RONCALLI, Carlo
di G
iuliano, detto Trombetta. – Quando e dove nacque, figlio di un Giuliano, non è stato ancora rivelato dalle fonti: discorde la critica sul luogo di nascita, essendo Roncalli marchigiano per alcuni, originario di Colbordolo, piccolo centro della provincia urbinate, e romano per altri. A Colbordolo, in realtà, Roncalli dimorò per un breve periodo, avendo sposato in terze nozze, il 4 novembre 1719, Eusebia Caterina Paciotti, originaria del posto (Archivio di Stato di Urbino, Notaio Luminati Bartolomeo, filza 3223, anni 1718-19, cc. 274-279): da ciò probabilmente l’identificazione della località come terra natia, mentre nel documento d’archivio relativo al battesimo della figlia del pittore Pietro Paolo Vasta, allievo o forse collaboratore di Roncalli, il maestro viene menzionato come «illustrissimo cav. Carlo Roncalli, romano» (Archivio segreto Vaticano, Registro dei battesimi della parrocchia di S. Lorenzo in Damaso, anno 1728).
La fonte più antica riferita al pittore, citato dagli storici locali anche con il cognome Roncagli, risale al 10 febbraio 1710, data in cui fu battezzato, a Urbino, il figlio Giuseppe Antonio, presenti la moglie Angela Moni, romana, e gli altri due figli Gianfrancesco e Andrea. La famiglia dimorava quindi nella città ducale. Il 24 febbraio 1711 Roncalli assistette a un nuovo battesimo, quello dell’ultima arrivata in casa, Anna Maria Bernardina (Archivio parrocchiale del Duomo di Urbino, Libri dei battezzati e dei defunti, 1711). Rimasto vedovo, contrasse l’anno successivo nuove nozze con una certa Elisabetta, da cui ebbe Angela Antonia Loreta (ibid., 1714). Urbino lo accolse di nuovo fra le sue mura nel 1720: dal 1° settembre risulta, infatti, domiciliato in una abitazione in via S. Margherita, avendo lasciato Colbordolo. Alla luce di queste informazioni, la data di nascita potrebbe attestarsi intorno all’anno 1680.
Il primo ventennio del Settecento lo vide mettere mano al nucleo di opere legate alla fase urbinate della sua attività, posta sotto l’ala benevola di papa Clemente XI Albani e del nipote Annibale, mecenati e artefici della rinascita di Urbino dopo il declino segnato dalla fine del ducato. In questa parabola ascendente, Roncalli, che incarnò in qualche modo la figura di «pittore di casa Albani» (Vastano, in Papa Albani, 2001, p. 240), prestò la propria opera per il riassetto di chiese e palazzi le cui vestigia acquisirono caratteri e stilemi del nuovo gusto imperante. A essere interessato tra i primi a questa campagna di rinnovamento fu l’oratorio di S. Giuseppe, particolarmente caro agli Albani, devoti a quel luogo e da sempre aggregati alla confraternita: per Roncalli, anch’esso confratello, fu la commessa senza dubbio più importante per prestigio e vastità, impegnato nella realizzazione dell’ornato complessivo dell’aula unica dell’edificio, con una macchina compositiva apparentata ai modelli illusionistici tipici del barocco romano, a quelle visioni scaturite dalla maestria e dall’ingegno di Giovanni Battista Gaulli, di Andrea Pozzo e di Pietro da Cortona, a quel gusto delle grandi rappresentazioni sceniche di suggestione, mutuate per Roncalli attraverso Carlo Maratti e l’approccio di quest’ultimo con l’arte cortonesca.
Se pur nella rinuncia di grandi sfondati architettonici e grandi illusionismi spaziali, Roncalli riesce a offrire una piacevole godibilità ottica, un’orchestrazione classicamente composta e distribuita, lontana dal turbinio di bacchica memoria. Un raffinato colorismo a monocromo, giocato sui toni del grigio e della calda terracotta, dà vita a lesene adorne di candelabre, fiori e medaglioni con le immagini dei Profeti. Figure angeliche in atto di sorreggere gli emblemi della famiglia Albani popolano il cielo, al culmine del quale, in un grande ovato, troneggia La gloria di s. Giuseppe.
