STORCHIO, Rosa
STORCHIO, Rosa (in arte Rosina). – Nacque a Venezia il 19 maggio 1872, dal secondo matrimonio di Giovanni, maresciallo dei carabinieri, e da Carolina Boot (dal primo matrimonio con Rosa Dordoni erano nati cinque figli).
Nel 1882 la famiglia si trasferì a Mantova. Nel 1891 Storchio intraprese gli studi al conservatorio di Milano sotto la guida di Alberto Giovannini, compositore e didatta di fama che aveva avuto tra i suoi allievi anche Francesco Tamagno.
Nel 1892, in occasione di un concerto di fine anno, l’esecuzione di un duetto della Semiramide di Gioachino Rossini, assieme a un’altra allieva, le valse una critica entusiasta sulla Gazzetta musicale di Milano a firma di Alfredo Soffredini (31 luglio 1892): Storchio, che non aveva ancora ultimato gli studi, vi veniva definita «artista nata», dotata «d’una dizione e d’un fraseggio limpidi, una elasticità vocale ottima, una voce calda, estesa, unitissima». Qualche mese dopo lo stesso critico ne salutò il debutto sulle scene, come Micaela nella Carmen al teatro Dal Verme di Milano. Anche in questo caso Storchio ottenne ampi elogi, sebbene la parte venisse considerata poco adatta alla sua tempra artistica, «tendente piuttosto alla drammatizzazione efficace delle passioni calde e sentite» (ibid., 30 ottobre 1892).
Già da queste prime apparizioni sembrò dunque destinata a incarnare i personaggi complessi e sfaccettati del dramma musicale postromantico più che le figure angeliche e idealizzate del melodramma ottocentesco. Pur affrontando già il genere verista (Nedda nei Pagliacci a Padova nello stesso 1892), nei primi anni di carriera Storchio si impose soprattutto come interprete dell’opera lirica francese, in particolare di Jules Massenet (Sophie nel Werther alla Scala nel marzo 1895, Manon al teatro Nazionale di Roma nel 1896, Fanny Legrand nella Saffo a Trieste nel 1899). Nel febbraio 1896 fu un’apprezzatissima Musetta (scritturata all’ultimo momento dallo stesso Giulio Ricordi) nella ‘prima’ romana della Bohème di Puccini, e l’anno successivo, dopo una tournée che la portò anche a Mosca (Berta nel Profeta e Nannetta nel Falstaff), incarnò Mimì Pinson con «grazia impareggiabile» (Benco, 1974, p. 31) nella prima assoluta della Bohème di Ruggero Leoncavallo alla Fenice di Venezia (6 maggio 1897), ripresa poi al Lirico di Milano e a Genova, qui al fianco di Enrico Caruso nel gennaio del 1898. A parti più schiettamente veriste tornò nello stesso anno con la seconda versione di Mala vita di Umberto Giordano (Milano, teatro Lirico, con il titolo Il voto), cui aggiunse l’anno successivo Maddalena dell’Andrea Chénier (Genova, Carlo Felice). Tra il 1898 e il 1900 tornò ogni anno al Liceu di Barcellona, dove fu un’acclamata Mimì nella prima locale della Bohème pucciniana (aprile 1898), Mignon nella versione per soprano dell’opera omonima di Ambroise Thomas, Margherita nel Mefistofele di Arrigo Boito (entrambe nella stagione 1899), nonché Iris nella prima spagnola dell’opera omonima di Pietro Mascagni (30 dicembre 1900).
Fu probabilmente in occasione della Zazà al Lirico di Milano (10 novembre 1900) che Storchio, protagonista della nuova opera di Leoncavallo, intrecciò una relazione con Arturo Toscanini, destinata a segnare per sempre la sua vita personale. Inaugurando uno stretto sodalizio artistico e affettivo (benché clandestino) con l’allora direttore artistico della Scala, la cantante, già autonomamente affermatasi per doti interpretative e vocali fuori dal comune, fu protagonista di alcuni allestimenti rimasti famosi nella storia del teatro milanese. Nella stagione 1902 dette prova di notevole versatilità stilistica prestando la voce all’eroina eponima della Linda di Chamounix di Gaetano Donizetti, a Nino (Hänsel) in Hänsel e Gretel di Engelbert Humperdinck e soprattutto alla protagonista nella prima italiana della Euriante di Carl Maria von Weber, sempre sotto la direzione di Toscanini. A una delle recite dell’opera di Weber assistette anche Giacomo Puccini che, nuovamente colpito dal talento di Storchio, decise di affidarle la creazione di Madama Butterfly (lettera del 3 aprile 1902 in Puccini, 1958, p. 220).
