Romolo e Guido Quazza
Romolo e Guido Quazza, padre e figlio, entrambi storici specializzati nella storia del Risorgimento, sono stati protagonisti della storia italiana del Novecento, sia dal punto di vista umano, sia dal punto di vista storiografico, promuovendo un nuovo modo di fare storia.
La famiglia dei Quazza era originaria di Mosso Santa Maria, nel Biellese, mentre la moglie di Romolo, Manina Capitelli, apparteneva a un’importante famiglia di Napoli che tra i suoi avi annoverava Domenico, il presidente del parlamento napoletano del 1848, e Guglielmo, insigne giurista, che nel 1866 era stato sindaco della città partenopea e poi prefetto del Regno d’Italia.
Romolo Quazza nacque a Mosso Santa Maria il 3 gennaio 1884 e morì a Torino il 10 maggio 1961. Allievo nell’ateneo torinese del celebre storico Gaetano De Sanctis, si specializzò in storia della politica diplomatica, laureandosi con una tesi dedicata al periodo medievale, scritta sotto la guida di Pietro Fedele. In seguito fu a lungo insegnante nei licei, prima a Mantova poi presso il prestigioso liceo Cavour di Torino, dove insegnò per circa un decennio a partire dal 1930. In seguito passò all’insegnamento universitario, dapprima come incaricato poi, a partire dal 1939, come ordinario di storia del Risorgimento alla facoltà di Lettere dell’Università di Torino.
Il 14 giugno 1922 nacque a Genova Guido, terzo di cinque figli, che durante l’adolescenza seguì le orme del padre, dapprima studiando al liceo Cavour poi iscrivendosi, nel 1940, alla facoltà di Lettere. Da studente Guido mostrò un notevole interesse per gli studi storici, ma anche atteggiamenti personali di ribellione nei confronti delle imposizioni e della retorica del regime. In quegli anni anche Romolo, politicamente vicino ai monarchici, maturò una crescente avversione nei confronti del fascismo, che a suo avviso strumentalizzava l’appoggio della monarchia, portando avanti una linea nazionalistica e bellicistica che vedeva in Benito Mussolini e non in Vittorio Emanuele III il vero punto di riferimento delle istituzioni statali.
La guerra determinò il definitivo distacco dal fascismo e segnò l’inizio della frequentazione da parte dei Quazza, padre e figlio, di esponenti dell’antifascismo piemontese. Tali incontri con amici del padre colpirono in particolare il giovane Guido che era stato da sempre educato dalla madre al rispetto dell’autorità. I primi tre anni di guerra i Quazza li passarono a Mosso, dove erano sfollati dopo l’inizio dei bombardamenti aerei angloamericani su Torino. Nell’agosto 1943 Guido venne chiamato alla armi, in fanteria, e fu inviato presso il 1° battaglione Allievi ufficiali alla caserma di Torre Spaccata, nei pressi di Roma. L’8 settembre prese parte a una breve azione all’aeroporto di Centocelle, poi fuggì verso Nord, lungo la costa adriatica, riuscendo a ricongiungersi con la famiglia il 14 settembre. Ripresi i contatti con gli amici del padre, Guido decise di partecipare alla lotta armata; nel frattempo, continuò a scrivere la prima stesura del saggio Origini e aspetti della crisi contemporanea, che avrebbe pubblicato a guerra conclusa, nel 1945. Il 25 febbraio 1944, a causa della sua distanza ideologica dalle formazioni garibaldine, lasciò le montagne del Biellese per trasferirsi in Val Sangone, dove pochi giorni dopo lo raggiunse il fratello Giorgio. Quest’ultimo, a novembre, durante un rastrellamento venne catturato dai nazifascisti e in seguito deportato a Mauthausen; Guido invece evitò la cattura e nel gennaio 1945 venne nominato comandante della brigata Ruggero Vitrani alla testa della quale prese parte alla liberazione di Torino.