Parti integranti dell’apparato decorativo sono le quattro grandi tele, costate 70 scudi romani ognuna, con episodi della vita della Vergine: Lo sposalizio, La natività, La fuga in Egitto, La morte di s. Giuseppe.
In questi dipinti più che in altri del pittore è tangibile il ‘credo’ marattesco, improntato a «un equilibrio acrobatico e difficile tra antico e moderno, tra classicismo e barocco». In Roncalli fu incondizionata l’adesione a colui che fu il perno del suo cammino artistico impostato principalmente sull’esercizio della copia dei maestri del passato, tanto da essere capace di riproporne esemplari perfetti imitandone lo stile. Nelle scene della vita della Vergine traspaiono altresì accenti correggeschi e reniani accanto a reminiscenze desunte dai Carracci, così come percepibili, seppur velate, suggestioni baroccesche.
Nelle fatiche urbinati rientrano anche i decori del palazzo dei principi Albani, fabbrica che vide nel Settecento l’apice del suo splendore, tanto da annoverare tra le sue pareti dipinti di Raffaello, Correggio, Tiziano, Federico Barocci. Al pennello di Roncalli si devono, al primo piano, Il trionfo degli emblemi di casa Albani, desunto totalmente dall’affresco di identico soggetto eseguito da Pietro da Cortona per Ferdinando II Medici nella sala di Marte in palazzo Pitti a Firenze, e al piano nobile Le allegorie delle stagioni.
Poste nello spazio di riquadri sorretti da sirene, le simbologie stagionali decorano il cornicione marcapiano, e insieme all’Aurora, ritratta nella centralità del soffitto, e andata perduta in data imprecisata, costituivano l’assetto decorativo di una delle sale dell’edificio.
Ascritto a Roncalli è anche l’insieme ornamentale del piccolo sacello, situato lungo il percorso del piano nobile, dove, in uno spaccato di cielo, ritmicamente fluttuano piccoli putti esaltanti La gloria dello Spirito Santo (i disegni preparatori si conservano oggi nelle collezioni del castello di Windsor). La componente disegnativa e coloristica ci riconduce mentalmente alla visione dell’ornato di S. Giuseppe e agli stretti legami che corrono e si riflettono nell’identica matrice identitaria, manifesto coerente dei dettami e dell’estrazione pittorica che guidano la mano del maestro.
Ileana Chiappini di Sorio (1980) ascrive all’operato del pittore uno dei soffitti di villa Montegallo a Osimo. Il convito degli dei e le figure dei pennacchi, Aurora, Crepuscolo e le Quattro stagioni, parlano il linguaggio comune a tante opere del nostro pittore, confuso dalle fonti storiografiche, per l’omonimia del cognome, con il più famoso Cristoforo, peraltro già morto ben prima del ciclo osimano. Questa nuova attribuzione amplia il perimetro di azione dell’artista nelle Marche.
Conclusasi la parentesi marchigiana, l’attività di Roncalli, supportata sempre dalla prestigiosa protezione della famiglia Albani prima e di Benedetto XIII poi, si spostò su Roma, dove egli figura dal gennaio 1724 e dove ricoprì due anni dopo, per volere proprio del pontefice Orsini, la carica di soprintendente ai lavori vaticani in sostituzione di Agostino Masucci «pittore di grido» (Valesio, 1978, p. 718), incarico in precedenza già appartenuto a Maratti.
