GESSI, Romolo
Nacque il 30 apr. 1831 sulla nave che trasportava i suoi genitori da Ravenna a Costantinopoli. Il padre Marco, avvocato, console inglese nell'Impero ottomano, aveva sposato Elisabetta Carabett, di origine armena. Morto il genitore quando aveva 11 anni, il G. andò a studiare a spese del governo britannico prima nell'Accademia militare austriaca a Wiener Neustadt e poi all'Accademia tedesca di Halle. Nel 1848 passò a Bucarest come addetto al consolato inglese. Plurilingue - parlava tedesco, inglese, francese, turco, armeno, greco, russo -, nel 1855-56 partecipò come ufficiale interprete dell'esercito britannico al conflitto russo-turco in Crimea, dove strinse amicizia con l'allora sottotenente C. Gordon. Finita la guerra, si recò a Londra per poi tornare in Oriente, dove si impiegò come perito al Lloyd Register di Sulina.
I legami con l'ambiente inglese si allentarono nel 1859, quando, all'annuncio che il Piemonte stava per muover guerra all'Austria, il G. lasciò la Romania per arruolarsi nei Cacciatori delle Alpi di G. Garibaldi e partecipare alla campagna nel Trentino. Dopo la proclamazione del Regno d'Italia, il G. chiese e ottenne la cittadinanza italiana. Tornò dunque al suo impiego al Lloyd Register, e sempre in Romania sposò la giovane violinista di Pressnitz (Prisecnice) Maria Purkart, dalla quale avrebbe avuto sette figli (quasi tutti morti in giovane età: il più longevo fu Felice, il curatore delle sue Memorie). Nel 1870 si licenziò e raggiunse la sorella Ersilia a Tulcea, dove impiantò un mulino e una grande segheria a vapore; ma già l'anno successivo fu costretto a cedere l'impresa, essendosi ripetutamente scontrato con le autorità ottomane, da lui accusate di vessazioni e fiscalità ingiuste.
La svolta della sua vita maturò nel 1873, quando, nominato il Gordon governatore delle province equatoriali dell'Africa, il G. ne divenne il fiduciario, occupandosi di installare postazioni militari nel Baḥr el-Ghazāl e lungo il Nilo Bianco e di studiare la tratta degli schiavi, gestita soprattutto da mercanti arabi (ma, come denuncia nelle sue Memorie, anche da trafficanti europei di diverse nazionalità e religioni).
Nel 1875, dopo il fallimento dell'esplorazione del lago Alberto da parte degli inglesi C.M. Watson e W.H. Chippendale, il G. fu incaricato dal Gordon della missione volta a svelare l'ultimo "anello mancante" - il collegamento attraverso il lago Alberto fra il Nilo Bianco e il Nilo Vittoria - di un fiume già individuato in tutti i rimanenti tratti da una fitta schiera di esploratori. L'esplorazione aveva in particolare due obiettivi, entrambi finalizzati all'individuazione dell'asse di penetrazione inglese verso l'Africa interna: capire se il Nilo Bianco uscisse o no dal lago Alberto, e verificare se esistevano collegamenti fra lo stesso lago e il bacino idrografico del Congo, zona di espansione del concorrente colonialismo belga. Entrato dal fiume nel lago il 19 marzo 1876, il G. riuscì a sciogliere il primo interrogativo, ma non il secondo, a causa dell'imprecisione dei suoi rilievi cartografici e della fitta vegetazione lacustre che gli impedì di accertare il percorso dell'emissario sud del bacino: solo più tardi, nel 1888, si sarebbe scoperto che il Semliki non aveva nulla a che fare con il fiume Congo e sfociava invece nel lago Alberto Edoardo.
Tornato nel dicembre 1876 al Cairo, il G. restò molto deluso nel ricevere solo un piccolo premio in denaro e una onorificenza di secondo ordine per l'impresa compiuta. Alle sue rimostranze il Gordon rispose con una frase riportata e commentata in tutte le biografie: "What a pity you are not an Englishman". Quale che ne fosse il significato, il G. percepì queste parole come un insulto e, strappatisi i gradi, si licenziò dal suo vecchio amico. Iniziò allora un periodo turbinoso della sua vita: prima rientrò in Italia, dove ottenne vari riconoscimenti, fra cui una medaglia della Società geografica italiana; poi nel febbraio del 1877, appena saputo della nomina del Gordon alla carica di governatore generale del Sudan, ritornò al Cairo, sperando di ottenerne un impiego. Deluso nuovamente, fece ritorno in patria per organizzare una spedizione lungo il fiume Sobat - affluente del Nilo Bianco - e verificare la praticabilità di "un'attiva corrente commerciale fra l'Italia e il Sudan" (Zaghi, 1939, p. 143). La spedizione tuttavia fallì sul nascere per un incendio forse doloso delle casse della spedizione nella stazione di Suez (aprile 1877).
