Roma costantiniana
Roma, di gran lunga la città più grande del mondo antico e tardoantico, vive, a partire dalla sua origine e per tutta l’età imperiale fino alla tarda antichità, un incremento urbano costante ma discontinuo, che si concretizza soprattutto nelle frequenti costruzioni di nuove opere pubbliche. Queste si aggiungono di volta in volta a quelle preesistenti, che solo raramente vengono distrutte e, semmai, vengono restaurate e/o ricostruite mantenendo comunque, quasi sempre, la stessa funzione e denominazione; proprio questa tendenza alla conservazione delle memorie e dei monumenti esistenti – basata anche su principi giuridici – ha comportato molto spesso l’esigenza di utilizzare, per l’installazione di nuovi monumenti, gli spazi non occupati da precedenti edifici pubblici, cioè quelli privati, che, di fatto, avevano prevalentemente una funzione abitativa o commerciale. Così sono spariti nel tempo interi quartieri densamente popolati e, mentre il centro urbano – e non solo esso – si arricchiva di nuovi complessi di uso sia sacro sia profano, le aree destinate all’insediamento abitativo si spostavano in zone sempre più periferiche. Questo processo doveva inevitabilmente giungere a una sorta di saturazione che, infatti, si verificò, pur se gradualmente, proprio nel periodo tardoantico, quando aumentò la difficoltà di trovare spazi utilizzabili per la costruzione di edifici pubblici sempre più grandi che celebrassero la magnificenza di nuovi imperatori in una città già ricchissima di tali monumenti. Proprio per questo motivo merita particolare interesse lo studio della Roma tardoantica, specialmente dal punto di vista dell’urbanistica, ma, nonostante ciò, questo tema specifico non ha trovato un particolare favore tra gli studiosi. L’età costantiniana è stata infatti oggetto, specialmente in epoca recentissima, di studi anche molto approfonditi e di largo respiro, ma svolti quasi sempre secondo un’ottica che privilegia, di fatto, i più vari aspetti a sfondo storico-politico o storico-religioso, dedicando invece uno spazio contenuto e spesso solo marginale a quelli topografico-urbanistici1.
L’età costantiniana, considerata da sempre una sorta di ‘cerniera’ nella serie convenzionale delle periodizzazioni storiografiche, è stata posta talvolta come elemento terminale nello studio dell’arte e della cultura ‘romana’ e talaltra come elemento iniziale in quello relativo all’epoca immediatamente successiva, che è stata indicata come ‘paleocristiana’, o ‘bizantina’, oppure ‘tardoantica’, a seconda dei contesti e delle preferenze individuali degli studiosi2. A complicare ulteriormente le cose, si è aggiunta la componente religiosa che, tenendo conto della data dell’editto di Milano, il 313, che corrisponde all’ingresso ‘ufficiale’ del cristianesimo nel mondo della politica, ma anche dell’arte e della cultura, spezza in qualche modo il regno di Costantino in due parti – pur se la prima è certo assai più breve della seconda – e pone la citata ‘cerniera’ all’interno dell’età costantiniana.
Conseguenza a dir poco dannosa di queste periodizzazioni, certo artificiose anche se almeno in parte legittime e comunque inevitabili, è stato lo sdoppiamento di Costantino in due personaggi: quello tardoromano, fautore, continuatore e incrementatore della ripresa economica e politica dell’Impero, varata da Diocleziano e dalla tetrarchia, e quello paleocristiano, iniziatore di una nuova era e trasformatore radicale della cultura e della politica precedente.
Questi ‘due Costantini’ hanno dominato separatamente la storiografia moderna – come già quella antica – diventando protagonisti, il primo, del filone decadentista, che vedeva nel IV secolo la saturazione della cultura romana e nel V e successivi il suo crollo graduale e, il secondo, del filone innovazionista, che preferiva una visione in chiave di rinnovamento politico-spirituale che solo più tardi avrebbe dato i suoi frutti.
Il risultato, piuttosto ovvio, di questa dissezione della figura storica di Costantino è stato quello di disperdere in due direzioni diverse le sue opere e i suoi interventi per favorire questa o quella interpretazione, omettendo accuratamente, nella maggior parte dei casi, di operare una sintesi oggettiva e complessiva di quanto in effetti egli realizzò durante il suo regno, di durata abnorme (oltre trentuno anni) rispetto sia a quelli precedenti (dopo Augusto3), sia a gran parte di quelli successivi4.
