, ma di adesione cosciente a una linea d'azione politica che aveva fatto propria in agosto al congresso di Genova e applicato al rientro in Palermo, scrivendo sull'Isola che era tempo di uscire dagli equivoci e di aderire al P.S.L.I. e facendo approvare, il 9 novembre, la dissociazione del Fascio dai metodi degli anarchici. Il riordinamento delle sezioni e il calo degli iscritti, a fine d'anno, dovettero essere anche conseguenza di questa scelta. Il 10 marzo 1893, con la mancata partecipazione alla commemorazione di Mazzini, veniva consumato anche il distacco dai repubblicani ortodossi.
La presenza anarchica fu difficile da debellare, come si vide in tema di partecipazione alle elezioni amministrative: benché in febbraio il B. fosse riuscito a far approvare l'invito ai soci a iscriversi nelle liste elettorali, il 28 maggio prevalse la linea astensionistica; il Fascio però finì per orientarsi per la partecipazione, ciò che, il 9 luglio, gli valse, in alcuni centri agrari della provincia, l'ingresso di suoi esponenti nei consigli comunali. Indice, questo, del peso che andava assumendo l'immissione dei "contadini" (cioè coloni e mezzadri, più che braccianti, e quest'ultimi comunque in funzione subordinata: v. Procacci) nel movimento.
Di collegamento con i contadini il B. aveva parlato all'inaugurazione del Fascio; a far convergere l'attenzione "sull'immane schiera dei lavoratori delle campagne e delle miniere" lo aveva invitato, nel settembre, Turati. Nell'ottobre 1892 si era inaugurato, alla presenza del B., il Fascio di Trapani (guidato da Montaldo); nel marzo '93, quello di Palermo si organizzava in Fascio provinciale, nel quale entravano Piana dei Greci e Corleone, il cui Fascio, grazie al Barbato, si inaugurava il 9 aprile, presente il Bosco.
Appena si mossero le campagne, si mise in moto la spirale della repressione: il 20 gennaio si ebbe l'eccidio di Caltavuturo, per le cui vittime il consiglio generale del Fascio di Palermo apriva una sottoscrizione ed organizzava, il 2 febbraio, una serata, con la messa in scena di un monologo del B. in cui gli avvenimenti rivivevano per bocca di una contadina. La sottoscrizione aperta da Lotta di classe si allargava sul terreno nazionale e si chiudeva il 23 aprile con la consegna di 2.600 lire alle famiglie delle vittime. Nel corso della manifestazione, a Caltavuturo, continuamente interrotti dal delegato di Pubblica Sicurezza, parlarono il B., Verro e Barbato. Provocazioni e intimidazioni poliziesche producevano i primi arresti: Barbato veniva fermato il 14 maggio a San Giuseppe Iato. Per svincolarsi dai controlli della polizia, il B. adottava la tattica della "Ligue des patriotes" di Déroulède, di fare, cioè, le convocazioni di persona e senza preavviso; in più, il Comitato centrale dei Fasci, il 24 settembre, prendeva la misura (rimasta inefficace) di nominare una direzione fantasma che operasse in caso di arresti in massa.
Il momento centrale dell'azione del B. stava nella preparazione di un congresso "socialista" dei Fasci, che fosse, più che una rassegna del movimento siciliano, un punto fermo nell'orientamento da dare, secondo la linea del congresso di Genova. "Il nostro programma - scriveva nell'opuscolo I Fasci dei lavoratori,il loro programma e i loro fini (Palermo 1893) - è quello del Partito dei lavoratori italiani, è quello della scuola marxista". Dal febbraio '93, sin dai primi numeri di Giustizia sociale, si batté per questo obiettivo, che credette perseguibile indicendo (circolare del 18 aprile) per il 21-22 maggio, a Palermo, due congressi separati del partito e dei Fasci. "Abbiamo voluto dividere in due i congressi - dichiarerà il 21 - allo scopo di delineare meglio il Partito", vedendolo ispirato "da un unico indirizzo (che) si propone l'esplicazione omogenea del programma socialista. I Fasci attueranno più praticamente il programma stesso".
