romanzi cortesi
. Nel De vulg. Eloq. (I IX 2 ss.) D., mentre dichiara che esita ad assegnare il primato a uno dei tre volgari in cui si è risolto il vulgare tripharium usato dai popoli stanziati nell'Europa sud-occidentale (distinto dalla lingua di jo usata nell'Europa settentrionale e dal greco usato nell'Europa orientale), riconosce che il volgare del sì, il vulgare latinorum, cioè degl'Italiani, può affermare la sua superiorità sugli altri due specialmente perché, più che i volgari d'oc e d'oil, si appoggia sulla gramatica, cioè sul latino (che nella nozione dantesca è quaedam inalterabilis locutionis idemptitas [IX 11], una lingua fissa e regolata che sta ferma e inalterabile nelle continue e tumultuose variazioni che subiscono le lingue parlate e che i dotti hanno costruito per rendere possibile la comprensione tra uomini di tempi e luoghi diversi); che il volgare d'oc può affermare il suo primato perché (X 3) vulgares eloquentes in ea primitus poetati sunt (perché, dunque, i primi poeti d'arte volgare, i primi poeti ‛ illustri ' volgari, i trovatori, hanno assunto il provenzale come strumento dell'espressione letteraria); ma che, a sua volta, il volgare d'oil può affermare la sua eccellenza, perché propter sui faciliorem ac delectabiliorem vulgaritatem quicquid redactum sive inventum est ad vulgare prosaycum, suum est: videlicet Biblia cum Troianorum Romanorumque gestibus compilata et Arturi regis ambages pulcerrimae et quamplures aliae ystoriae ac doctrinae (X 2).
Nella nozione dantesca, dunque, l'eccellenza della lingua d'oil si può riconoscere per il fatto che essa è la lingua della prosa d'arte, dottrinale o didascalica (doctrinae) e narrativa (ystoriae). Suum, della lingua d'oil, è quidquid redactum est ad vulgare prosaycum; e della grande letteratura prosastica francese D. cita una compilazione storica (che s'identifica generalmente con Li fait des Romains) in cui la storia biblica è accordata con le storie di Troia e di Roma, di Enea e di Cesare, e il complesso dei r. arturiani (Arturi regis ambages pulcerrimae).
Questo accostamento di un'opera storica ai r. risponde al concetto che di historia ha il Medioevo, e deriva dalla tradizione retorica classica, che si continua nella scuola medievale, per il tramite, ad esempio, d'Isidoro di Siviglia, il quale come forme particolari di un unico ‛ genere ' - il genere narrativo, appunto - pone la historia, l'argumentum, la fabula; forme che si distinguono, tra loro, abbastanza chiaramente, ma sono strettamente imparentate, presentano molte evidenti analogie, usano la stessa tecnica (ed è questo che conta, da un punto di vista retorico): " Historiae sunt res verae quae factae sunt; argumenta sunt quae etsi facta non sunt, fieri tamen possunt; fabulae vero sunt quae nec factae sunt nec fieri possunt, quia contra naturam sunt " (I XLIV 5). D'altra parte, è noto che la ‛ poesia ' e la ‛ storia ' - o meglio i libri dei poeti e degli storici - hanno parte importante nell'insegnamento grammaticale, e cioè letterario (" grammatica, e cioè letteratura ", insegna s. Agostino: arte dello scrivere). " Scientia interpretandi poetas et historicos " è definita la grammatica da Rabano Mauro; e come " parte " della grammatica Alcuino pone la poesia e la storia; mentre Onorio di Autun, raffigurando lo studio delle arti liberali e delle discipline che stanno oltre il Trivio e Quadrivio come la via che conduce dalla Babilonia dell'ignoranza alla Gerusalemme della sapienza, immagina che la via si snodi attraverso dieci città, la prima delle quali è la Grammatica, dalla quale, come i borghi della città, dipendono i libri dei poeti; mentre " historiae et fabulae libri oratoriae et ethicae conscripti subiacent ", come sobborghi, alla seconda città, la Retorica. E in realtà, l'insegnamento della grammatica e della retorica - e cioè l'insegnamento letterario, inteso nella sua complessità - si svolgeva attraverso la lettura degli ‛ auctores ', poeti e storici, come si riconosce dai cataloghi delle biblioteche scolastiche medievali, nei quali costantemente dopo i manuali di grammatica e di retorica sono registrate le opere dei poeti e degli storici, pagani e cristiani. Ora la nozione che il Medioevo ha di historia, come genere narrativo che comprende historiae propriamente dette e fabulae, è perfettamente indicata da quei codici antologici che sono i testi usati nelle scuole per le letture che servono