Ritornato in Italia, il G. raccolse i fondi per una nuova spedizione - insieme con P. Matteucci - con destinazione Kaffa (Etiopia meridionale) e con il duplice obiettivo di un'indagine sul commercio locale e della ricerca degli esploratori G. Chiarini e A. Cecchi, di cui si erano perse da tempo le tracce. Ma, raggiunta Fadasi, i due italiani furono costretti per l'ostilità dei capi locali a tornare indietro e rientrarono nel giugno 1878 a Khartūm. Qui il G. tentò di organizzare un'altra spedizione sul Sobat e di fondare, con l'aiuto della Carlo Erba di Milano, una casa commerciale italiana. Ma di nuovo, prima per una ribellione nel Darfur, poi per un'altra ancora più pericolosa nel Baḥr el-Ghazāl, la spedizione dovette essere rinviata a tempi migliori. Rappacificatosi nel frattempo con il Gordon, il G. accettò allora - "quale europeo" avrebbe scritto nelle sue Memorie - l'offerta del governatore generale di guidare la campagna contro il ribelle figlio del pascià Zibēr Rahmat, Suleimān.
La campagna antischiavista del Baḥr el-Ghazāl - una "guerra [che] è una specie di gran guerriglia" (Memorie, p. 296) - iniziò il 15 luglio 1878 e terminò con la fucilazione di Suleimān il 15 luglio 1879. Il G. accertò sin dall'inizio che la tratta era gestita anche da funzionari governativi; poi vinse in più battaglie l'avversario, certo in ragione di un più moderno armamento (mitragliatrici e fucili Remington) ma anche grazie a una notevole abilità tattica capace di calibrare le capacità offensive con le esigenze difensive e di rifornimento alimentare e logistico; esercitò una "repressione spietata" contro l'elemento arabo della regione - lui stesso parla di "giustizia sommaria" - puntellata da "impiccagioni e fucilazioni decretate da speciali consigli di guerra" (Zaghi, 1939, p. 212); e alla fine arrestò Suleimān con uno stratagemma e lo fece fucilare.
In un Sudan che si avviava verso la rivolta del Mahdī, la sua vittoria, che sembrava totale, risultò sotto il profilo politico assai precaria: nominato pascià-governatore del Baḥr el-Ghazāl e della provincia equatoriale, il G. fu osteggiato e boicottato da ambienti influenti del governo khediviale, dal successore del Gordon a Khartūm, Ra'ūf pascià, e in genere dalla popolazione araba. Contro di lui vennero promosse 2065 petizioni per accuse di "delitti e atrocità commessi sulle popolazioni, di esecuzioni in massa di arabi, di sterminio e di rovina" (Zaghi, 1947, p. 56). Privato del comando delle regioni equatoriali e delle province di Rohl e Lado, il G., che aveva tentato di rifondare l'economia della regione soprattutto sulla base di produzioni coloniali, partì il 25 sett. 1880 alla volta di Khartūm per chiedere ragione del provvedimento: ma il suo battello restò imprigionato fra gli acquitrini del Baḥr el-Ghazāl per tre lunghi mesi, durante i quali 430 dei suoi uomini morirono di stenti ed egli stesso si ammalò. Il 25 genn. 1881 l'imbarcazione venne infine liberata e rimorchiata fino a Khartūm, da dove il G. ripartì l'11 marzo con l'intenzione di tornare in Italia.
Arrivò il 28 a Suez, dove morì nell'ospedale francese il 30 apr. 1881.
Commerciante, esploratore, militare e amministratore: la non lunga vita del G. è solcata da questi quattro binari che corrono più o meno paralleli nel turbinoso svolgersi delle sue avventure. Ma per coglierne le rispettive dimensioni occorre prima di tutto fare i conti con le fonti e con il patrimonio biobibliografico disponibili, non sempre privi di interferenze e parzialità. La base di partenza sono le sue Memorie sui "sette anni nel Sudan egiziano", nelle quali, accanto all'utile base del racconto, sono ravvisabili due tipi di manipolazioni: quelle dell'autore stesso, intenzionato come è naturale a presentarsi nella veste migliore al lettore europeo, e quelle dei curatori dell'opera - suo figlio Felice e il direttore dell'Esploratore, M. Camperio - che a loro volta censurarono alcuni passi originali e comunque assemblarono, in modo talvolta opinabile, brani delle Memorie, lettere del G., e integrazioni di raccordo.
