GUARNA, Romualdo
Nacque da una nobile famiglia salernitana nel primo quarto del XII secolo. Il G. partecipò della stagione più florida della Scuola medica di Salerno, fu medico egli stesso e in seguito, divenuto sacerdote, percorse il cursushonorum fino a diventare nel 1153 arcivescovo della città, succedendo al filonormanno Guglielmo di Capua. Nel duomo di Salerno si conserva ancora il pulpito dal quale il G. predicava la sua dottrina.
Il G. fu protagonista del trattato di pace raggiunto nel 1156 in Benevento fra Guglielmo I d'Altavilla re di Sicilia e il papa Adriano IV. Per conto dei sovrani Guglielmo I e Guglielmo II assunse diversi incarichi che lo portarono a contatto dei pontefici Adriano IV e Alessandro III e dell'imperatore Federico I Barbarossa. Il G. svolse inoltre una missione in qualità di legato di Guglielmo II nel corso delle trattative che ebbero luogo a Venezia nel 1177 tra Federico I, i Comuni e Alessandro III.
Il G. morì il 1° apr. 1181.
La sua opera di scrittore sta tutta in un Chronicon la cui narrazione, basata su un corredo di fonti in parte orali, in parte documentarie, in parte storiografiche, tutte disinvoltamente utilizzate fino a renderne difficile il riconoscimento, è ispirata a precise motivazioni politiche attente ai fatti del Regno di Sicilia e rivolte al ruolo che nelle cose di quel Regno e del tempo svolgevano il Papato e l'Impero; il G. è esplicito nel separare le competenze della monarchia normanna da quelle dell'Impero e del Papato.
Nel dibattito critico intorno alla struttura redazionale dell'opera si è ipotizzato che il G. avesse compilato una prima stesura del Chronicon in forma di cronaca universale che giungeva fino al 1125, affidando una continuazione, più vicina ai fatti dell'Italia meridionale a mano anonima, e riprendendo poi la parte finale, riguardante il resoconto, prevalentemente autobiografico, della missione svolta dal G. in qualità di legato di Guglielmo II.
La situazione compilativa del Chronicon e la posizione personale del G. condizionarono le scelte della sua scrittura che taglia fuori da gran parte del testo tutta la tradizione orale e risulta influenzata da vicende contingenti. Di fronte alla riflessione del De bono pacis di Rufino da Sorrento, certo il prodotto più originale della cultura meridionale del XII secolo, in cui l'autore delinea la teoria del potere esercitato attraverso l'uso della pace, il Chronicon del G. (e del suo coredattore) appare un'opera datata, pronta a sacrificare l'oralità coeva per fabbricare uno schema narrativo che garantisca un posto sicuro nell'ortodossia storiografica. La tendenza a un coinvolgimento autobiografico del G. salva però il Chronicon in quanto opera che è mimesi d'una disperazione; in essa l'autore, pur fidandosi dei modelli cronistici più collaudati, sembra percorso dal dubbio di possibili mutamenti e, visto che la fede nelle istituzioni del Medioevo (Chiesa, Impero e monarchia) potrebbe non bastare, va altrove a cercare le sue risposte, e le trova lontano dai malesseri del Sud.
Seguendo l'esempio di Beda, il G. divide nei sei tempi delle età del mondo l'evolversi della storia umana: la prima parte del Chronicon assume così un aspetto didattico e riassuntivo. Con questa sezione il G. fornisce, nella letteratura mediolatina in Italia, un primo esempio di cronaca universale così cara fin dall'XI secolo agli storici franchi e sassoni. Per gli anni dall'893 fino al 1127, agli anni di papa Onorio II (morto nel 1130), la redazione strettamente annalistica del testo farebbe pensare invece a una scrittura a più mani ove intervengono, con il G., almeno altri due scribi, mentre l'arcivescovo lascerebbe per sé la compilazione essenzialmente autobiografica dove si fissano i personaggi di Ruggero II di Sicilia e dei due Guglielmi suoi successori. A momenti che descrivono l'operato del G. attraverso l'uso della terza persona seguono fasi di racconto dove è ben distinguibile il coinvolgimento personale dell'autore, dove è forte il carattere delle sue reazioni, e dove le sue antipatie e simpatie lasciano trapelare la sua origine aristocratica.