Intanto il 29 marzo 1903 Storchio diede alla luce Giovannino, il figlio avuto dalla relazione con Toscanini, ma alcune complicazioni sopravvenute durante il parto ebbero conseguenze irreparabili sulla salute del bambino, nato con gravi lesioni cerebrali. Costretta a un breve periodo di ritiro in seguito a questi eventi, tornò sulle scene scaligere per incarnare, a qualche mese di distanza, la Stephana di Siberia di Giordano (19 dicembre 1903) e la protagonista della Butterfly in occasione della tempestosa prima (17 febbraio 1904). Nonostante i giudizi lusinghieri della critica («somma attrice e cantante in ogni sfumatura», la definì in quell’occasione Achille Tedeschi sull’Illustrazione italiana) e l’affetto e la stima a lei testimoniata dallo stesso compositore e dall’editore Ricordi (che nella sua campagna in difesa dell’opera pubblicò in Musica e musicisti del marzo 1904 venti pose fotografiche della cantante nei panni di Cio-Cio-San), Storchio, forse ferita da battute e maldicenze sulla recente maternità circolate durante la prima, volle congedarsi per qualche tempo dal personaggio della geisha, tornando però a interpretarlo sotto la direzione di Toscanini già nel luglio del 1904 a Buenos Aires. Nella città argentina tornò ogni estate dal 1904 al 1906, apparendo, oltre che nel suo repertorio favorito (Manon di Massenet, La bohème, Faust, Butterfly), anche come Giulietta del Romeo e Giulietta di Charles Gounod e Norina del Don Pasquale donizettiano (quest’ultima già presentata alla Scala in un memorabile allestimento a fianco del tenore Leonid Sobinov e del baritono Giuseppe De Luca), nonché in alcune incursioni nel repertorio mozartiano e rossiniano (Il barbiere di Siviglia, Elvira del Don Giovanni, estate 1906), direttore Toscanini, con il quale peraltro successivamente non collaborò più.
Alla Scala continuò a presentarsi quasi ogni anno, non di rado debuttando in spartiti spesso mai più ripresi in seguito: fu il caso della protagonista di Wally di Alfredo Catalani e della Susanna mozartiana, entrambe affrontate nella stagione 1905. Grandissimi entusiasmi destò l’interpretazione della Traviata alla Scala (27 gennaio 1906), tanto che Giulio Ricordi la definì «la più vera, umana e straziante Violetta che mai sia apparsa sulle scene» (recensione su Ars et labor, I (1906), p. 188). Negli anni seguenti si fece conoscere anche al Grand Théâtre di Montecarlo e al Königliches Opernhaus di Berlino (stagione 1907: Mefistofele, Don Pasquale, Il barbiere di Siviglia al fianco di Fëdor Šaljapin e Titta Ruffo). Nel gennaio 1910 la sua interpretazione della Sonnambula (ripresa poi al Costanzi di Roma e l’anno successivo a Buenos Aires) fu contestata invece dal pubblico scaligero, probabilmente abituato a identificare la voce di Amina con quella dei pirotecnici soprani leggeri che avevano colonizzato la parte già dall’ultimo quarto dell’Ottocento. Nel 1913 a Madrid (Teatro Real) aggiunse al suo repertorio Tosca di Puccini (ripresa poi a Buenos Aires), mentre nel 1917 apparve per un’unica volta all’Opéra-Comique di Parigi in Butterfly diretta da Gino Marinuzzi. Nello stesso anno con Lodoletta di Mascagni prese parte all’ultima delle prime assolute che l’avevano vista protagonista per quasi un ventennio e ne avevano fatto una delle voci favorite dai compositori della Giovane Scuola. Nel 1917 tentò anche la strada del cinema muto, come protagonista del film di Emilio Graziani-Walter Come morì Butterfly, storia di una cantante che, abbandonata dall’amante, muore durante una recita dell’opera pucciniana, ma la sua prestazione, mancando la suggestione della voce, fu considerata non del tutto riuscita.
