RONCALLI, Cristoforo (Cristofano), detto Pomarancio. – Nacque a Pomarance, oggi in provincia di Pisa, l’8 settembre 1552, come dichiara nel suo primo testamento del 20 settembre 1619 (Aurigemma, 1995, pp. 74, 84-86), da Giovanni Antonio, di una benestante famiglia di mercanti originari di Bergamo (Mancini, 1621, 1956, p. 236; Kirwin, 1972a, p. 513), e da Francesca Incontri (Chiappini di Sorio, 1983, pp. 3, 23). I Roncalli risultano a Pomarance almeno dal 1532, con un omonimo del pittore (Spinelli, 1992; Aurigemma, 1995, p. 78 nota 3). Cristoforo fu il quarto di sei figli (Kirwin, 1972a, p. 513). Sappiamo che almeno due seguirono le terre e i beni di famiglia a Pomarance (ibid.; Aurigemma, 1995, p. 78), mentre Donato, con cui Cristoforo condivise molte tappe della vita e della carriera, fu un notevole giurista (Mancini, 1621, 1956, p. 236; Melasecchi, 1998, p. 10; Cirinei, 2001)
Se a tutt’oggi si può fare riferimento agli studi monografici di William Chandler Kirwin (1972a; 1978; 1979) e di Ileana Chiappini di Sorio (1983), cui si rimanda per l’ampio regesto, l’elenco delle fonti e il catalogo delle opere, novità e approfondimenti si devono a contributi successivi sull’artista, che mantiene nel contesto romano la sua parabola più significativa, pur meritando tuttora maggiori indagini nella fase degli esordi in patria e nella vicina Volterra, dove nel 1608 Cristoforo e Donato chiesero e ottennero la cittadinanza (Chiappini di Sorio, 1983, pp. 27, 30; Spinelli, 1992), e poi in quella degli anni marchigiani, motivati dalle committenze lauretane, ma densi di impegni e relazioni (Ambrosini Massari, 2017).
Un apprendistato fiorentino, evocato nelle fonti e nel necrologio (Kirwin, 1978, p. 26 nota 58) accanto al prestigioso titolo di cavaliere ricevuto da Paolo V (1606-07; Kirwin, 1978, p. 52), è forse ravvisabile in un S. Antonino benedicente in collezione Chigi Saracini a Siena, attribuito dubitativamente al pittore (Fileti Mazza - Gaeta Bertelà, 2006, p. 440, n. 5307).
Ben prima della pala per il Duomo di Siena, del 1576 (Sricchia Santoro, 1980, p. 64, n. 19; Bartalini, 1997, p. 146 nota 2), Roncalli fu attivo in patria già tra il 1570 e il 1571 (Spinelli, 1992). Nel 1572 il padre, camerlengo della Compagnia dell’Annunziata, lo pagò per un dipinto, forse un’Annunciazione (J. Spinelli, in La parrocchiale di Pomarance, 2002, p. 42) che, per evidenze stilistiche, non può essere la pala ancora oggi in S. Giovanni Battista, databile nei primi anni romani (Kirwin, 1979, pp. 24-26), e della quale potrebbe essere un incunabolo l’Annunciazione della Staatsgalerie di Stoccarda (A. Bagnoli, in Il piacere del colorire, 2002, p. 16, n. 3). Fu Roncalli a terminare, se non a realizzare del tutto ( p. 5), la Madonna del Rosario tuttora in loco, che la stessa compagnia aveva inizialmente affidato nel 1572 all’altro Pomarancio, Nicolò Circignani (J. Spinelli, in La parrocchiale di Pomarance, 2002, p. 82). Tra la fine del 1580 e il 1581, Roncalli dipinse una perduta Madonna a fresco nel palazzo vicariale (Spinelli, 1992), e in parallelo è documentato di nuovo a Siena nel novembre 1579 (Bartalini, 1995, pp. 1480 s. nota 15, 1491 s., n. II), fase coerente con le decorazioni neobeccafumiane nel palazzo di Ippolito Agostini (Bartalini, 1997) e con le due tavole Chigi Saracini, Trasfigurazione, iscritta 1580, e Crocifissione, i cui accenti zuccareschi implicano una tappa romana (Sricchia Santoro, 1983, pp. 184, 187), quando forse dipinse una lunetta nel chiostro della chiesa della Ss. Trinità dei Monti (Moretti, 2016).
Ormai a Roma, tra il 1582 e il 1583 l’artista inviò a Siena le due pale per l’oratorio di S. Caterina (Kirwin, 1972b, pp. 204-208, 219, n. 5), affini al Miracolo di s. Pietro che risana lo storpio ai Ss. Apostoli a Firenze e alla Madonna con il Bambino, s. Giovannino e s. Caterina della Pinacoteca di Siena (Sricchia Santoro, 1980, p. 66, n. 20).
