ORSINI, Romano
ORSINI, Romano. – Figlio di Gentile di Bertoldo Orsini, certamente non viene ricordato come uno dei principali esponenti della famiglia dalla quale discendeva, tuttavia fu una pedina importantissima per l’espansione del suo potente casato nel Regno di Sicilia e nella Toscana meridionale a cavallo tra XIII e XIV secolo.
Ancora minorenne, nel 1293, gli fu combinato il matrimonio con Anastasia di Montfort, figlia ed erede di Guido di Montfort e Margherita Aldobrandesca, che costituì il coronamento di un’attenta strategia matrimoniale portata avanti dalpadre e soprattutto dallo zio, il potente cardinale Matteo Rosso. La preparazione delle nozze tra i due giovani rappresentò una prova tangibile del favore del re Carlo II d’Angiò nei confronti del casato romano degli Orsini.
Anastasia in base al diritto franco non aveva ereditato i feudi meridionali dal padre, il quale, per altro, era stato dichiarato decaduto dei possedimenti ricevuti da Carlo I, a causa dell’omicidio di Enrico de Alemania; tuttavia ad Anastasia vennero riconosciuti i diritti sulle terre paterne, probabilmente anche sulla base dei vincoli di antica fedeltà e di parentela per linea paterna che la legavano agli stessi sovrani angioini. Romano, sposando la giovane contraeva a sua volta legami di solidarietà e familiarità con Carlo II. In previsione del matrimonio furono abilmente sanciti alcuni accordi particolarmente vantaggiosi, tanto per Romano stesso, quanto per il suo casato. Carlo II concedeva infatti alla futura sposa e ai suoi eredi legittimi la contea di Nola in Terra di Lavoro che era stata di suo padre, con alcune eccezioni, ma con la clausola che se Anastasia fosse defunta prima di Romano, quest’ultimo avrebbe comunque potuto conservare i feudi stessi come dono del sovrano. Con la stipulazione dei patti matrimoniali riconosciuti dal sovrano angioino, Gentile Orsini e suo figlio Romano divennero sudditi del Regno e acquisirono il titolo di familiares regis.
Dopo la formale acquisizione della contea di Nola e del castello di Cicala, Romano intraprese una decisa politica di accrescimento della propria influenza e dei proventi in tali territori. Sebbene le attestazioni dirette di tali incrementi territoriali sono poche, in ogni caso è ben testimoniato che nel 1325 egli possedeva, oltre alla città di Nola, il castello di Cicala e metà del castello di Baiano, in Terra di Lavoro, e i castelli di Monteforte, Fortino e Atripalda, nel Principato; il tutto gli garantiva una rendita annua molto consistente.
Nel 1297 era stato esentato dagli obblighi militari dovuti come feudatario regio al sovrano e aveva pagato l’adoa. I pagamenti furono irregolari ma nel 1301 il re cassò i crediti fino ad allora maturati, in ragione della devozione che lo legava al cardinale Matteo Rosso e dei servizi prestati dallo stesso Romano alla Corona. Nonostante ciò, negli anni successivi varie lettere di richiamo inviate ai giustizieri della Terra di Lavoro denunciarono il ritardo dei pagamenti da parte di Romano.
Per ampliare il suo potere e la sua influenza nei territori che gli erano soggetti, Romano usò metodi a volte spregiudicati, quali soprusi, indebite vessazioni, tentativi di corruzione e scorrerie armate, che a volte scatenarono la dura reazione del sovrano, come quando pretese di obbligare i vassalli della mensa vescovile di Nola a compiere servizi per suo conto. Il presule nolano protestò vibratamente contro tale abuso presso la Curia regia e Carlo II richiamò duramente Romano convocandolo direttamente a corte e ingiungendogli perentoriamente di cessare immediatamente quelle molestie. In altri casi, che invece coinvolgevano personaggi di minor rilievo rispetto al vescovo di Nola, l’atteggiamento del sovrano si rivelò più accomodante.
Nel 1319 Romano aveva istituito per sua personale iniziativa e con discreto successo un mercato presso il castello di Atripalda. L’iniziativa fu però stroncata dalla corte, che avrebbe anche evitato di intervenire (o quanto meno lo avrebbe fatto con minore severità) se l’illecito non fosse stato denunciato dal potente conte di Avellino, il quale vedeva in tal modo lesi direttamente i propri interessi economici, e se lo stesso Romano non avesse abusato del favore di cui godeva presso il sovrano imponendo illegittimi diritti doganali sulle merci che venivano portate al nuovo mercato per essere messe in vendita e, per di più, ignorando i primi richiami che gli furono mossi dai funzionari regi.