Sulla piazza dell’Urbe, Roncalli ebbe, almeno negli anni della protezione papale, un ruolo di spicco e la realtà di una bottega, o meglio di un’équipe, della quale fecero parte altri illustri sconosciuti quali il già citato Vasta ed Emanuele Alfani, compartecipi in imprese decorative presso alcune chiese della capitale. Da Roma furono inviati a Urbino da papa Clemente XI e dal nipote, il cardinale Annibale Albani, quattro dipinti devozionali di mano di Roncalli: i due ovali con i Ss. Antonio e Giuseppe per la cappella degli Albani presso la chiesa di S. Francesco, il S. Grato per la chiesa di S. Andrea Avellino, nonché la copia della Madonna del Gatto di Barocci, commissionata dal senatore Orazio Albani, fratello del papa, oggi al Museo diocesano Albani.
L’iter pittorico dell’artista, costellato ancora da tante lacune e zone d’ombra, si è arricchito recentemente di nuovi contributi grazie ai quali siamo in grado di delineare un quadro più preciso della vivace attività romana, attività che conobbe momenti di notorietà in ambienti privilegiati e cantieri elitari, non utili, tuttavia, a innalzarlo alla gloria, a causa di quel modus pingendi comune a molti e privo di slanci propri, sempre alla dipendenza dei cosiddetti caposcuola.
A Roma la sola impresa datata di Roncalli è nella cappella di S. Domenico, in S. Maria sopra Minerva, voluta da papa Benedetto XIII: costo dei lavori, compresi gli stucchi, 200 scudi romani. Nella volta del sacello La gloria dello Spirito Santo fra putti con le allegorie della Speranza e della Carità, e sempre di Roncalli la tela dell’altare maggiore raffigurante Il miracolo di s. Domenico. Nella stessa chiesa l’artista operò presso un’ulteriore cappella, quella del Crocifisso, di cui oggi resta superstite la sola porzione dipinta al di sopra dell’altare con S. Barnaba e la Vergine, mentre La gloria della Croce fra cherubini è andata perduta. Roncalli fu interessato anche dalle operazioni di riassetto in S. Sisto all’Appia, pur se non si hanno riferimenti per identificare quanto realizzato. Sempre grazie alle notizie tratte dagli archivi vaticani, il corpus di opere mobili di Roncalli acquisisce una serie di dipinti, legati comunque a commesse pontificie, prodotti nell’arco temporale tra il 1725 e il 1728. Menzionate negli atti otto tele raffiguranti rispettivamente: due Madonne con numerosi santi, i due martiri S. Lorenzo e S. Caterina, Le stimmate di s. Francesco, una Pietà e santi, S. Felice, La Vergine con il Bambino e s. Anna, tutte da collocare nella sagrestia della cappella Paolina in S. Maria Maggiore. Documentati due dipinti ‘in maniera’ di quelli posti nel casino di papa Pio IV, con S. Antonino arcivescovo di Firenze e il Beato Agostino vescovo di Nocera, e ancora una pala d’altare per ordine di Sua Santità con S. Barbara in adorazione della Vergine con il Bambino destinata alla città di Benevento, una Casa di Loreto con s. Gregorio e altri santi, una tela con Teodorico e altri quadri con S. Michele, S. Martino con dieci figure, S. Paolo con sedici figure (Archivio segreto Vaticano, Sacri Palazzi apostolici, Computisteria, vol. 179 n. 130, vol. 180 n. 51, vol. 181 n. 86). Di tutte queste tele non si conosce l’attuale ubicazione.
Roncalli non si limitò a esercitare il mestiere di pittore, ma si espresse anche in quello di restauratore, lavoro praticato, seppur deprecato, dallo stesso Maratti e volto al recupero, al «rinettamento», per dirlo con le parole di Innocenzo XI, di opere di artisti del passato. Sappiamo di interventi in Vaticano nelle stanze di Raffaello, sugli affreschi degli Zuccari e di Barocci. Di quest’ultimo Roncalli fu tra l’altro ottimo imitatore, oltre che possessore di suoi cartoni. Tra il 1727 e il 1728, sempre in Vaticano, Roncalli fu impegnato nei restauri della galleria delle Carte geografiche e della sala Clementina e nel restauro degli affreschi eseguiti da Giulio Mazzoni, allievo di Giorgio Vasari, nella chiesa dei Ss. Martino e Sebastiano degli Svizzeri, da dove furono staccati nel 1967 per essere trasferiti nei Musei Vaticani. Annoverate nell’elenco delle operazioni manutentive la cappella del Lippi in S. Maria sopra Minerva e la chiesa del quartiere dei Tedeschi, S. Maria dell’Anima, oltre a S. Sisto Vecchio. L’attività di ripristino venne condotta anche su dipinti di artisti noti, con tale perizia da ricevere pubblici encomi da parte di Benedetto XIII, e fu così abile nell’imitare la maniera altrui da confondere gli studiosi sulla paternità di opere di sua mano con quelle di grandi nomi quali Sebastiano Conca e, come si è detto, Barocci.
