ROMANO
– Le notizie relative alla biografia di Romano, patricius et exarchus Italiae (Gregorii I papae Registrum epistolarum, a cura di P. Edwal - L.M. Hartmann, I, 1891, l. I, ep. 32, l. III, ep. 31; Le Liber Pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, 1981, 66; Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, a cura di L. Capo, 1992, l. IV, cap. 8), si limitano sostanzialmente al suo ufficio esarcale, rivestito tra il 589-590 e il 595-597.
È possibile che Romano sia da identificare con un personaggio omonimo di origine gotica, figlio di un patrizio di nome Anagastes, attivo in Oriente nel VI secolo. Nelle fonti greche tale Romano è attestato come magister militum al servizio dell’imperatore Maurizio tra il 575-576 e il 589. Riuscì a sottomettere la popolazione caucasica dei Suani tra il 575 e il 576 (Iohannis [...] Biclarensis Chronica, a cura di T. Mommsen, 1894, a. 576.2), combatté nella guerra contro la Persia tra il 578 e il 579 (Theophylacti Simocattae historiae, a cura di C. De Boor, 1972, III, capp. 16.2 e 17.3-4) e quando, nel 589, assunse il comando generale probabilmente come magister militum per Lazicam contro i Persiani che avevano attaccato la Suania, ottenne la vittoria (Theophylacti Simocattae historiae, cit., capp. 6.17 e 7.8-9; Theophanis Chronographia, a cura di C. De Boor, I, 1980, A.M. 6080, p. 262; Nicephori Callisti Ecclesiasticae Historiae, a cura di J.P. Migne, 1865, l. XVIII, cap. 19).
Appare verosimile l’ipotesi che, dopo una lunga e brillante carriera militare, sia stato mandato in Italia con il titolo di patricius et exarchus tra la fine del 589 e il 590.
Nominato esarca, giunse appunto tra il 589 e il 590 a Ravenna, dove riprese senza indugio l’offensiva contro i Longobardi pianificando un attacco congiunto con i Franchi, già predisposto dall’imperatore Maurizio. L’esito di tale strategia, però, risultò presto fallimentare, nonostante i successi militari delle truppe imperiali con la conquista di Modena, Altino e Mantova.
Diversamente da quanto riportato nelle fonti occidentali (Gregorio di Tours, La storia dei Franchi, a cura di M. Oldoni, 2001, pp. 358-361; Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, cit., l. III, cap. 31, pp. 165-169), Romano, rammaricandosi della mancata vittoria sui Longobardi nelle due epistole inviate nel 590 al re merovingio Childeberto II (Epistolae Austrasicae, a cura di W. Grundlach, 1892, epp. 40 e 41), imputò l’insuccesso ad alcuni contingenti franchi che nel momento decisivo stipularono autonomamente una tregua con il re longobardo Autari.
Romano perseverò tuttavia nella campagna contro i duchi dell’Italia settentrionale, ottenendo la resa di Parma, Reggio e Piacenza e poi sottomettendo in Friuli il duca Gisulfo.
L’invito (rimasto senza esito) da parte dell’esarca a pianificare un nuovo intervento militare in Italia chiude l’ultima epistola indirizzata a Childeberto (Epistolae Austrasicae, cit., ep. 41).
Al febbraio del 591 si data la prima lettera indirizzata a Romano da parte di Gregorio Magno (590-604): l’esarca viene sollecitato dal papa a rilasciare il vescovo Blando di Ortona, trattenuto a Ravenna per motivi non precisati (Gregorii I papae Registrum epistolarum, cit., l. I, ep. 32). È uno dei primi segnali dei difficili rapporti tra il pontefice e l’esarca, che si inasprirono ulteriormente per questioni religiose oltre che militari.
In materia religiosa Romano, infatti, si mostrò sin da principio molto tollerante in merito alla questione dello scisma istriano, certamente in accordo con le istruzioni ricevute da Costantinopoli, come testimonia una lettera indirizzata all’imperatore Maurizio nel 591 da parte di dieci vescovi del Veneto e dell’Istria (l. I, ep. 16a), ove Romano è lodato per aver riportato l’Italia «in meliori statu», alludendo sia alla guerra mossa ai Longobardi sia all’atteggiamento verso i vescovi aderenti allo scisma tricapitolino (cioè gli stessi latori della lettera, vessati dal precedente esarca, Smaragdo). Il papa però non accettò questa nuova linea moderata, anche perché Gregorio era risentito per l’assenteismo di Romano in Italia centro-meridionale sul piano militare.
In effetti, nonostante le richieste di intervento di Gregorio di fronte alla grave minaccia longobarda (culminata nell’assedio di Roma da parte di Ariulfo duca di Spoleto, estate 592), Romano continuò a temporeggiare lasciando alla difesa della città solo il numerus dei Theodosiaci. Il papa deplorò il divieto impostogli dall’esarca di negoziare la pace con il nemico, e lo infranse (l. II, ep. 45); Romano, infatti, intervenne militarmente solo alla fine del 592, probabilmente quando fu informato che il papa stava concludendo per proprio conto trattative di pace con Ariulfo. La prima tappa della campagna dell’esarca fu Roma, dove si fermò brevemente per prelevare alcuni contingenti militari. Partì, poi, con la controffensiva verso nord, riconquistando le città di Sutri, Bomarzo, Orte, Todi, Amelia, Perugia, Luceoli e altri centri minori sulla via Amerina, variante della Flaminia (Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, cit., l. IV, cap. 8). Dopo aver, quindi, liberato il collegamento viario tra l’Adriatico e il Tirreno, preservando le comunicazioni tra Ravenna e Roma, poté fare ritorno nella città esarcale.