Nel dopoguerra portò a termine gli studi, laureandosi con una tesi intitolata L’equilibrio italiano nella politica europea alla vigilia della guerra di successione polacca. Nello stesso periodo si iscrisse al PSIUP (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria) diventando, nel 1946, vicesegretario della federazione torinese, oltre che redattore del nuovo giornale «L’iniziativa socialista». Dopo la scissione del partito nel 1947, Guido confluì nel Partito socialista dei lavoratori italiani, entrando nella direzione nazionale e candidandosi alla Camera per le elezioni del 1948. Nonostante la sconfitta delle sinistre e l’appoggio dato in seguito dal suo partito al governo centrista della Democrazia cristiana continuò la sua attività politica, che però accompagnò con l’impegno di storico. Nel 1948 ottenne la libera docenza in storia del Risorgimento, ripetendo ancora una volta i passi del padre Romolo, ossia insegnando nei licei e poi all’università.
Dopo essersi sposato con Marisa Piola, avviò una collaborazione con l’Istituto storico italiano per la storia moderna, diretto da Federico Chabod e presieduto da Gaetano De Sanctis, iniziando a viaggiare tra Roma e Torino. Due anni dopo la morte del padre, vinse un concorso pubblico ottenendo la cattedra di storia medievale e moderna presso la Scuola Normale Superiore di Pisa.
Non trovandosi a suo agio nell’ambiente pisano ritornò a Torino, dove venne nominato ordinario nel 1966 e l’anno seguente venne eletto preside della facoltà, ottenendo anche la prestigiosa nomina di socio dell’Accademia delle Scienze. Senza mai tralasciare l’impegno politico, Guido nel 1972 fondò la «Rivista di storia contemporanea», succedendo nello stesso anno a Ferruccio Parri alla presidenza dell’INSMLI (Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia). La sua direzione impresse una svolta all’attività dell’istituto che iniziò a coordinare l’attività di giovani ricercatori, promuovendo seminari, convegni e pubblicazioni. Negli anni Ottanta promosse la nascita di un comitato interuniversitario tra l’Università e il Politecnico di Torino, occupandosi a tempo pieno di didattica, formazione degli insegnanti e della riforma della facoltà di Magistero (1990). Nel 1992 pubblicò la sua ultima opera, L’utopia di Quintino Sella, dopodiché iniziò a limitare le sue notevoli attività a causa di problemi di salute. Si spense a Torino il 7 luglio 1996.
Nel 1913 Romolo pubblicò il suo primo saggio significativo sulla figura del cardinale Giulio Alberoni, mettendo in mostra un orientamento storiografico d’impronta politico-diplomatica. Dopo aver combattuto nella Prima guerra mondiale, riprese l’insegnamento nella nuova sede di Mantova e si dedicò alla ricerca negli archivi cittadini, facendo emergere una ricca documentazione da cui derivarono due importanti opere: Mantova e Monferrato nella politica europea alla vigilia della guerra per la successione, 1624-1627 (1922) e La guerra per la successione di Mantova e del Monferrato, 1628-1631 (2 voll., 1926). Nel 1933 compose la sintesi Mantova attraverso i secoli, dopodiché cambiò argomento di ricerca passando alla storia di Casa Savoia. Agli studi su Emanuele Filiberto (1929), su Carlo Emanuele I (1930), su Margherita di Savoia duchessa di Mantova e vice-regina del Portogallo (1930), affiancò saggi relativi al periodo risorgimentale.