all'insegnamento retorico, per esempio dal codice Vat. lat. 1984; in cui, insieme con l'opera di Eutropio, con l'Historia francorum di Gregorio di Tours, l'Historia Langobardorum di Paolo Diacono ed excerpta dal Liber Pontificalis, sono accolti l'Excidium Troiae (cioè i romanzi sulla fine di Troia composti in età ellenistica e già nel V secolo tradotti in latino) e l'Historia Apollonii regis Thyri (che è pure un romanzo dell'età ellenistica, tradotto già nel IV secolo in latino, e rifatto nella leggenda agiografica di s. Eustachio). Questa concezione della ‛ storia ' spiega l'accostamento, anzi il collocamento sullo stesso piano dei r. arturiani e della Bibia historialis compilata con le storie dei Troiani e dei Romani (e del resto, in questa stessa compilazione delle storie del popolo ebraico, di Roma e di Troia entrano indiscriminatamente dati storici e motivi romanzeschi e fantastici, derivati da fonti storiche e da fonti poetiche indifferentemente, dalla Bibbia e da Sallustio, da Eutropio e da Virgilio o da Lucano, senza distinzione). Tutto questo spiega come personaggi e fatti della storia e personaggi e fatti dell'epopea e del r. siano assunti e rappresentati come testimoni o segni di tutta la grande vicenda umana: nella nozione di D. e di tutto il Medioevo storia e r. sono un'unica realtà; e libri di storia e r. legge e rivive D. come testimonianza di un'unica realtà, come fonti ugualmente autorevoli per conoscenza di quella realtà.
Ora, il passo del De vulg. Eloq. che abbiamo citato - che pone, dunque, la lingua d'oil come lingua della prosa e indica le compilazioni storiche e i r. arturiani come i prodotti più importanti della grande letteratura prosastica francese - mostra che D. conosce solo i r. francesi in prosa e ignora del tutto quella che è la forma prima e originale del r. cortese, il r. in distici ottonari a rima baciata; e a poco più di un secolo dalla sua morte ignora. D. anche il nome del maggior autore di r. in versi, che è il più grande poeta del Medioevo occidentale prima di lui, Chrétien de Troyes, creatore di personaggi grandissimi - Lancelot, Gauvain, Perceval, Yvain - in cui s'incarna l'ideale cavalleresco e che hanno posto essenziale nel patrimonio culturale di tutti i popoli dell'Europa romana e germanica. Occorre anzi dire che per D. forma unica e quasi necessaria del r. è la prosa: con la formula Versi d'amore e prose di romanzi (Pg XXVI 118) D. indica il complesso della letteratura illustre volgare, intendendo, ovviamente, per versi d'amore la lirica dei trovatori provenzali e per prose di romanzi la narrativa romanzesca francese, a lui nota dunque solo nella forma prosastica. Del glorioso r. in versi, ai tempi di D., si è perduto anche il ricordo in conseguenza del fatto che nei primi decenni del sec. XIII, per riflesso, delle mutate condizioni culturali della società aristocratica, non si ascoltano più le narrazioni romanzesche dalle declamazioni dei giullari, si ‛ leggono ': noi leggiavamo un giorno per diletto / di Lancialotto come amor lo strinse (If V 127-128); Quando leggemmo il disïato riso / esser basciato da cotanto amante (vv. 133-134); ed è evidentemente più agevole la lettura di un testo prosastico che non quella di un testo poetico, destinato alla recitazione, alla declamazione, al canto. Così avviene che dei r. in versi non si eseguano più copie, e per questo il primitivo r. di Tristano (quello, forse, di Robert Li Kìèvre) è andato perduto. Del Tristano di Béroul e di quello al Thomas ci sono giunti solo frammenti.
È proprio il Roman de Tristan quello tra i r. in prosa di materia arturiana che ebbe in Italia la maggiore divulgazione: " Non mancava " osserva G. Bertoni " nelle biblioteche dei signori e dei privati dell'alta Italia "; molti dei manoscritti del romanzo a noi pervenuti sono opere di amanuensi italiani; e quattro versioni ne conosciamo nel sec. XIII o al principio del XIV, due toscane (il Tristano riccardiano e la Tavola ritonda) e due venete (il Tristano corsiniano e il Tristano della biblioteca di Vienna); dal Roman de Tristan, oltre che dal Roman de Lancelot du Lac e dal Palamedès, deriva il Meliadus (Meliadus è il padre di Tristano) di Rusticiano da Pisa, che ebbe larga diffusione. Ma non dal Tristano, bensì dal Lancelot-Graal deriva D. la sua conoscenza delle Arturi regis ambages pulcerrimae, specialmente dal Lancelot du Lac e dalla Mort Artu (v. ROMANZI ARTURIANI).
