ROMANELLI, Romano
ROMANELLI, Romano. – Nacque a Firenze il 14 maggio 1882, da Raffaello e da Sofia Benini. La sua formazione artistica ebbe inizio presso lo studio paterno: due maschere modellate in stucco nel 1894 sono la prima opera tramandata dai biografi, mentre del 1898 è un suo pensoso Autoritratto (Campana, 1991, fig. 1). Terminati gli studi classici a Firenze presso il liceo “Galileo Galilei”, entrò nel 1900 all’Accademia navale di Livorno, per divenire ufficiale di Stato maggiore della Regia marina. Compì come tenente di vascello la circumnavigazione del globo terrestre, dal Mediterraneo all’America all’Asia. Servì per tre anni nell’Estremo Oriente, soggiornando in Cina (dove nel 1904 fu colpito dalla scultura monumentale), Corea, Vietnam, Giappone e India, per poi tornare in Africa (a Tobruk nel 1904).
Durante una licenza a Firenze modellò nel 1905 il busto ritratto del fratello Renzo, poi fuso in bronzo, opera che testimonia un distacco dal fare impressionistico del padre e una precoce influenza del formalismo neo-quattrocentista idealizzante di Adolf von Hildebrand, scultore e teorico tedesco attivo a Firenze. Lasciato lo studio paterno per divenire allievo di Domenico Trentacoste all’Accademia di belle arti di Firenze, s’iscrisse al contempo alla facoltà di matematica dell’università di Pisa. A casa di Trentacoste, figura chiave dell’eclettismo neo-quattrocentista d’inizio secolo, frequentò le riunioni dei nazionalisti fiorentini, nelle quali approfondì il pensiero aggressivo di Enrico Corradini, già suo maestro di liceo. Se ne scorge il riflesso nella sua prima opera importante, modellata fra il 1906 e il 1910, quel gruppo colossale dell’Ercole che strozza il leone che, presentato alla Biennale di Venezia del 1910 e all’Esposizione universale di Roma del 1911, incarna una semplificazione dell’equilibrio nietzschiano fra Apollo e Dioniso portata avanti negli stessi anni da Gabriele d’Annunzio (Campana, 1991, pp. 20 s.; rimodellato nel 1935, il gruppo fu esposto alla Seconda Quadriennale di Roma, poi fuso in bronzo presso la fonderia Bearzi e collocato a Firenze in piazza Ognissanti nel 1937).
Durante un soggiorno a Napoli nel 1909 Romanelli frequentò lo studio di Vincenzo Gemito, per modellare in quello di Giuseppe Renda una Testa di vecchio marinaio poi fusa in bronzo presso la fonderia Laganà e oggi dispersa, improntata al neo-ellenismo gemitiano. Dopo aver partecipato fra il 1911 e il 1912 alla guerra italo-turca (guerra di Libia) al comando di un incrociatore, deluso dalla politica riformista dell’Italia giolittiana lasciò la Marina per dedicarsi interamente alla scultura. Fondamentale fu il soggiorno a Parigi del 1912, quando frequentò gli artisti gravitanti intorno allo studio di Rodin, venendo influenzato in particolare da Émile-Antoine Bourdelle. Lo attesta la chiave eroicizzante di opere quali Il portatore d’acqua (1912), Studio per una Salomé (1912), Ragazza dolente (1912), Maschera ridente (1912, bronzo), Il bacio (1913), la Medaglia dei volontari di guerra eseguita nel 1922 su richiesta di D’Annunzio e, soprattutto, lo Scultore (1926-30). A Parigi (e poi nel 1913 a Viareggio) Isadora Duncan posò per il suo gruppo del Risveglio di Brunilde, fuso in bronzo nel 1913 (e disperso). Marcata fu anche l’influenza di Aristide Maillol, dal quale Romanelli riprese la riduzione delle masse a volumi semplificati e bilanciati e il riferimento a una classicità vista attraverso una lettura naïve o primitiva. Il soggiorno a Parigi portò Romanelli a sostituire gradualmente il formalismo del primo decennio, che aveva un riferimento nella cultura germanica, con il neo-tradizionalismo francese teorizzato da Maurice Denis (Campana, 1991, pp. 35 s., 38).