L’anno successivo dovette intervenire nuovamente, dopo la reazione longobarda con l’assedio di Roma da parte di Agilulfo, e le successive trattative tra il re longobardo e Gregorio Magno, dichiaratosi disposto a qualsiasi sforzo pur di giungere a una pace definitiva (Gregorii I papae Registrum epistolarum, cit., l. IV, ep. 2). L’esarca concluse un armistizio con Agilulfo, ma le trattative si trascinarono a lungo, in mezzo alle recriminazioni del re per le violazioni della tregua da parte delle truppe imperiali (l. V, ep. 34); pertanto Romano venne sollecitato ancora una volta da Gregorio, attraverso l’intercessione dello scholasticus Severo, affinché concludesse in maniera risolutiva l’accordo con i Longobardi (l. V, ep. 34).
Anche altre questioni di carattere ecclesiastico contribuirono a esacerbare il rapporto tra il papa e l’esarca. Nell’autunno del 594 Romano fu accusato da Gregorio di aver imposto illegalmente l’elezione di un certo Massimo come arcivescovo di Salona, opponendosi al candidato papale Onorato (l. V, ep. 6), sebbene l’anno precedente l’esarca avesse, invece, assecondato la volontà del papa con l’elezione del diacono Costanzo all’arcivescovado di Milano (l. III, ep. 31). Inoltre, nel corso dello stesso anno, Romano appoggiò la pretesa del vescovo di Ravenna, Giovanni, di indossare il pallium senza l’autorizzazione di Roma, in contrasto con le prescrizioni papali che ne limitavano l’uso ad alcune celebrazioni liturgiche (l. V, ep. 11). In una lettera del dicembre del 594 Gregorio scrisse direttamente all’esarca per dirimere alcune questioni interne alla Chiesa ravennate (l. V, ep. 19).
L’ultima menzione di Romano è attestata nel giugno del 595 in una lettera scritta dal pontefice al vescovo dalmata Sebastiano (l. V, ep. 40). Non si conosce la data esatta della sua morte, avvenuta comunque mentre era ancora in carica in Italia tra la fine del 595 e l’inizio del 597, visto che dal giugno 597 fu rimpiazzato da Callinico (l. VII, ep. 26).
Fonti e Bibl.: Nicephori Callisti Ecclesiasticae Historiae, in PG, a cura di J.P. Migne, CXLVII, Paris 1865, XVIII, cap. 19, coll. 363-366; Gregorii I papae Registrum epistolarum, a cura di P. Edwal - L.M. Hartmann, in MGH, Epistolae, I-II, Berolini 1891-1899, I, l. I, epp. 16a e 32, pp. 17-21 e 44-45, l. II, ep. 45, pp. 143-146, l. III, ep. 31, p. 189, l. IV, ep. 2, pp. 233-235, l. V, epp. 6, 11, 19 e 34, pp. 285-287, 291 s., 301 s. e 314 s.; Epistolae Austrasicae, a cura di W. Grundlach, in MGH, Epistolae, III, Berolini 1892, epp. 40 s., pp. 145-147; Iohannis Abbatis Biclarensis Chronica, a cura di T. Mommsen, in MGH, Auctores antiquissimi, XI, Berolini 1894, a. 576.2, p. 214; Teophylacti Simocattae historiae, a cura di C. De Boor, ed. rived. da P. Wirth, III, Teubner- Stutgardiae 1972, cap. 6.17, p. 122, cap. 7.8-9, pp. 123 s., cap. 16.2, p. 143, cap. 17.3-4, pp. 145 s.; Theophanis Chronographia, a cura di C. De Boor, I, Hildesheim-New York 1980 (rist. ed. 1883), p. 262; Le Liber Pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, Paris 1981 (rist. ed. 1955), 66, pp. 312-314; Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, a cura di L. Capo, Milano 1992, l. III, capp. 26, pp. 156-159, c. 31, pp. 164-169, e l. IV, capp. 8, pp. 186 s., 12, pp. 192 s.; Gregorio di Tours, La storia dei Franchi, a cura di M. Oldoni, II, Libri VI-X, nuova ed. Napoli 2001, pp. 358-361.
L.M. Hartmann, Untersuchungen zur Geschichte der byzantinischen Verwaltung in Italien (540-750), Leipzig 1889, pp. 11, 112 s.; O. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, in Storia di Roma, IX, Bologna 1941, pp. 241-248, 251-255; P. Goubert, Byzance avant l’Islam, II, Byzance et l’Occident sous les successeurs de Justinien, Paris 1956, pp. 187-201; J. Richards Consul of God. The life and times of Gregory the Great, London 1980 (trad. it. Firenze 1984, pp. 271-275); T.S. Brown, Gentlemen and officers, imperial administration and aristocratic power in Byzantine Italy A.D. 554-800, Hertford 1984, pp. 3, 64, 90 s., 152, 178, 207 s., 274; M. Whitby, The emperor Maurice and his historian: Theophylact Simocatta on Persian and Balkan Warfare, Oxford 1988, pp. 7, 12,16, 291; J. Ferluga, L’esarcato, in Storia di Ravenna, dall’età bizantina all’età ottoniana, 2, 1, a cura di A. Carile, Venezia 1991, pp. 351-377 (in partic. p. 360); J.R. Martindale, The prosopography of the later roman empire, III, A.D. 527-641, Cambridge 1992, pp. 1092 s.; A. Guillou - F. Bulgarella, L’Italia bizantina dall’esarcato di Ravenna al tema di Sicilia, Torino 1998, pp. 12-14, 285-287; S. Cosentino, Storia dell’Italia bizantina (VI-XI sec.), da Giustiniano ai Normanni, Bologna 2008, pp. 62, 235 s.; G. Ravegnani, Gli esarchi d’Italia, Roma 2011, pp. 54-63.