Il G. ha affidato ai suoi scribi la redazione delle parti centrali dell'opera e torna a svolgere in prima persona la narrazione fino al 13 sett. 1179 quando o la sua morte o la perdita di un quaderno del codice sono il motivo dell'interruzione del Chronicon. L'importanza assunta dall'entrata in scena dell'autore, che scrive in diretta dopo il 1177, si giustifica con il desiderio di lasciare una veridica testimonianza della sua legazione a Venezia su incarico di Guglielmo II con l'incontro avuto non soltanto con Federico Barbarossa, ma soprattutto con l'intera società politica dell'Italia settentrionale: il G. non è soltanto un cronista di cose, fatti e uomini del Meridione mediterraneo, ma appare specialmente felice nell'intelligenza ch'egli dimostra di tutte le casistiche locali ed europee in gioco nel cuore dell'Europa medievale dalla Padania in su. Il Liber pontificalis non gode d'informazioni di prima mano e sull'operato dei pontefici il G. si sostituisce benissimo al redattore della Curia di Roma, avendo la sensibilità di fermarsi a lungo sulle vicende di Lombardia e sul fenomeno della Lega lombarda, come argine nuovo, espressione d'un mondo che va cambiando, rapportandolo all'azione d'un personaggio potente ma ambiguo come il gran cancelliere dell'Impero cristiano di Magonza. Se Alessandro III e Federico I Barbarossa sono, con i legati lombardi, i grandi protagonisti di questa parte del racconto, va osservato che qui è il G. stesso a dare prova di saper abbandonare in un colpo solo tutti gli schemi dell'ortodossia storiografica del far cronaca e riesce, invece, a "fare scrittura" in prima persona. Liberatosi, insomma, dalle pastoie compilative d'una cronachistica ormai superata, il G. inventa, forse nell'unica parte sicuramente originale della sua opera, un modo d'intendere la storia dove le cose del Sud trovano nei fatti e negli uomini del Nord una platea di confronto, uno scacchiere di rapporti più ampio e, quindi, un modo di salvare da settentrione i problemi del Mezzogiorno.
Dal 1159 la scrittura del Chronicon cambia parecchio e il coinvolgimento autobiografico tocca addirittura livelli di autopromozione. Ma non solo in questo si avverte il mutamento. Quello che colpisce è la caduta di tutta una serie di osservazioni storiche, ambientali, morali e generalmente interpretative che facilitano allo storico G. il percorso della memoria e la ricostruzione dei fatti. Questa sua ricostruzione passa per alcuni snodi fissi e ricorrenti. Almeno una dozzina di volte stelle cadenti o stelle comete attraversano il cielo del Chronicon: ovviamente in concomitanza di episodi significativi o preannunciatori di eventi, ma frequentissimi fra 990 e 1119, compresa la cometa di Halley. Carestie e terremoti sono meno presenti, ma puntualmente ricordati. Tema forte, invece, sono i ritratti che il G. dedica ai maggiori protagonisti laici della sua opera, ma più vicino si fa ai tempi suoi più la ritrattistica del G. sfuma in una serie di immagini non più esaltate. Con il trascorrere degli anni i medaglioni storici spariscono del tutto e la contesa diventa tutta pragmatica e politica, tutta ruotante intorno alle figure fondamentali di Federico I e Alessandro III. Accanto a esse il ruolo dell'arcivescovo Guarna. E siamo al coinvolgimento personale della terza parte del Chronicon.
Per quanto riguarda la lingua e lo stile del Chronicon, si nota la prevalenza del discorso diretto in occasione di apostrofi ufficiali (parole del pontefice, dei rappresentanti dei Comuni, dei sovrani o degli ambasciatori) secondo un sermo sublimis (genus sublime), ovvero preferendo un sermo humilis (genussubtile) per la descrizione di accadimenti quotidiani o di eventi bellici. Una complessiva elegantia diffusa lungo l'intera narrazione accompagnata da una perspicuitas che serve come motore interpretativo del dato storico e che ha la funzione di trasmettere al lettore una totale credibilità del testo in cui l'autore si trova dalla stessa parte del destinatario del racconto. Gli autem e i vero punteggiano il periodare latino spesso incline al cursus planus e comunque sempre sensibile ad autentiche soste testuali quando si tratta d'inserire exempla di derivazione biblica, corredo di quasi tutti gli interventi retorici messi in bocca a papi o rappresentanti di Curia.