In effetti si deve ammettere che non è del tutto assente, in questo panorama, qualche tentativo di porre Costantino non alla fine o all’inizio di un’epoca ma al centro di essa, dandone quindi una visione d’insieme assai più coerente rispetto a quanto prima si era fatto (e anche a quanto dopo si farà): si veda soprattutto la visione storiografica proposta da Alois Riegl5 e dai suoi sempre più esigui continuatori; ma di questo argomento si è già trattato altrove con un certo dettaglio e con gli opportuni riferimenti bibliografici, per cui si preferisce rinviare a quella sede6.
Dobbiamo subito avvertire che i dati disponibili per uno studio d’insieme del paesaggio urbano e suburbano di Roma nel IV secolo sono piuttosto limitati, anche se le ricerche sul campo e le indagini sui documenti e sulle fonti antiche si stanno arricchendo, di recente, di numerosi contributi su singoli temi o aree. Non sono però altrettanto abbondanti le analisi d’insieme, che, forse, attendono il maturarsi di vari studi tuttora in corso che permetterebbero di elaborare sintesi più integrali.
Dovendo comunque affrontare il tema indicato con gli strumenti attualmente disponibili, sarà opportuno darne qui di seguito una breve rassegna, con valore soprattutto indicativo.
Nella storiografia ecclesiastica dei secoli IV-VI, in buona parte di lingua greca e di matrice orientale7 e quindi più attenta a enfatizzare ciò che si verifica nella pars orientalis dell’Impero, Roma è menzionata raramente, tanto che la capitale dell’Impero risulta quasi un’entità del tutto astratta – se non addirittura inesistente – tranne che per i suoi vescovi e per le questioni politico-religiose8. Lo stesso Costantino è celebrato, oltre che per la sua politica e le sue doti morali, esaltate talvolta fino alla più palese assurdità storica, anche per le sue opere di carattere monumentale: si tratta però più che altro di chiese e martyria cristiani (ma con l’esclusione di quelli di Roma, almeno negli scritti di matrice orientale), oppure di edifici pubblici di città orientali, soprattutto di Costantinopoli. Sullo stesso piano si pongono di fatto anche gli scritti dei panegiristi, che offrono ovviamente dati in gran parte enfatizzati, pur contenendo qualche elemento utilizzabile9. La carenza di informazioni relative a Roma è però compensata, in qualche modo, dal Liber Pontificalis, che, pur se in una redazione più tarda di due secoli rispetto ai dati che riporta per il IV secolo, fornisce indicazioni concrete – e probabilmente attinte da fonti ufficiali e quindi attendibili – almeno per le fondazioni costantiniane nella Roma cristiana.
Nella storiografia anticristiana, invece, è spesso Massenzio o, semmai, sono i tetrarchi a essere esaltati come grandi ‘protettori’ di Roma (pur se sempre con scarse menzioni di interventi edilizi e urbanistici), mentre di Costantino si ammette l’impegno nell’edilizia monumentale, ma solo per darne apprezzamenti relativamente dispregiativi, anche a riguardo della qualità e stabilità delle costruzioni10.
Bisogna però ammettere che se fosse sopravvissuta l’intera opera di Ammiano Marcellino, e in particolare la parte relativa alla prima metà del IV secolo11, si sarebbe potuto disporre certamente, per la Roma di Massenzio e di Costantino, di squarci vivaci e realistici come quelli che lo storico, tenendo conto della sua visione politica di impronta senatoria e paganeggiante, spesso fornisce con estremo dettaglio per il breve periodo (dal 353 al 378) di cui tratta in maniera molto estesa nei sopravvissuti libri XIV-XXXI. In ogni caso, non si può negare che anche quanto viene descritto per la metà del IV secolo, o poco oltre, deve essere pur sempre indicativo per la Roma di alcuni decenni prima e quindi anche i testi superstiti di Ammiano sono, almeno in parte, utilizzabili ai nostri fini.
Se i trattati storici veri e propri forniscono poche indicazioni sull’argomento di nostro interesse, quelli giunti in forma di epitome12 sono ovviamente ancor meno ricchi di notizie utili, anche se, in effetti, non è possibile trascurarli poiché, sebbene solo sporadicamente, forniscono notizie altrove non riportate.
A questo panorama – evidentemente piuttosto contenuto – di informazioni relative alla Roma di Costantino, quali si possono estrarre dai testi storici antichi fin qui citati, è possibile comunque aggiungere quelle ricavabili dalle, pur se rare, fonti antiche di più specifico taglio topografico. Si pensi ai ben noti Cataloghi regionari, che risultano redatti proprio in epoca tetrarchica e/o costantiniana e che, anche se concepiti soprattutto come documenti tecnici, contengono informazioni preziose, proprio perché coeve13.