Non si occupò solo del periodo intorno alla guerra dei Trent’anni, ma fu anche un attento indagatore del Risorgimento, pubblicando nel 1919 il saggio La capitale da Torino a Firenze e nel 1925 il volume Idee e programmi del partito moderato alla vigilia del trasformismo. Trasferitosi a Torino, nel 1936 diede alle stampe La formazione progressiva dello Stato sabaudo. Dalla contea dei Savoia al regno d’Italia, che si segnalava per il suo rifiuto della retorica fascista. Tra secondo conflitto mondiale e dopoguerra si occupò della storia d’Italia tra il 1559 e il 1700, pubblicando nel 1950 il volume Preponderanza spagnuola, 1559-1700. Seguì nel 1955 l’approfondita opera in due volumi Pio IX e Massimo d’Azeglio nelle vicende romane del 1847.
Nel 1951 venne dato alle stampe il volume intitolato La lotta sociale nel Risorgimento in cui Guido scelse come punto di partenza il 1815, esaminando tuttavia anche il periodo napoleonico in Italia, ma tacendo del triennio rivoluzionario: questo perché si rifiutava di attribuire qualsiasi ruolo significativo al giacobinismo. Con la pubblicazione nel 1957 del grande lavoro Le riforme in Piemonte nella prima metà del Settecento passò a occuparsi del periodo prerisorgimentale, concentrandosi sullo studio della formazione della classe politica sabauda. Risulta evidente la maturazione dello storico che era oramai diventato uno dei migliori indagatori del Settecento italiano, in virtù soprattutto della sua attenta indagine delle fonti più svariate (lui stesso ha ricordato di aver consultato «interminabili registri di contatti»). Inoltre egli non forzava mai i documenti per trarre conclusioni univoche.
Nel 1961 scrisse quello che può essere considerato uno dei suoi lavori più importanti, L’industria laniera e cotoniera in Piemonte dal 1831 al 1861, grazie al quale può essere annoverato tra gli iniziatori della storia della tecnologia in Italia. Nella scia di altri storici del periodo, come Rosario Villari (n. 1925), Pasquale Villani (n. 1924) e Rosario Romeo, Quazza si pose l’obiettivo di stabilire se esisteva un filo conduttore tra le riforme settecentesche e del periodo napoleonico e la successiva maturazione in alcuni Stati preunitari di nuovi orientamenti ideologici, ma anche economici che in seguito avrebbero favorito il decollo industriale del nostro Paese. Significativi sono i ritratti che fece di alcuni imprenditori dell’epoca e proprio questo suo interesse per le singole personalità lo portò a prendere le distanze non solo dall’impostazione economico-giuridica fino allora prevalente in questo genere di studi, ma anche dai paradigmi generalizzanti della storiografia marxista tradizionale.
Come ha scritto Mario Isnenghi (Un itinerario di ricerca e di organizzazione della ricerca, in Guido Quazza: l’archivio e la biblioteca come autobiografia, 2008, pp. 61-68), una delle principali novità degli studi di Guido Quazza è l’attenzione alla psicologia e alla ‘soggettività’, dei regnanti, dei ministri e dei loro funzionari. Tale attenzione caratterizzò anche le opere sulla guerra partigiana. Egli infatti fu uno dei primi a descrivere le bande partigiane non solo come gruppi militari e politici, ma anche come microcosmi esistenziali. Un tema che attraversa tutte le sue pubblicazioni è quello dell’analisi delle forme e dei contenuti dell’esercizio del potere nei diversi periodi storici. Formatosi come medievista e modernista, nel secondo dopoguerra Quazza fu uno dei principali sostenitori della storia contemporanea, materia nuova che incontrava forti resistenze in ambito accademico. Grazie anche alla sua instancabile attività come insegnante, responsabile di riviste e direttore dell’INSMLI a poco più di venticinque anni dai fatti, la Resistenza entrò a far parte dei periodi storici studiati nei corsi universitari.