Dopo aver partecipato alla II Mostra della Secessione romana con Narciso – Scherzo (disperso), allo scoppio della prima guerra mondiale fu richiamato alle armi e inviato nell’agosto 1914 a Taranto con l’incarico di collaborare a istituire la difesa del basso Adriatico, da Valona a Brindisi. Vi soggiornò alcuni mesi, studiando l’arte della Magna Grecia e modellando le statuette Checchina (Firenze, Galleria d’arte moderna), Ascoltando Chopin (Torino, Galleria d’arte moderna) e, nel 1915, le medaglie di guerra dedicate alle più moderne armi della Marina italiana (Ojetti, 1920, pp. 216-219). Al comando dell’incrociatore ausiliario “Città di Bari” nell’Adriatico e nello Jonio, a Malta (ottobre 1915) e in Algeria, fu decorato della medaglia di bronzo al valore militare per avere attaccato un sommergibile nemico in emersione con la sua squadriglia di sei MAS, come egli stesso ricordava negli scritti raccolti in Romanticismo velico (1940). Dal febbraio 1917 fu capo della base italiana a Gibilterra, dove convogliava le navi da carico per difenderle dai sottomarini tedeschi. Tornatovi nel luglio 1918 dopo escursioni in Sardegna e in Spagna (durante le licenze visitò il Prado, Siviglia, Toledo ed espose una sua opera alla Mostra del soldato), eseguì il ritratto a mezzo busto di Richard Randall Davies (fuso in bronzo nel 1924, e disperso) e quello a figura intera di Dorothy Hayter (Firenze, coll. privata), rispettivamente il nipotino del governatore della base britannica e la figlia del pastore della chiesa anglicana locale, più tardi divenuta sua moglie. Nel 1918 fu nominato membro della Legione britannica e socio corrispondente dell’Accademia di belle arti di Firenze.
Con l’adesione al fascismo, dal 1919, subentrò l’adozione di un linguaggio più maschio e aggressivo, esemplato sul Bourdelle eroicizzante e su Ivan Meštrović. Lo attestano il Ritratto della marchesa Ximenes d’Aragona (1916-23), l’Idolo del Sarcasmo (1918-19), La siesta (1922) e Leda con il cigno (1922-23), opere in bronzo in collezioni private, che mostrano un’accentuazione espressiva che si rifà all’arcaismo greco di Bourdelle come anche a un rinnovato interesse per l’arte etrusca. Tale direzione fu rafforzata, alla Biennale veneziana del 1922, dalla visione diretta delle vigorose semplificazioni plastiche di Ernst Barlach, le quali folgorarono Romanelli così come Domenico Rambelli e influenzarono direttamente opere quali il Ritratto della signora Giglioli (1920-23, coll. privata). L’Idolo del Sarcasmo fu esposto con Bambino con uva, Eva e Donna e pesci nel 1920 alla IV esposizione nazionale della Federazione artistica lombarda.
Nel 1923 Romanelli partecipò al concorso per il monumento alla Madre italiana da erigersi in S. Croce a Firenze, concepito come una «Pietà che sorge in memoria del dolore materno in conseguenza della guerra» (Tinti, 1924, p. 21) e poi vinto da Libero Andreotti. Dai diversi modelli eseguiti per il concorso (Firenze, coll. privata) derivò la colossale Pietà, poi fusa in bronzo negli anni Trenta per la cappella della Casa madre dei mutilati di Roma. Nel 1924, durante un soggiorno a Londra, cui ne sarebbero seguiti altri (tanto che Romanelli vi aprirà uno studio; Romanelli 1951, p. 3), Romanelli modellò il busto di Richard Randall Davies, poi fuso in bronzo, dal linguaggio aspro e semplificato (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna). Quest’opera, con la quale partecipò nel 1926 alla I Mostra di Novecento Italiano, il gruppo guidato da Margherita Sarfatti, dette inizio a una produzione con evidente riferimento all’arte etrusca (Romanelli visitava periodicamente gli scavi di Cerveteri con Vincenzo Cardarelli), nella quale rientrano il Giovinetto etrusco (1926, Firenze, coll. Raffaello Romanelli), il vigoroso Ritratto di fanciulla etrusca (1926-31) e il busto di Paolo Guicciardini (1929, bronzo).