A partire dalla prassi del disegno restò sempre forte in lui il debito verso la grande tradizione toscana di primo Cinquecento (Kirwin, 1979; Sricchia Santoro, 1980, p. 66), esplicita nei soggetti di intima devozione (Francucci, 2015, con bibliografia), rari nel suo catalogo di protagonista della grande decorazione controriformata, tra i quali non si può accogliere la Sacra Famiglia con s. Elisabetta e s. Giovannino a Firenze, cenacolo di S. Salvi (Chiarini, 2010, p. 63), mentre va aggiunta una Sacra Famiglia con s. Giovannino e s. Elisabetta del Museo nazionale a Varsavia, legata a Roncalli da Federico Zeri (Bologna, Fototeca Zeri, busta 0344, f. 7, n. 29842). Su queste basi egli elaborò un personalissimo linguaggio, bilanciato tra equilibri raffaelleschi e affetti barocceschi e, dalla fine del secolo, sensibile a contrasti luministici in sintonia con le novità caravaggesche.
Se è arduo riconoscere Roncalli nelle logge e nella Galleria Gregoriana del palazzo apostolico vaticano (Baglione, 1642, 1935, pp. 288 s.), un disegno (New York, Metropolitan Museum, n. 62.197; Turčić 1981, pp. 614-617, n. 41) per la Personificazione dei venti nel soffitto della sala della Meridiana nella torre dei Venti, del 1582, ne affermerebbe qui la presenza, rendendo plausibile un primo incontro con Paul Bril (Cappelletti, 2006, p. 53), con il quale l’anno dopo operò nelle perdute decorazioni del Collegio Romano (p. 208), inaugurando una collaborazione ricorrente (p. 91; Tosini, 2007, pp. 155-169). Confermano l’ingresso nello stretto giro delle committenze papali i pagamenti, tra il 1583 e il 1584 (Kirwin, 1972a, pp. 234 s.), per decorazioni nel palazzo di Montecavallo al Quirinale, mentre i suoi esordi romani, nel 1583, si conservano nell’oratorio del Crocifisso a S. Marcello al Corso, dove venne probabilmente introdotto da Circignani (Pierguidi, 2012), che, se non poté esserne maestro (Baglione, 1642, 1935, pp. 188 s.), certamente lo favorì.
Al 1584-86 (Heideman, 1982, pp. 69-110) si datano le Storie di s. Paolo per la cappella Della Valle, uno dei due cicli in S. Maria in Aracoeli. Per la cappella Mattei realizzò, tra il gennaio 1588 (Sickel, 2013) e il 1590, le Storie della Passione, dove, più che il confronto con la Pietà di Marco Pino ivi collocata, colpisce l’ispirazione da quella vaticana di Michelangelo, modello costante (Kirwin, 1978, p. 36; Rinaldi, 2016, pp. 73 s.). Già le fonti, a partire da Giulio Mancini (1621, 1956, pp. 237, 284), lessero tra i due cicli una svolta che supera il narrare manierista e l’enfasi di Girolamo Muziano, e al limite della quale, ma già protesa verso il naturalismo di Federico Barocci, si pone la Visitazione per la cappella Rucellai nell’oratorio di S. Giovanni Decollato, sullo scorcio del 1589 (Kirwin, 1978, p. 38 nota 97).
Alla fine del 1588 Roncalli risulta iscritto all’Accademia di S. Luca, dove è documentato negli anni successivi (Chiappini di Sorio, 1983, pp. 24 s.). Dopo l’intervento del 1591 a palazzo Ruggeri-Serafini, accanto ai fratelli Cherubino e Giovanni Alberti (Kirwin, 1979, p. 31, n. 9), verso il 1593 realizzò i cartoni per i mosaici della cappella Caetani in S. Pudenziana (Gori, 2016, p. 123 nota 27) e, a parte la breve interruzione di una prigionia a Mantova nel 1595 (Morselli, 1987, pp. 666 s.), anno in cui firmò e datò due dipinti per la provincia di Bergamo (Olivari, 1986-1987; Gnaccolini, 2011), gli impegni romani lo assorbirono con ritmi sempre più serrati.