Le gravi condizioni di salute del figlio, che Storchio accudì amorevolmente fino alla di lui morte nel 1919, segnarono profondamente gli ultimi anni della cantante, che, dopo una breve tournée americana nel 1921, concluse la carriera a Barcellona con alcune recite di Butterfly al Liceu (dicembre 1923), esibendosi successivamente solo in contesti religiosi, come per le celebrazioni del settimo centenario della nascita di s. Francesco ad Assisi nell’ottobre 1926. Poco più che cinquantenne, ritiratasi dalle scene, si dedicò alle opere di misericordia e in particolare all’infanzia derelitta in qualità di terziaria francescana (Ordine cui si era fatta ascrivere nel 1925).
Morì a Milano, nel silenzio di cui si era circondata, il 24 luglio 1945, ed è sepolta nel famedio dei cittadini illustri del cimitero Monumentale.
La stima affettuosa e durevole di compositori quali Leoncavallo, Puccini, Giordano e Mascagni, e il plauso di quanti la videro in teatro (da Bruno Barilli a Silvio Benco a Eugenio Montale), danno unanime testimonianza della singolare intelligenza interpretativa di Storchio. Dotata di voce non particolarmente voluminosa – pare che la sala del Piermarini fosse quasi troppo grande per lei – ma intonatissima, calda e omogenea in tutta la gamma; perfettamente padrona di una figura forse meno avvenente di altre, ma disinvolta ed elegante, sostenuta da uno sguardo intensamente espressivo (immortalato da numerose fotografie e dal ricordo della scrittrice Ada Negri), la cantante veneziana non può essere del tutto assimilata alla categoria del soprano verista, inaugurata qualche anno prima da Gemma Bellincioni, nonostante il rilevantissimo contributo che ella diede all’affermazione del dramma musicale moderno sulle scene italiane. Le poche incisioni effettuate (tra il 1904 e il 1905) di brani dei più recenti spartiti della Giovane Scuola (Siberia, La bohème di Leoncavallo) e del repertorio ottocentesco (Zerlina in Fra Diavolo, Don Pasquale, La traviata) testimoniano una partecipazione drammatica sempre viva e un autentico senso della parola cantata, ma vanno esenti dagli effetti talora plateali (note di petto, chiaroscuri esasperati) prediletti da alcune sue colleghe. D’altronde la costante pratica, lungo tutta la carriera, di un repertorio piuttosto vasto nonché di ben distinti registri stilistici – Storchio fu a suo agio anche nell’opera comica ed eccelse nelle atmosfere intimiste dell’opera francese – la preservarono dall’identificazione assoluta con una sola tipologia vocale e ancor più con un solo personaggio (nonostante la fama della sua Butterfly), facendone una delle personalità artistiche più complete e umanamente toccanti della sua epoca.
Fonti e Bibl.: A. Negri, Di giorno in giorno, Milano 1932, pp. 103-116; G. Adami, Il romanzo della vita di Giacomo Puccini, Milano-Roma 1942 (raccoglie dalla testimonianza della stessa Storchio il resoconto della ‘prima’ di Butterfly), pp. 190-196; G. Puccini, Carteggi, a cura di E. Gara, Milano 1958, passim; T. Hutchinson, R. S., in The Record Collector, XII (1958-1960), pp. 52-60; R. Celletti, S., R., in Le grandi voci. Dizionario critico-biografico dei cantanti, Roma 1964, coll. 807-810 (con discografia); S. Benco, Scritti musicali, a cura di G. Gori - I. Gallo, Milano-Napoli 1974, pp. 31-35 (recensione della Bohème di Leoncavallo); M. Scott, The record of singing, I, Boston 1977, pp. 152 s.; R. Celletti, Grandi voci alla Scala, Milano 1991, pp. 57-59; V. Martinelli, Il cinema muto italiano: 1917, Torino 1991, p. 70; R. S. La musa della giovane scuola, a cura di D. Rubboli - W. Rubboli, Dello 1994 (con cronologia della carriera a cura di C. Marinelli Roscioni); J. Kesting, Die großen Sänger, IV, Kassel 2010, pp. 299 s.; E. Baker, From the score to the stage: an illustrated history of continental opera production and staging, Chicago 2013, pp. 285 s.; P. Cirani, R. S., la diva dagli occhi chiari, in Postumia: annali del Museo d’arte moderna dell’alto Mantovano, XXVI (2015), 1-3, pp. 12-29. Le poche lettere di Toscanini a Storchio attualmente note sono pubblicate in Nel mio cuore troppo d’assoluto. Le lettere di Arturo Toscanini, a cura di H. Sachs, Milano 2003, ad indicem.