ROMEI, Romeo
– Nacque a Castelnovo ne’ Monti (Reggio Emilia) il 26 settembre 1854 da Quirino e da Maria Margherita Zanni, in una famiglia di tradizioni risorgimentali.
Laureatosi in medicina, nel 1880 vinse il concorso pubblico per la condotta medica di Portiolo, piccolo paese nel comune di San Benedetto Po (Mantova). Sino alla morte Portiolo fu, oltre che il luogo della sua attività professionale, il centro della sua azione sociale e politica. A Venezia, nel 1879, aveva sposato la veneziana Carolina Facco, che morì ventinovenne nel 1883.
Chiamato nel 1886 a testimoniare al processo di Venezia a carico degli organizzatori del movimento di rivolta contadina de ‘la boje!’, descrisse nella deposizione le miserevoli condizioni di vita dei braccianti delle campagne mantovane. Era stato lo spettacolo di tali «condizioni infelici», insieme a un incontro con Francesco Siliprandi, a indurlo a promuovere a Portiolo una società di mutuo soccorso. Al processo Romei si disse contrario in linea di principio allo sciopero, ma d’altra parte consapevole dell’insufficienza del mutualismo filantropico.
Negli anni successivi a ‘la boje!’, caratterizzati dalla crisi dell’azione rivendicativa, si impegnò a promuovere la nascita di cooperative in tutto il Mantovano e a federarle tra loro. Nel 1887 diede vita alla Società dei contadini di San Benedetto Po, che arrivò ad associare un migliaio di lavoratori. Tra la fine del 1887 e l’inizio del 1888 fondò, insieme a Carlo Cotti, la Fratellanza delle Associazioni mantovane. Federazione di lavoro e di credito, un organismo che avrebbe potuto – essi spiegavano – eliminare la concorrenza tra le cooperative e rendere loro più agevole l’accesso al credito e l’assunzione in appalto di grandi opere. Il ricordo della sconfitta subita dai lavoratori nel 1885 consigliò a Romei e a Cotti di escludere «qualsiasi idea di odio o di guerra fra le classi» e a sottolineare il carattere patriottico dell’iniziativa (La Provincia di Mantova, 15 dicembre 1887 e 28 gennaio 1888).
Da queste esperienze rampollò nell’autunno del 1890 il più ambizioso programma di una federazione di tutte le società del Mantovano. All’adunanza indetta per la sua costituzione intervennero 24 società che rappresentavano circa 12.000 lavoratori. Romei ne pubblicò lo statuto sulla Provincia di Mantova del 27-28 marzo 1892, illustrando in un’ampia introduzione il programma della mastodontica federazione.
Emergono dallo scritto i lineamenti più generali del suo pensiero. L’idea di fondo era quella di un organismo che raccogliesse società di mutuo soccorso tradizionali, cooperative di consumo, cooperative di produzione e circoli politici. Nello sviluppo delle cooperative di produzione, che candidava a soppiantare i privati nelle medie e grandi affittanze e nelle vaste imprese agricole, Romei vedeva il rimedio alla disoccupazione e all’emigrazione e, insomma, la soluzione della questione agraria, chiave del progresso della nazione.
In questa prospettiva di una graduale espansione dell’organizzazione economica dei lavoratori nel seno stesso della società capitalistica, alle lotte di resistenza – ovvero agli scioperi e alle agitazioni a sostegno delle rivendicazioni operaie – era attribuita una funzione marginale e residuale.
Si apriva, annunciava Romei, «l’era nuova della cooperazione agraria» in cui «non più servi e padroni si trovino l’un l’altro di fronte, ma bensì soci ed eguali, cospiranti al comune benessere», in cui le macchine, il capitale e la scienza non siano più avversi al lavoratore ma a lui alleati. Sarebbe stato così risolto il gran problema – che tanto stava a cuore alla democrazia risorgimentale – dell’estraneità al nuovo Stato delle classi popolari, e segnatamente dei contadini.