Il primo intento dovette fare i conti più con l'opposizione anarchica, nella persona di Noè, con quella autonomistica che, espressa da Colnago, era stata fatta respingere dal B. nella riunione tenuta il 19 maggio, nei locali del circolo universitario, per dar vita ad una "lega socialista". Essa però si rivelò maggioritaria al congresso, con la mozione Scuderi, ispirata da De Felice e Petrina, che si pronunciò per legami con Milano, non "rigidi", come il B. avrebbe voluto, ma "programmatici". Nonostante le pressioni della polizia, che proibì la "passeggiata" per le otto ore, circa 400 persone presero parte al congresso, dal quale uscì un indirizzo classista e l'obiettivo della "socializzazione degli strumenti di lavoro". "Collettivizzare la proprietà del sottosuolo", aggiungeva, il 12 ottobre, il congresso dei minatori di Grotte, indicazione di una lotta che, in questo settore, venne stroncata sul nascere.
Maggiore possibilità di precisarsi ebbero gli obiettivi del movimento contadino che, sotto la guida di Verro, tenne il primo congresso provinciale a Corleone il 30 luglio, con l'obiettivo del rinnovo dei contratti di affitto e di mezzadria, che teneva conto dell'estrazione sociale del suo quadro egemone. Una commissione, presieduta dal B., il 19 settembre, si espresse contro le strutture feudali persistenti nelle campagne e per la generalizzazione dell'istituto dell'affittanza. Nel documento statistico, redatto in agosto per il congresso di Reggio Emilia, erano indicati per la provincia di Palermo 10 Fasci su 28 aderenti al partito. Nella forza organizzativa, che fu la maggiore preoccupazione del B., stava il segreto dei successi ottenuti, in ottobre, nel Corleonese, nella lotta per il rinnovo dei patti agrari. Ma furono questi successi che, con la formazione del governo Crispi, spinsero il vecchio statista ad accentuare la pratica della repressione da cui si era invece astenuto Giolitti (nonostante le pressioni degli agrari e della corte): il 10 dicembre 11 morti a Giardinello, il 25 seguente 11 morti a Lercara, il 1º gennaio 8 a Pietraperzia e 20 a Gibellina. Il B. d'altronde era contrario a passare ai mezzi insurrezionali.
La sfida lanciata a Giolitti, in settembre, dalla tribuna del congresso di Reggio Emilia ("se la Sicilia dovrà cadere, cadrà avvolta nella bandiera rossa"), più che il monito di una risposta estrema, era la consapevolezza della propria forza. Dirà il B. al tribunale militare di Palermo: "sarebbe bastato che pochi di noi impugnassero un fucile ed inforcassero un cavallo per ridurre la Sicilia in fiamme in sole 24 ore. Noi non lo volemmo allora, non lo vogliamo adesso, anche dopo tanti dolori, non lo vorremo mai, finché non si sarà compiuta la grande rivoluzione delle coscienze umane". Pur con un gruppo dirigente estremamente composito, con un De Felice "propugnatore dell'accordo fra democratici, socialisti ed anarchici" (a Reggio Emilia aveva chiesto il reingresso degli anarchici), un Barbato che si dichiarava "comunista-anarchico", il Petrina "che gli va a fianco" e i soli B., Verro e Montaldo, a dire di Lotta di classe, "marxisti rigidi e rigidi osservatori delle norme del partito", il B. (che Labriola definiva, non a torto, "la testa pensante di tutto il movimento", consigliandolo di guardarsi dall'influenza "pazzotica" di De Felice e da quella "deprimente" di Colajanni) riuscì ad avere il 3 gennaio la quasi unanimità del Comitato centrale dei Fasci sulla sua posizione, che si concretò in un civile manifesto al governo di richiesta di riforme (abolizione del dazio sulle farine, rinnovo dei patti colonici secondo le richieste del congresso di Corleone, lavori pubblici e leggi sociali).
Morra di Lavriano intanto istituì l'8 gennaio tribunali speciali e lo stato d'assedio (ad Agnini e Prampolini, inviati dal gruppo parlamentare socialista, venne impedito di sbarcare a Palermo), e ordinò una imponente ondata di arresti. Il 30 maggio '94 il tribunale escludeva per il B. il reato di cospirazione e lo condannava a 12 anni per incitamento alla guerra civile, a due anni di sorveglianza speciale e all'interdizione dai pubblici uffici. Il 13 agosto veniva tolto lo stato d'assedio.