Un secondo problema storiografico è quello relativo alla saggistica di epoca fascista, che, oltre a svolgere una funzione utile di approfondimento del personaggio, ne travisò spesso il ruolo e le iniziative, facendo del G. un eroe senza macchia, frustrato nei suoi obiettivi solo per gli ostruzionismi e le vessazioni altrui. Così egli diventa un "Garibaldi d'Africa" (Zavatti), anche se non gli mancarono accuse di violenze contro gli stessi neri, tali da "accapponare la pelle a chi tiene alla civiltà" (C. Piaggia, in Stella, p. 44); è descritto come un irriducibile idealista, anche se avrebbe carezzato progetti per "guerre di conquista per l'avorio" (Matteucci, ibid.); avrebbe compiuto la "più difficile esplorazione del secolo" (il lago Alberto), il cui "scopo… fu pienamente raggiunto" (Zavatti, 1937, p. 52), anche se lui stesso dichiara più modestamente di aver raggiunto solo "il precipuo obbiettivo" dell'impresa assegnatagli; sarebbe fuggito dall'Accademia di Halle per partecipare alla difesa della Repubblica di Venezia, anche se gli studi più seri smentiscono l'episodio; non avrebbe mai richiesto un impiego al Gordon, fermo nell'offesa al suo orgoglio ferito dalla risposta dell'inglese alle sue rimostranze ("What a pity…"), come se una simile proposta - del tutto verosimile (Santoni, pp. 270 s.; Stella, pp. 41 s.) - avesse offuscato la sua immagine di eroe indisponibile a qualsiasi compromesso.
In realtà, la figura del G., secondo una problematica storiografica comune a tutti i protagonisti del colonialismo italiano in Africa, e in particolare al mondo dell'esplorazione, andrebbe espunta dei tratti romantici con cui è stata fissata dalla tradizione agiografica prebellica e - senza cadere nel rischio opposto di una demitizzazione forzata del personaggio - andrebbe colta nella sua concreta realtà e umanità, al di là di qualsiasi etnocentrismo. Da questo punto di vista sono utili una serie di raffronti bibliografici e sulle fonti: con la storiografia europea sul Sudan, generalmente positiva verso il G. (Hill, 1951; Gray, 1961; Wingate, 1968); con la storiografia araba, spesso invece molto critica (Sabry, 1933; 'Abd al-Rahīm, 1969); e, sul piano delle fonti, con gli scritti di altri esploratori funzionari e missionari coevi (per esempio Gordon, Matteucci, Piaggia, D. Comboni, G.B. Messedaglia, lo stesso Camperio). Molto utili sono anche alcuni epistolari editi o inediti, del o sul G. (lettera di D. Comboni, Roma, Archivi comboniani; Zaghi, 1947; Zavatti, 1962), e alcuni abbozzi di studi critici nei quali è possibile cogliere un G. diverso da quello ufficiale, con i suoi sentimenti più profondi e più veri. Si può notare così che nello stendere il necrologio dell'amico da poco scomparso, lo stesso direttore dell'Esploratore non mancava di celebrarlo non solo in quanto "geografo… e filantropo" ma anche come appartenente al "ceto commerciale": con ciò forzando la realtà fattuale, visti i concreti fallimenti in questo campo del G. (Stella, p. 44), ma cogliendo quella che sicuramente fu una sua costante aspirazione (Zaghi, 1939, p. 143), che emerge a ogni passo della sua carriera africana. Le Memorie sono diffusamente puntellate di annotazioni sui veri o presunti vantaggi e potenzialità del commercio nella regione.