L’appoggio di Virgilio Crescenzi, che lo volle precettore dei figli, tra cui Giovan Battista, che educò alla pittura (Baglione, 1642, 1935, pp. 364 s.) e fu probabile autore, sotto la sua guida, tra l’altro, delle decorazioni nel palazzo di famiglia poi sede della cosiddetta Accademia Crescenzi (Toesca, 1957; Pupillo, 2017), e la fiducia del cardinale Cesare Baronio, regista della politica artistica clementina, contribuirono a fare di Roncalli l’artista di riferimento dell’oratorio filippino (Zuccari, 1995), e non solo a Roma, ma anche a Napoli (Kirwin, 1972a, p. 457; P. Leone de Castris, in La quadreria dei Girolamini, 1986, p. 62; Aurigemma, 1995, p. 87), benché poco rimanga di quella produzione originaria (Kirwin, 1979, pp. 35 s., n. 14; Papi, 1996; Melasecchi, 1998). Per Baronio Roncalli eseguì la pala d’altare con i Ss. Domitilla, Nereo e Achilleo, collocata entro il 15 maggio 1599 nella chiesa dei Ss. Nereo e Achilleo (Zuccari, 1995, p. 94), manifesto della propaganda clementina ispirata al culto dei primi martiri cristiani (pp. 89 s.), così come la seconda pala per Baronio, del 1603, per la chiesa di S. Gregorio al Celio, la Vergine tra i ss. Andrea e Gregorio Magno. Nel primo dipinto, modello più volte replicato con varianti (Toesca, 1960, p. 58; Schleier, 1993; Francucci, 2015; Papi, 2015, pp. 14-18), l’accentuazione monumentale dell’Estasi di s. Cecilia di Raffaello (Bologna, Pinacoteca nazionale) e il sentito impianto luministico aprono con decisione verso scenari barocchi senza disperdere moti e grazia barocceschi.
Proprio questi aspetti di annuncio del futuro, ma in equilibrio con la tradizione, sembrarono mettere tutti d’accordo: Peter Paul Rubens, che lo ammirava (Furlotti, 2003, pp. 508-512), e s’ispirò all’invenzione dei Ss. Nereo e Achilleo nella chiesa della Vallicella; Annibale Carracci, che lodava il Battesimo di Costantino, del 1601, in S. Giovanni in Laterano, seminale, invero, per il classicismo secentesco (Mancini, 1621, 1956, p. 237; Kirwin, 1979, pp. 36-38, nn. 41ab, 42ace); e Caravaggio: sfatate le malevolenze di Baglione (1642, 1935, p. 291) sulla rivalità con quest’ultimo, anche con il chiarimento dei termini della committenza lauretana (Benati, 2004-2005, pp. 231-247) la stima reciproca è documentata (ibid.; Kirwin, 1978, p. 25), e risalta comunque nelle opere, dalla Chiamata di s. Matteo di Roncalli in palazzo Mattei, oggi Caetani (Tosini, 2007, pp. 167 s. nota 83), a quella di Caravaggio in S. Luigi dei Francesi, dove dalla Caduta di s. Paolo molto si riflette nella Resurrezione per S. Giacomo in Augusta di Roncalli, del 1601 (Scholz, 2007).
Anche grazie a Giacomo Crescenzi, abate a S. Eutizio a Piedivalle di Preci, si compose, nel primo decennio del Seicento, tra Preci e Norcia (Barroero, 1989, pp. 259-264), e poi anche a Foligno e Assisi (Sapori, 1989, pp. 244-248, 259), l’attività umbra di Roncalli, miracolosamente scampata al terremoto del 2016.
La fine del secolo vide una vorticosa accelerazione di commissioni e la gestione anche contemporanea di cantieri con numerosi collaboratori, con ruoli che si stanno rivelando anche molto ampi, come per Giuseppe Agellio in S. Silvestro al Quirinale (Fontana, 2015). Roncalli fu forse attivo nel palazzo di Muzio Mattei negli ultimi anni del secolo, accanto ai fratelli Alberti (Giffi, 2004, pp. 46 s.), nel 1599 a palazzo Mattei, ora Caetani (Tosini, 2007, p. 161), e a palazzo Mattei di Giove (Cappelletti, 1994, p. 259) entro il 1601; tra il 1602 e il 1604 fu in S. Silvestro al Quirinale (Giffi, 1999; 2004, pp. 45-48; Fontana, 2015). Da agosto 1604 alla primavera del 1605 (Kirwin, 1972a, p. 454) lavorò alla decorazione illusionistica della cupola di S. Silvestro in Capite (Baglione, 1642, 1935, p. 291; Giffi, 2004), e, entro il 1605, subito prima della partenza per Loreto (Giffi, 2001; 2004, pp. 45-62), di nuovo per i Rucellai nella cappella di famiglia in S. Andrea della Valle: una «delle più belle cose di Roma» (Baglione, 1642, 1935, p. 289).