Ventisette mesi nel carcere di San Gimignano - durante i quali scrisse 14 quaderni di appunti: riflessioni sulla teoria darwiniana, sui libri di Ferri, Lombroso, Colajanni e B. Malon, De Roberto e Zola - minarono profondamente il fisico del Bosco. La campagna di solidarietà sul suo nome (e degli altri dirigenti detenuti), lanciata dalla Riscossa, organo del rinato partito socialista siciliano, otteneva intanto un primo parziale successo con la sua elezione, il 26 maggio '95, nel IV collegio di Palermo. Ciò, e le condizioni di salute, ne ottennero il trasferimento, ai primi di novembre, nel carcere di Paliano. In seguito ad amnistia, a metà marzo, fu scarcerato. Il 17 e il 18 il B. assisteva alle sedute della Camera e partecipava a una riunione del gruppo parlamentare; il 21 era a Palermo. Qui trovava il partito diviso tra due correnti, una "elettoralistica", facente capo a Tasca e Colnago, e una "economicistica", espressa da Lo Sardo.
Il B., che in carcere era passato dal rigido ideologismo degli inizi alla comprensione della peculiarità della situazione siciliana, faceva propria la prima tendenza in un pubblico discorso del 17 maggio 1896 e contribuiva a precisarne la linea in un Memorandum al commissario civile, G. Codronchi, redatto, tra la metà di giugno e la metà di luglio, da una commissione da lui presieduta, nei termini di una politica regionalistica intesa all'esigenza di "affrettare la soluzione della questione siciliana" con un insieme di leggi speciali che distruggesse "il feudalesimo ancora imperante". Favoriva questa direzione sul piano teorico, la convinzione che occorreva si compisse, nell'isola, la rivoluzione borghese; su quello pratico, contingente, l'ostilità del governo Di Rudinì alla ricostruzione dei Fasci (il tentativo di Verro, a Corleone, venne stroncato sul nascere) su base contadina, ma anche a che si desse vita alle Camere del lavoro cittadine.
Il B., la cui elezione era stata annullata, nel 1895, per non raggiunta età, si presentava, l'anno dopo, nello stesso collegio, ma, per essere venute a mancare le primitive ragioni, ne uscì sconfitto. Si acuivano intanto i contrasti tra quanti erano per la preminenza della lotta politica, da condurre su una linea autonomistica (con Tasca, arrivavano a ventilare, e con De Felice a proporre, al congresso di Firenze, in luglio, la costituzione di un partito socialista siciliano), e quelli, come Lo Sardo, che si battevano per la "trasformazione economica della società", su posizioni più radicali dello stesso Lazzari. Il contrasto tra "transigenti" ed "intransigenti", in ordine al problema delle alleanze, passava all'interno stesso della corrente autonomistica, in forme di tale acutezza che, in ottobre, il comitato esecutivo, diretto dal B., si doveva dimettere, lasciando il posto ad un "commissario" nella persona del Barbato.
Di nuovo anni bui, e quindi la svolta del giugno 1900, che rilanciava la politica autonomistica del partito, questa volta in chiave "popolaristica", e in termini tali che il binomio riformismo-autonomismo ora si dissociava (Procacci). Le elezioni comunali del luglio mandavano 18 socialisti al Comune di Palermo. Questa politica, entrata in crisi con il fallimento della "concentrazione", riprendeva vigore l'anno dopo, con l'amministrazione Tasca-Lanza. Il B., che fu assessore, e anche vicesindaco in alcune amministrazioni, come quella Trigogna-Tasca, faceva proprio l'indirizzo municipalistico di De Felice, e come assessore all'annona dava vita agli spacci municipali. La sua adesione all'idea della temporanea subordinazione agli interessi della borghesia ebbe modo di manifestarsi con maggiore pienezza nell'impegno da lui messo nella costituzione della locale Camera del lavoro.
Annunciata in un grande comizio di De Felice, Tasca e B. il 21 luglio 1901 e sei giorni dopo da un opuscolo dello stesso B. (La Camera del Lavoro e i moderati, Palermo 1901) - in cui, contro chi non voleva si spaventasse la borghesia, come De Felice, si formulava una funzione preventiva della Camera del lavoro nella composizione delle vertenze e un'azione di appoggio agli industriali nella richiesta di maggiori fonti di lavoro - la Camera del lavoro fu inaugurata il 1º settembre, alla presenza del sindaco (che le garantì il sussidio comunale) e del prefetto, con 6.700 soci.