L’altorilievo di Romolo che traccia il solco di fondazione di Roma (Roma, palazzo del Ministero delle corporazioni), modellato nel 1926, esposto alla Biennale veneziana, e fuso in bronzo entro il 1930, offre un’immagine tangibile dell’idea di fascismo in cui credeva Romanelli, una celebrazione dell’ideologia imperante che attraverso un linguaggio essenziale si ricollegava ai miti già propri del repertorio nazionalista d’inizio secolo. Questo processo di definizione formale culminò con il modello in gesso per il bronzo dello Scultore realizzato nello stesso anno, opera emblematica della concezione vigorosa e affermativa di un’arte che richiedeva forza fisica oltre che spirituale. Le sue forme terse e scandite, di una purezza geometrica ai limiti dell’astrazione, incarnano la trasposizione simbolica dell’entusiasmo con cui l’artista aderiva in questi anni allo spirito ottimistico e vitalisticamente aggressivo dell’ideologia fascista in piena ascesa (Campana, 1991, p. 62).
Il 10 gennaio 1925 Romanelli sposò a Londra Dorothy Hayter, la ragazza conosciuta e ritratta durante la guerra a Gibilterra, dalla quale ebbe tre figli: Raffaello (1926), Costanza (1928) e Ilaria (1931). Con la moglie e i bambini si trasferì negli anni seguenti in una proprietà di campagna nel Chianti, curando come vignaiolo la tenuta di Riseccoli a Greve. Partecipe dello spirito “strapaesano” del Selvaggio di Mino Maccari, rivista alla quale collaborò con brevi scritti e incisioni a tema domestico e rurale, si legò in particolare a Giovanni Papini e a Domenico Giuliotti, i quali individuarono in lui il prototipo ideale dello scultore moderno. Espose nel 1927 alla III Mostra del Sindacato regionale toscano delle arti del disegno lo Scultore, Donna giacente e Testa di donna.
Alla II Mostra del Novecento, nello stesso anno, presentò il Pugile in combattimento (1926), che fu acquistato nel 1929 da Augusto Turati, segretario nazionale del Partito Nazionale Fascista e presidente del CONI, per lo Stadio Nazionale a Roma. Il bronzo, già collocato presso l’Opera Nazionale Dopolavoro, è attualmente disperso, mentre il gesso è in collezione privata. Fece seguito il Pugilatore seduto per il Foro Mussolini (bronzo, 1929, Roma, Foro Italico), ispirato all’antico Pugile ferito del Museo nazionale romano ma con i tratti del volto simili a quelli di Mussolini. Il modello in gesso fu esposto alla Biennale veneziana del 1930 insieme ai ritratti di Soffici e di Giuliotti e al bassorilievo Il frantoio (1928-29), mentre il bronzo fu presentato all’edizione successiva, nel 1932, con Testa di donna tedesca e La Gotica. Alla I Mostra regionale toscana, nel 1928, Romanelli aveva intanto esposto i ritratti della marchesa P. e di Papini, Preghiamo, Ascoltando Chopin, Signora seduta, Sorriso d’Egina e Il risveglio di Brunilde. Realizzò in questi anni il Crocifisso per il mausoleo del maresciallo Luigi Cadorna a Pallanza (bronzo, 1928-30); i ritratti degli amici Giuliotti (terracotta, 1928, Roma, Galleria nazionale d’arte moderna), Papini (bronzo, 1928, Firenze, Galleria d’arte moderna) e Ardengo Soffici (bronzo, 1929, Milano, Museo del Novecento), Giano e la vergine (bronzo, 1929-30).
