romano
Il termine compare solo nel Convivio e nella Commedia, sempre con valore di grande dignità e nobiltà, secondo l'alto concetto che D. aveva di Roma, della sua storia e dei suoi cittadini.
Come aggettivo, si riferisce quasi esclusivamente a Roma antica, come appare dagli esempi di Cv IV IV 11 (romana gente, " popolo di Roma "; cfr. V 13 romani cittadini, e V 8 roman popolo), V 6 cittade romana. L'aggettivo acquista un tono nobile e solenne riferito a sostantivi come imperio (Cv IV IV 12, V 6 e 17), potenzia (IV 8), libertà (V 19), principe (IV 8) e principato (Pg X 74).
In Cv I XI 14 lo latino romano è la " lingua viva e mutevole parlata dai romani, in contrapposto alla gramatica - ossia alla regolata e stabile lingua letteraria - greca, così come nell'età di Dante si contrapponeva ai volgari... la lingua letteraria latina, detta per antonomasia... grammatica " (Busnelli-Vandelli). Cfr. VE I I 3 e IX 11.
Analogamente le scritture de le romane istorie sono le opere di storiografia antica, prima fra tutte l'opera di Tito Livio, dedicate alla storia di Roma (Cv IV V 11). L'aggettivo non si riferisce più alla Roma antica, ma a quella cristiana, in Cv IV XXIX 2 e Pg XIX 107; r. pastore è il papa, " vescovo di Roma " (successor Petri al v. 99); precisa il Mattalia: " romano, nel linguaggio dantesco, e normalmente nel Monarchia, è l'aggettivo riservato alle due autorità universali ‛ romanus Princeps ', ‛ romanus Pontifex ' " (cfr. Mn III I 5); il sommo ufficio è qui " considerato come grado di terrena potenza oltre il quale non è più possibile salire nel mondo " (Grabher).
Come sostantivo, in genere trascritto con la maiuscola, R. vale " abitante, cittadino di Roma "; indipendentemente dall'epoca, in If XVIII 28 (i Roman per l'essercito molto / ... su per lo ponte / hanno a passar la gente modo colto). In Cv IV III 6, Federico Il è detto ultimo imperadore de li Romani, ossia " ultimo legittimo imperatore, perché incoronato in Roma "; tale appellativo è negato a Rodolfo e ad Alberto, il quale ultimo è detto tedesco (Pg VI 97), con " significato fortemente limitativo " rispetto a r., " il solo che comporti predicato di legittimità e di universalità " (Mattalia). In numerosi casi i R. sono, per antonomasia, l'antico popolo che ebbe da Dio la missione di unificare il mondo per permettere l'incarnazione di Dio in tempo di pace universale. Essi sono il più nobile dei popoli, il popolo santo (Cv IV IV 10), al quale Dio, secondo le parole di Virgilio, né termine di cose né di tempo ha posto: a loro ho dato imperio sanza fine (§ 11: cfr. Aen. I 279 " imperium sine fine dedi ", e Agostino Civ. II 29). Altre due occorrenze in V 18 a la battaglia dove li Albani con li Romani... combattero, quando uno solo Romano ne le mani ebbe la franchigia di Roma.
In If XXVI 60 de' Romani il gentil seme che uscì da Troia dopo l'agguato del caval è, secondo alcuni, Enea, secondo altri, più genericamente, " Enea e Ascanio e i suoi " (Ottimo) dai quali ebbe origine, secondo la leggenda, " Romanorum gentile semen, idest nobile " (Serravalle; si aggiunga qui la sementa santa dei R., in If XV 77). Il segno dell'Impero, l'aquila, fu portato da li egregi / Romani contro tutti i popoli del mondo (Pd VI 44, e cfr. Mn II IX), e fé i Romani al mondo reverendi (Pd XIX 102: " si può dubitare se alluda all'aquila come insegna delle legioni romane... o se segno non significhi, come tante altre volte, immagine, e qui immagine della giustizia, pregio singolare del popolo romano ", Porena). È stata variamente discussa (cfr. Petrocchi, ad l.) la variante Romani in luogo di Troiani, in If XXVIII 10.
Altre occorrenze: Cv III XI 3, IV V 14 e 19, VI 12. Il popolo r. fu dotato di ogni virtù e D. non cessa di portarne gli esempi: uno dei più interessanti è in Pg XXII 145 le Romane antiche, per lor bere / contente furon d'acqua (cfr. Val. Mass. II 1 " vini usus Romanis feminis olim ignotus fuit "). In Cv IV XXVIII 10 (dice santo Paulo a li Romani), i R. cui si rivolge Paolo nella sua lettera apostolica sono i primi cristiani della città di Roma, la comunità di fedeli sorta poco dopo la morte di Cristo.
L'alto significato attribuito da D. alla romanità risulta infine evidente nel passo di Pg XXXII 102 sarai meco sanza fine cive / di quella Roma onde Cristo è romano.
L'espressione significa: sarai per sempre " cittadino di quella vera città... la celeste Ierusalemme, cioè vita eterna (Buti); " Et nota quod potius facit mentionem de Roma quam de Ierusalem hic quia Roma in tempore gratiae fuit patria istius currus, sedes pontificum, terra... madida sanguine martyrum ... patria libertatis, unde omnis liber homo appellatur ‛ civis romanus ' in Iure civili " (Benvenuto). " La liturgia della Chiesa ravvisa nella visione beatifica il mondo spirituale di Gerusalemme... ma Dante nel suo amore alla classicità e per l'idea che ebbe di Roma, osò modificare l'iconografia tradizionale... Non gli parve... di compiere azione arbitraria sostituendo alla città di Gerusalemme la città di Roma, divenuta metafora e similitudine del cielo, affermando che Cristo è il primo cittadino " (Fallani).