La partecipazione dei lavoratori alla vita politica e amministrativa costituiva un momento fondamentale di questo processo, come sosteneva nel paragrafo conclusivo dello scritto, in aperta polemica con la prospettiva rivoluzionaria indicata dagli anarchici e sulla base di una professione di fede evoluzionista. Suggeriva – ed era la proposta più significativa – che la Federazione non delegasse ad altri la guida politica dei lavoratori, ma l’assumesse come propria precipua funzione. Il partito nuovo democratico sarebbe dovuto «diventare sociale»: Romei, che negli anni precedenti aveva militato nelle file della Democrazia sociale mantovana, dava conto con tale conclusione delle ragioni del suo definitivo approdo al socialismo.
La discesa nel campo politico della Federazione, teorizzata nello scritto del 1892, si concretizzò l’anno successivo, allorché il grande organismo, che associava allora 50.000 lavoratori, aderì in blocco al Partito dei lavoratori italiani. Romei fu chiamato a far parte del Comitato esecutivo provinciale. Quando nel 1894 la repressione crispina portò allo scioglimento di tutti i circoli socialisti e della stessa Federazione, fu condannato al confino, ma venne assolto in appello nel giugno del 1895. Successivamente, a partire dal 1896, insieme a Carlo Vezzani e a Ivanoe Bonomi, si adoperò per la ricostruzione del partito nella provincia.
Nel 1899 in un articolo dal titolo Dalla testa o dallo stomaco, pubblicato dal settimanale socialista mantovano La Nuova Terra (numeri del 14 e del 21 maggio), Giovanni Zibordi attaccò il modello d’azione socialista incentrato sull’associazione in cooperative, che avvezzava i contadini «a una nuova forma di taccagneria bottegaia». Il primato spettava dunque all’opera di formazione della coscienza socialista. In risposta alle critiche di Zibordi, Romei diede alle stampe l’anno seguente il volume L’organizzazione proletaria campagnuola (San Benedetto Po 1900).
Ai circoli promossi dai giovani intellettuali socialisti riconosceva il merito di aver suscitato la passione politica negli abitanti delle campagne strappandoli alla loro secolare apatia. Senonché tale risveglio era destinato a rivelarsi effimero, secondo Romei, sia perché conseguito per via di indottrinamento anziché attraverso un tirocinio di apprendimento, sia perché l’azione pedagogica sarebbe riuscita a ben poco se le plebi campagnole avessero continuato a vivere in un ambiente dominato dall’egoismo e dalla violenza; attraverso l’azione mutuo-cooperativa il proletariato avrebbe modificato tale ambiente e radicato nell’azione economica l’istanza politica.
Questa concezione della politicizzazione delle campagne riposava su una fiducia nelle capacità autonome di riscatto dei contadini che era invece estranea a Zibordi. A determinare l’indirizzo di Romei era soprattutto l’idea che il socialismo dovesse essere dai socialisti non soltanto annunciato o preparato, bensì costruito dal basso giorno per giorno. Coniugando la forma della cooperativa con quella del mutuo soccorso, onde neutralizzare la tendenza individualistica insita nel cooperativismo, i sodalizi campagnoli tra loro federati avrebbero potuto, sull’esempio del Vooruit del Belgio, dar vita a un grande organismo economico che, pur operante nel contesto della società capitalistica, sarebbe stato improntato da finalità a essa antitetiche. La meta finale restava «la terra in mano ai lavoratori associati» (p. 105), alla quale sarebbe stato dunque possibile pervenire senza ricorrere ad alcuna forma di violenza rivoluzionaria. Riprendendo anche nella conclusione le linee dello scritto del 1892, Romei sosteneva che si sarebbe compiuta per questa via l’emancipazione delle plebi campagnole, in cui era da riconoscere «il lascito testamentale dei nostri martiri e di quanti si sacrificarono per la patria» (p. 102) e la condizione perché questa cessasse di apparire ai contadini italiani non madre ma matrigna.