Il 23 ottobre 1930 fu nominato accademico d'Italia con l’appoggio di Mussolini. La prestigiosa elezione confermava il consolidarsi di quell’immagine inaugurata da Papini di un artista dal piglio vigoroso e dalla spiritualità profonda in cui il legame con la tradizione, l’aspirazione ideale e la forza espressiva rispecchiavano appieno l’intento restauratore, la tensione etica e la volontà di potenza del fascismo (Campana, 1991, p. 9). La I Quadriennale del 1931 lo consacrò con un’ampia personale che presentava 41 pezzi fra sculture, modelli, bozzetti, dipinti a olio e disegni. Dal 1931 al 1942 Romanelli fu membro del Consiglio superiore delle Arti presso il ministero dell’Educazione nazionale, operando anche come urbanista (collaborò ai piani regolatori di Roma, di Firenze e della Versilia e alla sistemazione del teatro romano di Trieste; Romanelli, 1951, p. 14). Realizzò in questi anni il grande monumento equestre del generale Louis Botha a Città del Capo, in Sudafrica, commissione ereditata dal padre Raffaello (1931, ma secondo altri 1939), l’Erma all’Italia Mater (bronzo, 1931-33, Firenze, coll. privata), La siesta (bronzo, 1932-34), e ancora i ritratti di Berta Betteloni (bronzo, 1931, Firenze, coll. privata), Fiamma Sergardi-Biringucci (1931-33, Firenze, Galleria d’arte moderna), del duca Amedeo d’Aosta (bronzo, 1932, Torino, Galleria d’arte moderna), di Maffio Maffii (1933-34, coll. priv., esposto alla IX Mostra d’arte toscana nel 1936), di Egisto Fabbri (1934, coll. privata), di Alessandra Morpurgo (1934, coll. privata), di Oretta Ginori (1928-34, coll. privata) e di Luigi Amedeo di Savoia-Aosta, duca degli Abruzzi (1936). Nel 1933 tenne una mostra con Soffici e Carlo Carrà alla galleria Pesaro di Milano, presentando cinque opere, fra cui una Testa di cavallo in bronzo e il Tabernacolo di campagna.
In qualità di scultore ufficiale del regime assunse alcune importanti commissioni pubbliche: l’altorilievo bronzeo di Mussolini a cavallo per la Torre della Rivoluzione a Brescia (1933, rimosso nel dopoguerra e andato disperso) e l’altorilievo in marmo della Giustizia di Traiano per il Palazzo di Giustizia di Milano (1933-34), opera nella quale ritrasse i suoi compagni di lotta, Papini, Guliotti, Soffici e Maffii, nelle vesti di condottieri romani e inserì figure tratte dalle proprie opere. Fra il 1934 e il ’37 partecipò in tandem con l’architetto Gino Michelucci al concorso per il monumento del maresciallo Armando Diaz destinato a Napoli, poi vinto da Francesco Nagni. Vinse invece nel 1938 quello per il monumento equestre dell’eroe albanese Giorgio Castriota, detto Scanderbeg, destinato a Tirana ma poi collocato a Roma in piazza Albania (1940). Fu dal 1937 col duca d’Aosta, Amedeo di Savoia, in Etiopia, presumibilmente in relazione al monumento al Legionario destinato ad Addis Abeba per commemorare la colonizzazione italiana dell’Africa Orientale. Entro il 1939 ne terminò le diverse figure (sei statue colossali in bronzo del Fante, Ascaro, Marinaio, Conducente, Aviere e Operaio, e quella in marmo del caduto ignoto) e alcune parti (un fregio in marmo nel coronamento lungo 57 metri con scene di battaglia e una porta in bronzo), ma la realizzazione fu bloccata dalla guerra. Essa venne ripresa dopo la caduta del regime, nel 1952, quando il governo della Repubblica italiana donò l’opera di Romanelli – contenuta in 411 casse – alla Regione Sicilia, destinandola a Siracusa. Il montaggio fu effettuato dopo il 1960 sostituendo alla statua del milite fascista (Conducente) quella dell’Operaio e ribattezzando l’opera come monumento al Soldato e all’Operaio (Roma, Accademia di S. Luca, Archivio storico, 1960, b. 67, Aggiornamento del Notiziario biografico firmato dall’artista il 20 maggio 1960). Alla III Quadriennale, nel 1939, Romanelli espose il Busto del marchese Eugenio Niccolini, il Pugilatore in riposo e una Donna sdraiata in cera, verosimilmente il modello per il colossale Nudo di donna realizzato in marmo nel 1940 (coll. privata). Alla fiera mondiale di New York del 1939 la sua statua colossale del Duce come fondatore dell’impero (andata dispersa) occupava il centro del salone d’onore del padiglione italiano (Carletti, Giometti, 2016, pp. 122, 180; Cortesini, 2018, pp. 243 s.).