Come molti altri nobili romani feudatari della corona angioina anche Romano ricoprì uffici pubblici nel regno di Napoli, come capitaneus Aquile ad erario deputatus.
La sua fedeltà agli angioini è ben indicata anche dal nome che attribuì al suo figlio primogentito, Roberto, proprio in onore del sovrano.
Relativamente all’acquisizione di quanto restava dell’antico comitato aldobranesco, scemati gli interresi su di esso da parte di Bonifacio VIII e del cardinale Napoleone Orsini, Anastasia – e con lei Romano – rimase l’unica erede dei beni e del titolo di contessa palatina; tuttavia il definitivo inserimento degli Orsini nella Tuscia si sarebbe concretizzato solamente in seguito. Romano viene infatti ricordato con il titolo di conte palatino solo a partire dal 1315, ossia poco tempo dopo la morte della suocera Margherita.
Nella privavera del 1312 figura tra i membri del suo casato che, fedeli a Roberto d’Angiò e sostenuti da quest’ultimo, impedirono a Enrico VII di recarsi nella basilica romana di S. Pietro per essere incoronato imperatore.
Uomo d’arme, conduceva in combattimento milizie, compiva scorrerie e saccheggi, come quando nel 1317 fu alla testa della cavallieria orvietana contro il castello di Abbadia San Salvatore, occupato dai conti di Santa Fiora, o nel 1319 allorché si distinse per le devastazioni in Maremma a danno dei Montemarano.
Durissimo nei confronti dei suoi sudditi, continuò a usare metodi sempre spregiuticati per ampliare il suo potere e la sua ricchezza, come dimostrano la contesa per il castello di San Savino (situato tra Toscanella e Marta, alle pendici meridionali del lago di Bolsena) anteriormente al 1320 o il tentativo di occupare Orbetello nel 1323, finalizzato probabilmente a riannettere al comitato aldobrandesco territori ormai perduti.
Il 10 novembre 1325 venne nominato vicario del senatore di Roma Roberto d’Angiò in coppia con Riccardo Frangipane; tuttavia morì prima del termine del mandato (1° maggio 1326); un atto della cancelleria angioina del 2 febbraio 1326 ricorda Anastasia come ormai vedova.
Ebbe tre figli maschi: Roberto, Guido e Bertoldo; e due femmine, Simonetta e Margherita. Bertoldo morì prima del padre senza lasciare eredi; l’eredità di Romano fu infatti suddivisa solamente tra Roberto e Guido. Al primo andò la contea di Nola, al secondo il comitato di Soana, ossia quanto rimaneva del dominio aldobrandesco.
Fonti e Bibl.: G. Fabriziani, I conti Aldobran-deschi e Orsini. Sunti storici con note topografiche, Pitigliano 1897, p. 18; M. Antonelli, La dominazione pontificia nel Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, in Archivio della Società romana di storia patria, XXV (1902), p. 387; Ephemerides Urbevetanae dal Codice Vaticano Urbinate 1745, a cura di L. Fumi, in Rer. Ital. Script., II ed., XV, 5, I, Città di Castello 1902-20, pp. 181, 359, 362, 365-367, 379 s.; C. Pinzi, Storia della città di Viterbo, III, Viterbo 1913, pp. 118-120; A. de Boüard, Le régime politique et les institutions de Rome au Moyen-Âge. 1252-1347, Paris 1920, p. 261; A. Salimei, Senatori e statuti di Roma nel Medio Evo. I senatori, cronologia e bibliografia dal 1144 al 1447, Roma 1935, p. 99; E. Duprè Theseider, Roma dal Comune di popolo alla signoria pontificia (1252-1377), Bologna 1952, pp. 302, 409, 432, 439, 445; S. Carocci, Baroni di Roma. Dominazioni signorili e lignaggi aristocratici nel Duecento e primo Trecento, Roma 1993, pp. 42 n., 53 n., 108 n., 396 s., 403; F. Allegrezza, Organizzazione del potere e dinamiche familiari. Gli Orsini dal Duecento agli inizi del Quattrocento, Roma 1998, pp. 41, 43-50, 58, 122, 157, 165, 194, tav. 10; C. Di Certo, L’insediamento francescano di Santa Chiara in Nola e la devozione a Maria Jacobi. Un’ipotesi di lettura, in Annali dell’Istituto italiano per gli studi storici, XXIII (2008), pp. 214 s.; C. Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano. Giorno per giorno l’Italia di Giotto e Dante, I, 1300-1325, Roma 2007, pp. 560, 584 s., 609 s., 619, 753; J.-C. Maire Vigueur, L’altra Roma. Una storia dei romani all’epoca dei comuni (secoli XIII-XIV), Torino 2011, pp. 243 s.