Alla morte di Benedetto XIII, avvenuta nel 1730, si perdono a Roma le tracce di Roncalli e si ritrovano a Napoli nel 1739, quando l’artista, insieme a Ludovico Mazzanti, fu incaricato di valutare alcune opere in occasione del matrimonio di Carlo di Borbone e Maria Amalia di Sassonia. Era ancora nella città partenopea quando, alla morte della moglie Eusebia Paciotti, nel settembre del 1743, diede mandato al figlio don Gianfrancesco, cappellano d’onore del re Carlo, di vendere la dote della consorte defunta, equivalente a 405 scudi urbinati. Le ricerche non hanno ancora dato esiti circa il luogo e la data di morte dell’artista.
Fonti e Bibl.: Archivio della curia arcivescovile di Urbino, Fondo del Seminario, cc. 34-40v, 172, 185rv, 215v; Archivio di Stato di Roma, Camerale I, reg. 1071, c. 411r; reg. 1073, cc. 347, 471, 480, 528, 578, 630; Archivio di Stato di Urbino, Inventario dell’eredità del principe Carlo Albani, pp. 156-257; Notaio Luminati Bartolomeo, filza 3223, anni 1718-19, cc. 274-279; Archivio parrocchiale del Duomo di Urbino, Libri dei battezzati e dei defunti, anni 1711 e 1714; Archivio segreto Vaticano, Registro dei battesimi della parrocchia di S. Lorenzo in Damaso, anno 1728; ibid., Sacri Palazzi apostolici, Computisteria, vol. 179 n. 130, vol. 180 n. 51, vol. 181 n. 86; Urbino, Biblioteca universitaria, F.M. Ricciarelli, Storia di Urbino, 1843, voll. 5-6.
B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, III, Napoli 1745, pp. 533 s.; A. Lazzari, Delle chiese di Urbino e delle pitture in esse esistenti, Urbino 1801, pp. 113, 145; P. Gherardi, Guida di Urbino, Urbino 1875, p. 48; J. Berthier, L’Église de la Minerve à Rome, Rome 1910, p. 297; L. Nardini, Palazzo dei Principi Albani. Catalogo della galleria e della biblioteca, in Urbinum, V (1931), 1-2, p. 8; M. Dolci, Notizie delle pitture che si trovano nelle chiese e nei palazzi di Urbino, ed. integrale del testo originale a cura di L. Serra, in Rassegna marchigiana, XI (1933), 8-9, pp. 296, 303, 308, 313; A. Braham, Carlo Fontana: the drawings at Windsor Castle, London 1977, p. 509; F. Valesio, Diario di Roma, IV, 1708-1728: libro settimo e libro ottavo, Roma 1978, p. 718; I. Chiappini di Sorio, C. R. ed il ciclo pittorico di Montegallo, in Prilozi povijesti umjetnosti u Dalmaciji, 1980, vol. 21, n. 1, pp. 548-554; Papa Albani e le arti a Urbino e a Roma, 1700-1721 (catal., Urbino-Roma), a cura di G. Cucco, Venezia 2001 (in partic. A. Vastano, C. R. «pittore di casa Albani», pp. 240-242; F. Negroni, Palazzo Albani, pp. 313-318); M.A. Pavone, Pittura napoletana dalla fine del Seicento ai primi del Settecento, Napoli 2008, pp. 170, 197, 206.
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