Il 25 febbraio 1940 fu nominato accademico di merito corrispondente per la classe di scultura all’Accademia di S. Luca (lo era anche dell’Accademia Clementina di Bologna e dell’Accademia di belle arti di Perugia), carica sostituita con quella di accademico effettivo il 26 gennaio 1942 (Roma, Accademia di S. Luca, Archivio storico, Misc. Tomassetti, anno 1940, doc. 356d; Segreteria, 1940, Nomine accademici e cariche, docc. 428, 474, 484, 487, 494, 499-500, 503, 508; Segreteria 1940, titolo IX-2, docc. 806, 807c; Segreteria, 1942, docc. 391, 402, 433, 468). Partecipò nel 1941 e 1942 alla Mostra d’arte toscana con alcune opere.
Nel dopoguerra, in seguito alle epurazioni effettuate nei confronti di chi era stato maggiormente coinvolto col regime fascista, abbandonò la scultura per dedicarsi unicamente all’insegnamento. Mantenne la cattedra di scultura all’Accademia di belle arti di Firenze, che ricopriva dal 1943, fino al 1953, quando la lasciò per raggiunti limiti d’età (Roma, Accademia di S. Luca, Archivio storico, Misc. Tomassetti, 1960, Segreteria 1946, titolo II, Albo accademico, Situazione al giorno 6 marzo 1946, in relazione ai risultati dell’epurazione ed alla applicazione dello Statuto del 31 Agosto 1945, p. 3). Si trasferì allora nella Somalia italiana, a Giamama lungo il Giuba (già Villaggio Regina Margherita, in italiano), dove creò le aziende vinicole Romanelli (sua moglie Dorothy vi fu assassinata nel 1964). Dal 1946 al ’51 diresse i lavori del fregio marmoreo che decora l’interno del monumento agli eroi nazionali boeri a Pretoria rappresentante i Voortrekker (Romanelli, 1951, p. 24). Nel 1955 alcune medaglie e suoi ritratti già famosi furono esposti alla mostra Antologia dell’arte italiana dal 1910 al 1930 organizzata in seno alla VII Quadriennale romana. Il 25 febbraio 1960, su proposta di Attilio Selva, Francesco Messina, Sirio Tofanari, Publio Morbiducci, Aurelio Mistruzzi e Antonio Berti, e con l’unico parere contrario di Arturo Dazzi, Romanelli fu nominato scultore nazionale presso l’Accademia di S. Luca (Roma, Accademia di S. Luca, Archivio storico, Misc. Tomassetti, 1960, II, Albo accademico, pp. 413, 523, 531, 536, 618). Morì a Firenze il 25 settembre 1968 e fu sepolto accanto ai genitori nel cimitero di Soffiano.