Gli indirizzi esposti nel volume del 1900 informarono la sua azione di organizzazione dei terrazzieri allorché, all’inizio del secolo, si svilupparono i lavori di bonifica dell’agro mantovano-reggiano. Fu infatti tra i promotori, tra il 1903 e il 1905, dell’Associazione interprovinciale dei terrazzieri. Eletto consigliere provinciale nel 1902, quando il governo della provincia passò nelle mani di un’alleanza tra radicali e socialisti, e poi rieletto nel 1904, allorché si insediò a Mantova la prima amministrazione provinciale socialista d’Italia, fu nominato rappresentante di questa nel comitato esecutivo del Consorzio di bonifica e anche in tale veste si impegnò a tutelare gli interessi dei lavoratori. Continuò a far parte del Consiglio provinciale sino al 1912, facendo sentire la sua voce contro le oppressive interferenze prefettizie e occupandosi in particolare, date le sue competenze professionali, di assistenza manicomiale.
Nel corso del 1911 prese forma la secessione dal Partito socialista mantovano di un gruppo di riformisti capeggiati da Bonomi. Aderì anche Romei, che condivideva le accuse di autoritarismo rivolte dai dissidenti a Enrico Ferri e alla maggioranza di indirizzo rivoluzionario. Sul giornale dei dissidenti, La Terra, non esitò d’altra parte a schierarsi contro l’intervento in Libia, come aveva già fatto nella seduta del Consiglio provinciale del 29 maggio 1911, ciò che significava prendere le distanze da Ferri ma al contempo anche da Bonomi.
Le guerre coloniali son fatte, così scriveva, «per offrire nuovi campi alle insaziabili brame di speculazione capitalistica» e la sfacciata allegazione dei «diritti incoercibili della civiltà» a giustificare l’intervento altro non provava se non che nelle file stesse del socialismo andavano perdendo vigore i principi dell’uguaglianza e della fratellanza (La Terra, 19 e 26 novembre 1911).
Tuttavia nel maggio del 1915, nell’ora dell’intervento italiano, l’amor di patria che sempre aveva nutrito la sua azione, ma in equilibrio con altre convinzioni e passioni, sembrò infine prendere il sopravvento: sulle colonne della Provincia di Mantova del 28 maggio, non esitò infatti a manifestare la sua ammirazione per Bonomi, che aveva scelto di arruolarsi, e confessò il suo rammarico per non poter fare altrettanto, «integrando la Patria col Socialismo».
Morì di lì a poco, il 28 gennaio 1916, nella sua Portiolo.
Fonti e Bibl.: L’opera principale di Romei, già citata nel testo, è L’organizzazione proletaria campagnuola. I nuovi orizzonti delle Società di M.S. campagnuole. Contributo al Vooruit delle campagne, San Benedetto Po 1900. Il testo della sua deposizione al processo di Venezia del 1866 è in Processo dei contadini mantovani alla Corte d’Assise di Venezia, Venezia 1886, pp. 128-132. Molto numerosi gli articoli e gli interventi di Romei pubblicati sui giornali mantovani della democrazia e del socialismo: si veda L. Gualtieri, Scritti ed interventi pubblicistici di R.R.: un catalogo, in L’Almanacco. Rassegna di studi storici e di ricerche sulla società contemporanea, XXVII (2008), 52, monografico: R.R. e il socialismo rurale, a cura di M. Fincardi - L. Gualtieri (nel quale sono raccolti altri contributi utili per la ricostruzione della biografia e dell’opera di Romei), pp. 157-183.
Di Romei ha scritto R. Salvadori, La repubblica socialista mantovana da Belfiore al fascismo, Milano 1966, ad ind.; Id., L’esperienza delle case del popolo nell’area rurale padana tra Ottocento e Novecento, in Le case del popolo in Europa (dalle origini alla seconda guerra mondiale), a cura di M. Degl’Innocenti, Firenze 1984, pp. 87-108. Un profilo biografico in L. Gualtieri, Il socialismo tra mito e storia. Alle origini della «Repubblica Socialista Mantovana», Milano 2009, pp. 412-418.