L'obiettivo del B., "più organizzazione che scioperi", fu da lui perseguito con sempre maggior difficoltà a mano a mano che si metteva in moto il meccanismo delle rivendicazioni operaie e maturava l'idea dello sciopero generale, contro il quale egli ribatteva che anche gli operai "debbono avere interesse a che le giovini industrie paesane si consolidino", finché, accusato di "parassitismo operaio" persino da Tasca e da Drago, dovette lasciare la direzione della Camera del lavoro: poco dopo si dimetteva dal circolo socialista, dando vita, dal maggio al settembre 1903, a un periodico proprio, Il Giornale dei lavoratori. Si fece portavoce di una linea moderatrice, che guardava agli interessi generali dell'isola, anche nei riguardi del movimento contadino, dove riprendevano vigore i tentativi cooperativistici, con i socialisti a Corleone e Trapani, con i cattolici di don Sturzo a Caltagirone. I socialisti, sotto la guida di Verro, riorganizzavano le leghe. Questi, con Cammareri-Scurti e Montalto, era ostile alla politica dei comizi agrari, che contava tra i promotori Lo Vetere, segretario del consorzio agrario siciliano, socialista, il De Felice e il B.: iniziativa, questa, sotto la quale riaffiorava la tendenza ad un, partito regionale, autonomo, questa volta in veste di partito agrario siciliano - Dopo una fugace confluenza al fine di delineare un programma agrario, il movimento delle leghe, al congresso di Corleone, del settembre 1904, riaffermava il principio della lotta di classe.
L'azione del B. ripiegava ormai nell'ambito del consiglio comunale, finché una nefrite, procuratasi durante un viaggio in Libia, riacutizzando i mali contratti in carcere, lo sottrasse del tutto alla vita politica, relegandolo alla sola professione di ragioniere presso la Società anonima ferro e metalli.
Morì a Torino il 2 dic. 1936.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Palermo, Prefettura, 1892-1893, cart. 16; Giornale di Sicilia, 14-15 apr. e 26-27 maggio 1894 (resoc. del processo del Com. centrale dei Fasci); Sentenza del Tribunale di Guerra di Palermo (I Sezione) contro De Felice e compagni, Palermo 1894; N. Colajanni, Gli avven. in Sicilia e le loro cause, Palermo 1894; A. Rossi, L'agitaz. in Sicilia, Milano 1894; F. De Luca, Prigionia e processi,Ricordi del 1894, Catania 1907; M. Vajna, Popolarismo e nasismo in Sicilia, Firenze 1911, passim; S. Carbone, Le origini del social. in Sicilia, Roma 1947, ad Indicem;S. F. Romano, R. G. B. e i suoi "Appunti del carcere", in Movim. operaio, n.s., IV (1952), 6, pp. 893-953; (cfr. anche VI [1954], n. 6 dedic. ai Fasci siciliani, con saggi di S. F. Romano, M. Ganci, F. Renda, G. Cerrito, S. Costanza, I. Nigrelli, L. Cortesi); R. Colapietra, Ilpart. soc. nel biennio 1895-96, in Belfagor, X (1955), pp. 670 ss.; R. Marsilio, I Fasci siciliani, Milano-Roma 1954, passim; Storia della Sicilia post-unificazione, Bologna 1956-58, II - III, ad Indices;G. Cerrito, Radicalismo e socialismo in Sicilia, Milano 1958, p. 374; R. Colapietra, Il Novantotto, Milano 1959, pp. 20, 160; G. Procacci, Movimenti social. e partiti polit. in Sicilia, in Ann. dell'Ist. stor. per l'età moderna, XI (1959), pp. 109-216 passim; V. De Stefano-F. L. Oddo, Storia della Sicilia dal 1860 al 1910, Bari 1963, ad Indicem;R. Villari, Conserv. e democr. nell'Italia liberale, Bari 1964, pp. 93-121; R. Russo Drago, Mov. pol. e soc. nel Siracusano dal 1892 al 1898, in Arch. stor. siracusano, IX (1963), pp. 61-121; G.Manacorda, Il Movimento operaio ital., I (1853-1892), Roma 1963, pp. 334-336.