Fonti e Bibl.: Firenze, Archivio Libero Andreotti, Corrispondenza, fascc. 1/16-1/19, 1/25, docc. 17-20, 26 (1917), fasc. 52/41, doc. 2833 (1917), fascc. 75/35-75/52, docc. 4095-4111 (1921-1950); Firenze, Archivio Romanelli, Romano Romanelli, 1959, dattiloscritto; Roma, Accademia di S. Luca, Archivio storico, Misc. Tomassetti, 1940, doc. 356d; Segreteria, 1940, Nomine accademici e cariche, docc. 428, 474, 484, 487, 489, 494, 499-500, 503-504, 508; Segreteria, 1940, titolo IX-2, docc. 806, 807c; Segreteria, 1942, docc. 391, 402, 433, 468; Segreteria, 1946, titolo II, doc. 191b, Albo accademico, p. 3; Segreteria, 1960, II, Albo accademico, docc. 413, 439, 523, 531, 536, 618; Roma, Archivio Ferruccio Ferrazzi, Corrispondenti, Romano Romanelli (1939-1964); Roma, Soprintendenza alla Galleria nazionale d’arte moderna, Archivio Bioiconografico, unità archivistica 19795; Archivio storico, Fondo Ugo Ojetti, serie 1 Corrispondenti, unità archivistica 1632, 1911-1962; R. Romanelli, Alcune riflessioni sulla Scultura, Firenze 1930; Id., Bertoldo, 1931, pp. 1-14; Id., Romanticismo velico. Ricordi di guerra, di mare, di caccia, Firenze 1940; Id., R. R. Catalogo, opere e cenni biografici, Firenze [1951]; U. Ojetti, Medaglie di R. R., in L’Illustrazione Italiana, XLVI (1919), pp. 502 s.; D. Hayter, R. R., The Studio: An Illustrated Magazine of Fine and Applied Art, 1922; U. Ojetti, Due medaglie di R. R., in Dedalo, IV (1923-1924), pp. 62-65; M. Tinti, R. R., Firenze 1924; V. Costantini, R. R., The Studio: An Illustrated Magazine of Fine and Applied Art, 1928; G. Papini, Gli operai della vigna, Firenze 1929, pp. 357-370; P. Torriano, R. R., Milano 1932 (con altra bibliografia); A. Del Massa, R. R., in Eclettica, a. VI, 1933, pp. 14-19; V. Costantini, R. R. scultore, in Arte mediterranea, II (1934), 2, pp. 15-32 (con ulteriore bibliografia); P. Torriano, R. R., Milano 1936; A. Berretta, Incontro africano con R. R., in Corriere dell’Impero, 21 febbraio 1939; R. Franchi, A R. R. (a proposito di molteplicismo), in Illustrazione Toscana e dell’Etruria, a. X, n. 10, ottobre 1941; Giornale LUCE C0225, 23 febbraio 1942, in rete (Youtube); F. Bellonzi, R., Roma 1974; T. Paloscia, Ricordo di R., in La Nazione, 2 ottobre 1968, p. 11; R. Campana, R. R. Un’espressione del classicismo nella scultura del Novecento, Firenze 1991; I Romanelli: una dinastia di scultori a Firenze, Firenze 2003; F. Salvador, Bourdelle, Bernard, Maillol: influenze francesi nella scultura italiana degli anni Venti, tesi di dottorato, Università di Udine 2012 (relatore prof. F. Fergonzi), pp. 5, 16-19, 155-160, 181, 183, 186, 210-212; L. Carletti, C. Giometti, Raffaello on the road. Rinascimento e propaganda fascista in America (1938-40), Roma 2016, pp. 67, 76 s., 82 s., 85-89, 118, 120-126, 178-186; S. Cortesini, One day we must meet. Le sfide dell'arte e dell'architettura italiane in America (1933-1941), Monza 2018, pp. 243 s.; A. Imbellone, Il Novecento di Ferruccio Ferrazzi (1891-1978), Roma 2019, pp. 45, 68, 111, n. 58.