RONDÒ (Ronneau)
Forma musicale, che nonostante abbia presentato nel corso dei secoli numerose e profonde varianti, risponde tuttavia a una sola legge di logica formale: quella del periodico ritorno di un'idea principale lungo l'intero svolgimento della composizione. Tra le forme musicali il rondò è quindi la prima ad avere introdotto il principio ciclico, ed è altresì quella che maggiormente risponde al significato etimologico del termine. S'incontra primieramente la parola rondeau nella musica trovadorica di un periodo avanzato (sec. XIII) e appartiene, più che a una determinata specie di canzone, a un dato modo di svolgere la canzone o la danza.
Fino da questo tempo il meccanismo formale del rondò consiste nell'alternativa tra un periodo principale (sovente affidato agli strumenti) e diversi periodi secondarî.
Si trova altresì il rondò nella canzone francese del sec. XV, e quivi è costantemente accompagnato da strumenti. Nell'esempio di J. Le Grant, riportato dal Riemann, il periodo fisso è sempre strumentale; vocali invece sono le parti alternate. Anche la frottola italiana dello stesso secolo, nonché i balletti o canzoni a ballo (queste ultime col periodico ritorno del fa la la) mostrano talvolta una analogia col rondò.
Bisogna tuttavia giungere al Settecento per trovare definitivamente fissata la forma del rondò. Ciò avvenne per una specie di capovolgimento di valori rispetto alla canzone medievale. Infatti gli antichi couplets assumono, nelle trasformazioni più recenti, importanza di tema principale. In tale aspetto il rondò riappare nelle opere dei clavicembalisti francesi, nelle Partite di J. S. Bach, mentre, non dichiarato, fa capolino nei concerti di A. Vivaldi (v. Sesto concerto dell'op. 4, in sol minore).
Giunti a quel periodo, che si è convenuto di chiamare classico per la musica strumentale, il rondò prende solitamente il posto del finale nelle composizioni che provengono dalla forma della sonata. La sua fisionomia si scinde allora in due tipi principali: rondò senza parte alterna, rondò con parte alterna.
Nella prima di queste due forme il periodo principale si ripresenta, nello stesso tono e senza varianti, o con lievi varianti, tre o quattro volte, mentre alle sue riprese s'intercalano periodi secondarî diversi l'uno dall'altro; nella seconda forma una delle parti intercalate alle riprese del motivo principale assume maggiore importanza delle altre, e si ripresenta anch'essa due o tre volte: da ciò il nome di parte alternata. Esempio della prima specie di rondò può essere quello posto a chiusa della Sonata in re maggiore, op. 26, di M. Clementi; esempio della seconda specie è l'ultimo tempo della Sonata op. 28 di Beethoven.
Gli operisti di scuola napoletana della seconda metà del Settecento - seguiti dai maggiori rappresentanti del melodramma ottocentesco - introdussero un rondò vocale, che si deve riportare, come origine, al rondò-cantata dei compositori romani del tempo dei Mazzocchi e di M. Marazzoli.
Esemplare di questo tipo di aria a rondò è quello che chiude la scena finale del Don Pasquale di Donizetti; in esso le riprese sono intramezzate dal coro.
Non è da credere che la vita del rondò abbia avuto termine coi compositori dell'età romantica. I moderni e i contemporanei sono tornati più volte a questa forma, in cui il principio ciclico, che fu tanto caro ai musicisti dell'ultimo cinquantennio, riceve larga applicazione.
Tra le più cospicue composizioni moderne, in cui la fisionomia del rondò si rispecchia, sia pure con grande libertà di condotta, ma con aspetti non dubbî, citiamo qui il poema sinfonico Till Eulenspiegel di Riccardo Strauss, il Rondò fantastico di Riccardo Pick-Mangiagalli, il Rondò Veneziano di Ildebrando Pizzetti.
In quest'ultima composizione sinfonica, l'antico soggetto principale del rondò è di gran lunga superato, nell'importanza e nello sviluppo, dalle tre parti che ne separano la ripresa, e cioè dalla Sarabanda, dall'Idillio e dalla Furlana; ma la sua funzione spirituale (l'impressione fondamentale di Venezia) oltre che quella formale non è perciò meno profonda e meno ricca di significato nell'economia dell'opera.