Ma se non riuscì in quanto imprenditore e commerciante e se ebbe successo solo parziale nell'esplorazione (come riconosciuto anche da un suo grande estimatore: Zaghi, 1947, p. 66), il G. si affermò invece nell'arte militare, abilmente e spietatamente esercitata nella campagna del Baḥr el-Ghazāl. Anche da quest'ultimo punto di vista i problemi storiografici sono diversi: innanzitutto, quello del significato generale dell'impegno antischiavista del colonialismo europeo in Africa, certo frutto di una sincera ripulsa del commercio di carne umana, ma anche alibi per politiche di conquista e di dominio di segno etico non troppo differente da quelle combattute: espressione di un modo di produzione minerario-industriale europeo più avanzato di quello mercantile-schiavista arabo, e che abbisognava di una numerosa manodopera in loco per poter sviluppare l'economia coloniale. Fenomeno di transizione, questo, di cui il G. stesso si dimostra cosciente quando distingue fra la tratta dei neri e la schiavitù domestica, a suo avviso necessaria, e quando cerca di convincere alcuni interlocutori arabi della "prospettiva dei benefici che potrebbero ottenere dalla coltura del cotone e dalla introduzione della moneta metallica nel loro paese" (Memorie, p. 246).
Un secondo problema riguarda il suo ruolo e la sua particolare figura di combattente antischiavista. Una personalità complessa come quella del G., operante in una fase di acuto scontro fra imperialismo e popolazioni del Sudan, non poteva non suscitare giudizi discordi non solo fra gli storici ma anche fra i suoi contemporanei: negativi o parzialmente negativi quelli già ricordati del Piaggia e del Matteucci; del Gordon, che lo accusò di essere stato "non del tutto onesto" nei suoi confronti (Stella, p. 44); di G. Casati ("Se mi trovai abbandonato, senza mezzi, nel lontano Mombuttu, la colpa è tutta di Gessi che a mio riguardo si comportò con vera leggerezza e forse con birbanteria", ibid.). Ma anche molto positivi, come quelli di tanti altri suoi contemporanei amici e avversari (G.A. Schweinfurth, Messedaglia, G. Junker, C. Wilson, R. Felkin, R. Buchta). Lo stesso Gordon non mancò di tesserne le lodi sia pubblicamente (Zaghi, 1947), sia in privato ("magnifico compagno abile in ogni sorta di lavori, meglio di molti reali ingegneri", Zaghi, 1939, p. 108). Comboni, che nel 1878, in una lettera al segretario della Società geografica italiana, C. Correnti, aveva dipinto con tratti realistici le aspirazioni del G. a una vecchiaia tranquilla ed economicamente garantita dal suo lavoro nel Sudan, nel suo Quadro storico delle scoperte africane (1880) lo elogia comunque perché indispensabile al Gordon e "versatissimo nell'arte militare, dotato d'un invitto coraggio e di sangue freddo, d'una mingherlina ma ferrea costituzione, e d'una costanza a tutta prova" (Comboni, 1991, p. 1774). L'esperienza concreta di vita, la dimensione specifica dell'arte militare, le caratteristiche di un processo di colonizzazione dell'Africa dai tratti comunque violenti e intrisi di razzismo, sono i parametri fondamentali su cui misurare il ruolo, l'importanza e la figura del G. nella storia del Sudan anglo-egiziano e del colonialismo in generale.
Fonti e Bibl.: In generale sul Sudan anglo-egiziano v.: M. Sabry, L'Empire égyptien sous Ismail et l'ingérence anglo-française, Paris 1933; R. Hill, A Biographical Dictionary of the Anglo-Egyptian Sudan, Oxford 1951; R. Gray, A history of the Southern Sudan, 1839-1889, London 1961; F.R. Wingate, Mahdism and the Egyptian Sudan, London 1968; Mudatthir 'Abd al-Rahīm, Imperialism and nationalism in the Sudan. A study in constitutional and political development, 1899-1956, London 1969. Sul G., in particolare: D. Comboni, Quadro storico delle scoperte africane (1880), in Id., Gli scritti, Bologna 1991, pp. 1752-1789; R. Gessi, Sette anni nel Sudan egiziano. Memorie, a cura di F. Gessi - M. Camperio, Milano 1891 (nuova ed., a cura di A.A. Michieli, ibid. 1930); L. Santoni, Alto Egitto e Nubia. Memorie, Roma 1905 passim; S. Zavatti, R. G.: il Garibaldi dell'Africa, Forlì 1937; C. Zaghi, Vita di R. G., Milano 1939; Id., Gordon, G. e la riconquista del Sudan (1874-1881), Firenze 1947; S. Zavatti, Lettere inedite di R. G. relative alla spedizione del Kaffa, in Africa, XVII (1962), 6, pp. 300-310; G.C. Stella, R. G.: contributo ad una bibliografia, Fusignano 1998; M. Zaccaria, "Il flagello degli schiavisti". R. G.…, Ravenna 1999.