Le commissioni clementine consacrarono il suo ruolo di protagonista sulla scena artistica romana: conclusa nel 1601 l’impresa in Laterano (Chiappini di Sorio, 1983, p. 111), per la cappella Clementina in S. Pietro eseguì progetti da tradurre in mosaico (Kirwin, 1978, p. 24 nota 45), e, su ardesia, La morte di Anania e Saffira oggi in S. Maria degli Angeli, tra il 1599 e il 1604 (Baglione, 1642, 1935, p. 104; Kirwin 1972a, pp. 408-419; Pouncey, 1977, p. 225).
In questo contesto competitivo (Baglione, 1642, 1935, p. 290) si colloca la vicenda dei sonetti irrisori (Sickel, 2001) particolarmente duri verso Roncalli (Spagnolo, 2010), e maturò, a partire dalla mancata assegnazione a lui della decorazione della cupola di S. Pietro, il processo del 1607 contro il Cavalier d’Arpino, accusato di essere il mandante di un’aggressione in strada a Pomarancio (Cirinei, 2001).
Forse per intervento, ancora una volta, dei Crescenzi (Baglione, 1642, 1935, p. 291), Roncalli ottenne dal cardinale osimano Antonio Maria Gallo, rettore della basilica di Loreto, la decorazione della sala del Tesoro con scene della Vita di Maria, dipinte tra il 1605 e il 1609 (Chiappini di Sorio, 1983, pp. 95-98), quando firmò il contratto per gli affreschi della cupola, terminati nel 1615 ma oggi perduti, rivincita importante, dove condusse alle estreme conseguenze la sua decorazione illusionistica, come testimoniano gli studi preparatori (pp. 99-102; Pittori a Loreto, 1988; Giffi, 2001). In questi anni, specialmente dal secondo decennio, anche la sua pittura s’indirizzò verso un’intensificazione intimista, espressa specialmente con morbide accentuazioni dei contrasti e affondi negli scuri, come nel S. Carlo in preghiera di Loreto, palazzo apostolico, o nel S. Nicola da Tolentino e le anime purganti, di Pesaro, in S. Agostino, nell’Autoritratto degli Uffizi e forse in un trascurato Ritratto di s. Filippo Neri della Pinacoteca Vaticana (De Angelis, 1988).
Grazie alla protezione del cardinale Antonio Maria Gallo, Roncalli ebbe grande libertà di azione. Nel 1606 si unì al marchese Vincenzo Giustiniani per un viaggio in Europa del Nord (Chiappini di Sorio, 1983, pp. 14-18, 30; Tosini, 2017), cui partecipò anche il nobile anconetano Marco Antonio Ferretti, autore di madrigali su perduti dipinti di Roncalli (Tosini, 2017, pp. 196-199), che in effetti operò molto nelle Marche in questi anni (Ambrosini Massari, 2017), ma poté muoversi e assumere numerose committenze per Roma e altre località.
Gli stessi affreschi lauretani, d’altronde, furono spesso lasciati nelle mani dei suoi collaboratori, Pietro Paolo Iacometti, Giovanni Antonio Scaramuccia e soprattutto Alessandro Prestati, il cui figlio sposò la nipote Lisabetta (Aurigemma, 1995, pp. 76 s.): con loro realizzò nel 1614 le decorazioni del palazzo osimano del suo protettore (Francucci, 2013), e a loro affidò anche parte dei dipinti, in alcuni dei quali si profila una presenza importante del perugino Scaramuccia (Ambrosini Massari, 2017). Fu proprio questa gestione fin troppo libera della commissione lauretana a far mettere sotto accusa il suo operato da parte del messo apostolico dopo la scomparsa del cardinale, fino a contestargli l’altissimo compenso (Pittori a Loreto, 1988, pp. 271 s.).
Al ritorno a Roma, nonostante i mutamenti e se pur tra malanni e preoccupazioni finanziarie, Pomarancio partecipò alla vita artistica: fu, dall’ottobre 1624, vice di Simon Vouet alla presidenza (Aurigemma, 1995, pp. 77 s.) e poi rettore dello studio dell’Accademia di S. Luca con il Cavalier d’Arpino, Antonio Tempesta, Giovanni Baglione e Gian Lorenzo Bernini (Bolzoni, 2013, p. 111 nota 300).
Lavorò fino alla fine (Mancini, 1621, 1957, p. 133; Chiappini di Sorio, 1983, p. 32; Tosini, 2017, pp. 199 s.) e, completato un ultimo, sofferto testamento (Aurigemma, 1995, pp. 74-76), morì il 14 maggio 1626.
Dopo fastose onoranze funebri nella chiesa della Minerva, venne sepolto a S. Stefano del Cacco, sua parrocchia (Baglione, 1642, 1935, p. 292).
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