La guerra rappresentò per Guido un sofferto distacco dagli amati studi e nei venti mesi di lotta partigiana egli tenne lezioni improvvisate per i compagni di lotta meno istruiti e per i contadini. Nelle sue opere seppe analizzare con sguardo lucido la lotta contro i nazifascisti, dando complessivamente un giudizio positivo sui Comitati di liberazione nazionale, considerati potenziali organi di un governo alternativo al regno del Sud, ma senza mancare di evidenziare impietosamente errori, equivoci e carenze del movimento partigiano e delle sue forme politiche. Farà così emergere in maniera netta un dilemma che lo aveva a lungo tormentato: ossia il confronto fra la ineluttabilità, talvolta necessità, della violenza e la sua tragicità.
Il suo passato di partigiano e la sua opera di storico furono sempre fortemente intrecciati, tanto che negli anni Settanta fu tra i promotori del Comitato antifascista di Torino e in tutti i suoi numerosi articoli e saggi esortò i partigiani a non lasciarsi prendere dallo sconforto «di fronte alla triste realtà odierna», ma piuttosto a continuare a ‘lottare’ per opporsi alla deriva politica. Frutto di questa sua passione umana, civile e anche professionale fu il volume Resistenza e storia d’Italia del 1976 in cui confluirono molti dei temi, degli spunti e dei «problemi e ipotesi di ricerca» (come suona il sottotitolo) che avevano alimentato le sue riflessioni negli anni precedenti.
L’ultima sua importanate opera fu la biografia del grande uomo politico biellese, intitolata L’utopia di Quintino Sella, basata su ricerche portate avanti con l’aiuto della moglie Marisa. Tale lavoro consentì allo storico la possibilità di esplorare più piani: quello della soggettività, quello della storia locale, quello della dimensione politica nazionale, quello del rapporto tra pubblico e privato e, infine, quello dell’incontro tra la cultura umanistica e la cultura tecnica. Quazza, che credeva fortemente nel ruolo dello storico come educatore della coscienza collettiva, era affascinato dalla figura di Sella che aveva basato la sua attività sull’idea della politica come servizio alla comunità e come progetto per il futuro, portato avanti da un’élite di colti. Ad accomunarli vi era anche una ‘piccola patria’: Mosso Santa Maria, da cui entrambi erano partiti e ove entrambi ritornavano spesso per compiere passeggiate in montagna. Per tutte queste ragioni l’opera può essere considerata il testamento spirituale di Guido Quazza.
La contea di Masserano e Filiberto Ferrero-Fieschi: contributo alla storia biellese, Biella 1908.
Un feudo pontificio in Piemonte, Pavia 1910.
La lotta diplomatica tra Genova e la Spagna dopo la fuga dell’Alberoni dalla Liguria, Firenze 1920.
La guerra per la successione di Mantova e del Monferrato, 1628-1631, 2 voll., Mantova 1926.
Mantova attraverso i secoli, Mantova 1933.
La formazione progressiva dello Stato sabaudo. Dalla contea dei Savoia al regno d’Italia, Torino 1936.
La diplomazia gonzaghesca, Milano 1941.
Corso di storia del Risorgimento, Torino 1947.
F. Venturi, Romolo Quazza (1884-1961), Torino [1961?].
Origini e aspetti della crisi contemporanea, Torino 1945.
La lotta sociale nel Risorgimento. Classi e governi dalla Restaurazione all’Unità (1815-1861), Torino 1951.
Le riforme in Piemonte nella prima metà del Settecento, Modena 1957.
L’industria laniera e cotoniera in Piemonte dal 1831 al 1861, Torino 1961.
Il problema italiano e l’equilibrio europeo, 1720-1738, Torino 1965.
La Resistenza italiana: appunti e documenti, Torino 1966.
Piani di studio. Un’esperienza al Magistero di Torino, Firenze 1970.
Resistenza e storia d’Italia. Problemi e ipotesi di ricerca, Milano 1976.
L’utopia di Quintino Sella. La politica della scienza, Torino 1992.
A. Ballone, P. Ciro, Guido Quazza. Biografia di un impegno, Torino 1995.
Guido Quazza: l’archivio e la biblioteca come autobiografia, a cura di L. Boccalatte, Milano 2008.