Questa retorica viene supportata da altre figure: l'anastrofe, l'anafora, la gradatio, unite a una ricca aggettivazione per la quale, tuttavia, sono d'esempio al G. i vocabolari più emotivi dell'epica normanna, quali quelli adottati, un secolo prima, nei Gesta Roberti Wiscardi da Guglielmo di Puglia o da Goffredo Malaterra nel De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis. Stessa cosa va osservata per la scelta di vocaboli la cui semantica tutta medievale (honor, dominus/domnus, tyrannus, decus, pax, dominium, natio, solo per citarne alcuni) serve a connotare concetti dal portato più ampio eppure sintetizzati nell'uso del singolo termine. Da tutto questo risulta una certa tendenza aulica nel prosare del G., che ben si dispone in tal modo a inserire nella narrazione documenti ufficiali il cui latino non sembra discostarsi molto dal complessivo tessuto linguistico e prosastico del Chronicon.
Il sentimento del tempo, del trascorrere delle stagioni, la volontà di salvare l'onore e la libertà dell'Italia e la dignità della Chiesa romana, le angustie, le fatiche, i pericoli di morte, la professione di fede dei Lombardi che volevano una morte gloriosa e non una vita miserevole in schiavitù, i Veneti, i Cremonesi, i nobili, il popolo delle città…: brulica inaspettatamente il mondo del G. e lo scrittore rivela una disponibilità all'ascolto, al nuovo che mai avrebbero fatto prevedere le narrazioni precedenti. Sempre più forte si fa qui la sensazione che egli sia autore soltanto dell'ultima parte del Chronicon; tuttavia non concorrono prove forti, se non letterarie e stilistiche, a dimostrarlo.
Questo mutamento nel metodo narrativo del G. implica una sua partecipazione autentica all'ultima fase della redazione, esclude probabilmente la sua presenza nelle parti precedenti e, complessivamente, traccia una scissione profonda nella filosofia storiografica del Chronicon, davvero suddivisibile in più mani laddove almeno uno dei suoi autori, il più famoso, non ha avuto remore nell'entrare in gioco, testimoniando che nell'autobiografia la scrittura storica rinnova completamente i propri approcci.
Benché un'ideale continuità sembri legare fino al tempo del G. la tradizione longobardo-benedettino-cassinese, nel suo Chronicon affiora un programma di equilibrata distanza e di voluto distacco dalle bufere politiche del tempo nel dissimulato intento di tracciare, secondo lo schema di cronaca ispirato alle narrazioni di storia universale, il progredire degli accadimenti non più misurato sui tentennamenti dell'anonimo Chronicon Salernitanum e dell'HistoriaNormannorum di Amato di Montecassino o, addirittura, nell'imprevedibile giustificazione degli atti di Gisulfo (II) fissato in una benevola quanto improbabile compostezza dalle Vitae quattuor priorum abbatum Cavensium di Pietro (II) da Venosa.
Il compito del G. arcivescovo e scrittore si manifesta anche in un'inesausta attività di canonista che fornisce al pontefice Alessandro III occasione di diverse decretali. Il G. fu forse autore anche di un Breviarium Salernitanae Ecclesiae, rimasto in uso fino al 1586 e del quale ancor oggi la Chiesa salernitana si serve per alcune ufficiature dei santi locali.
Edizioni del Chronicon: Romualdus Salernitanus, Chronicon, a cura di C.A. Garufi, in Rer. Ital. Script., 2a ed., VII, 1; Romualdo II Guarna, Chronicon, a cura di C. Bonetti, con saggi di G. Andenna - H. Houben - M. Oldoni, Cava de' Tirreni 2001.
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