Bisogna ora notare che, dopo le Recherches del Faral sulle fonti latine dei r. cortesi (1913), comunemente si ammette che il r. cortese di natura bretone è cronologicamente preceduto dai r. di argomento classico: che, anzi, i tre grandi romans, di Tbèbes, Eneas, Troie (che sono libere interpretazioni dei poemi di Stazio e Virgilio e dei r. ellenistici dello pseudo Ditti e dello pseudo Darete, integrati coi motivi derivati da Ovidio e specialmente dalle Heroides) sono la forma in cui Thomas e Béroul, Chretien e i suoi compagni d'arte e continuatori, e Gautier d'Arras colano la materia di Bretagna. I r. cortesi in versi di argomento classico sono rifatti in prosa, come quelli di materia arturiana; e hanno larga divulgazione in Italia. Alla fine del XIII secolo il Roman de Troie di Benoit de Sainte-More (o la riduzione in prosa del romanzo) è tradotto in latino forse da Guido delle Colonne (Historia destructionis Troiae); e da quest'opera o direttamente dal r. francese derivano molti rifacimenti italiani, più notevole dei quali è la Istorietta Troiana (non posteriore alla fine del '200); e larga diffusione in Italia ebbero anche le storie tebane nel sec. XIV, come attesta il Cantare dei cantori (della fine del secolo) che, rappresentando il repertorio di un giullare, indica ben trentasette cantari - tutti perduti - di materia tebana. Fonte di questo cantare è, ritiene il Bertoni, " direttamente o indirettamente il Roman d'Edipus, un testo francese che entrò a far parte, costituendone la terza sezione, di una grande compilazione storica... chiamata dagli eruditi Historie ancienne jusq'à César, sovente copiata in Italia da amanuensi italiani. Questo Roman (del quale si hanno volgarizzamenti, fra cui uno veneziano) fu, per così dire, la gran fonte delle leggende di Tebe fra noi ".
Allusioni agli eroi e ai fatti dell'epos classico non mancano nella Commedia; per limitare la nostra considerazione ai personaggi dei r. francesi di argomento classico ora citati, troviamo nel poema, oltre Didone ed Enea, Achille (If V 65, XII 71, XXVI 62, XXXI 5, Pg XIX 34, XXI 93) e Deidamia (If XXVI 62, Pg XXII 114), Elettra (If IV 121, Mn II III 11), Ettore (If IV 122, Pd XXII 56), Paride (If V 67) ed Elena (V 64), Eteocle, Polinice e Giocasta (XXVI 54, Pg XXII 56). Ora, ovviamente, le citazioni o allusioni riferite il poeta ha derivato dall'Eneide, dalla Tebaide, dall'Achilleide, dall'Ilias latina, dallo pseudo Ditti e dallo pseudo Darete. Ma non è da escludere, per quel che riguarda persone e fatti della leggenda troiana, che qualche suggestione sia venuta a D. dal Roman de Troie sia dalla versione in prosa francese, sia dalla versione latina di Guido delle Colonne o dai rifacimenti italiani. Indicativo, in questo senso, l'accostamento, in If V 67, di Paride a Tristano, l'eroe più famoso della materia di Bretagna; e indicativa anche, in Pd XV 126, l'allusione alle ‛ favole ' (nel senso che abbiamo precisato di " storie ") dei Troiani, di Fiesole e di Roma narrate dalle vecchie donne di Firenze; e sono le ‛ favole ' che si leggono nelle più antiche cronache fiorentine e anche nel Villani.
Bibl. - G. Bertoni, Il Duecento, Milano 1964³, 391-395, 404-405; E. Faral, Recherches sur les sources latines des contes et romans courtois, Parigi 1913; A. Viscardi, La quête du Saint-Graal dans les romans du Moyen Age italien, in Lumière du Graal, ibid. 1951; ID., Storia delle letterature d'oc e d'oil, Milano 1967, 156 ss., 163-173, 180 ss., 228-233, 348-355.