Abbondanti per Roma, e di frequente più specifiche per i nostri fini, sono poi le fonti epigrafiche. Esse fanno spesso da complemento fondamentale alle notizie ricavate dalle altre fonti o dagli stessi resti materiali, ma, assai più di frequente, sono esse stesse la fonte principale – se non l’unica – della posizione topografica, del nome e dell’epoca di fondazione di un monumento e non di rado, infine, ne forniscono anche il nome del dedicatario e/o del committente14.
Il fatto che i monumenti epigrafici siano ormai da secoli oggetto di interesse scientifico ha comportato una disponibilità di repertori che si è andata arricchendo sempre più e che oggi assicura un accesso alle informazioni molto più diretto ed efficace che non in precedenza15. Tra le fonti epigrafiche vanno inclusi anche i bolli laterizi, che, dopo gli studi accuratissimi e innovativi di Margareta Steinby sui repertori tardoantichi (in parte trascurati in precedenza), forniscono strumenti di datazione utilissimi – pur se oggi da perfezionare in base a scavi più recenti –, che permettono precisazioni anche all’interno del periodo che qui interessa16.
La bibliografia recente, o comunque moderna, a cui è possibile attingere per la ricostruzione – certo solo parziale – della Roma di Costantino, non è particolarmente vasta e, soprattutto, non ha quasi mai come tema centrale quello urbanistico, anche se non mancano né gli studi in cui, più o meno marginalmente, si trovano indicazioni sull’argomento, né le monografie su singoli edifici, né, infine, i dizionari topografici in cui i monumenti sono trattati separatamente, ognuno con la propria specifica cronologia.
Come punto di riferimento iniziale si può tener conto degli studi di Rodolfo Lanciani, il quale ci ha lasciato un’enorme messe di scritti editi17 e di appunti, questi ultimi solo recentemente dati alle stampe18. Si deve alla sua presenza diretta e costante sul terreno degli scavi estesissimi della Roma Capitale e alla sua cura nell’annotare, per quanto possibile, gli innumerevoli rinvenimenti di quell’epoca – spesso distinguendo correttamente i muri tardoantichi da quelli di età precedente – se oggi si può disporre della raccolta di una quantità incredibile di dati, utilizzabili anche ai nostri fini. Le sue opere monografiche, tra le quali la più ricca di informazioni è quella dal suggestivo titolo The Ruins and Excavations of Ancient Rome19, presentano la città di Roma per singoli monumenti esaminati ognuno in senso diacronico, piuttosto che – come sarebbe stato auspicabile – per successive ‘istantanee’ della città stessa in vari momenti significativi della sua storia. Ma la sua opera forse più impegnativa, cioè la monumentale Forma Urbis Romae20 (una planimetria in scala 1:1.000 della città, suddivisa in 48 grandi tavole nelle quali sono riportati tutti i resti della Roma antica – e anche paleocristiana o medievale – scoperti fino all’inizio del XX secolo), offre certamente il più utile strumento di lavoro di cui ci si possa servire.
Questo eccezionale documento grafico d’insieme, troppo difficile da imitare e solo oggi, dopo un secolo, finalmente in corso di aggiornamento (cfr. infra), è stato utilizzato come base per tutti gli studi successivi, ma la letteratura relativa alla topografia di Roma ha continuato a riprodurre modelli già ampiamente sperimentati nel XVII secolo21 e riproposti in forma compendiaria da Lanciani nel citato Ruins and Excavations, ove lo schema di una guida, o meglio dei più antichi ‘itinerari’, è mimetizzato all’interno della descrizione per monumenti divisi per aree topografiche e integrato da una sezione indipendente, dedicata alle grandi opere pubbliche. Si tratta, insomma, di importanti rassegne dei monumenti urbani e suburbani che vengono utilmente aggiornate con cadenza periodica, pur se affrontano la topografia per singoli edifici piuttosto che per stratificazioni periodiche, il che conferisce a queste opere una maggiore fruibilità, anche se rende più laboriosa l’estrazione di dati relativi a un periodo circoscritto. Così, dopo Lanciani, Giuseppe Lugli nel suo maneggevole trattato in quattro volumetti editi tra il 1930 e il 194022 e così anche, assai più recentemente, Filippo Coarelli nella sua ineguagliabile Guida archeologica di Roma, che tutti abbiamo usato con profitto già ormai da oltre un trentennio e che è stata più volte accuratamente aggiornata23. A fianco di queste ‘guide archeologiche’ si è sviluppato anche un altro genus letterario del settore, quello dei ‘dizionari topografici’, iniziato nel XIX secolo da autori validissimi come Henri Jordan e Christian Huelsen24, poi aggiornato e ristrutturato da Samuel Ball Platner e Thomas Ashby25, e recentemente ‘monumentalizzato’ nel dettagliatissimo Lexicon Topographicum Urbis Romae di Margareta Steinby26, nel quale sono finalmente inserite anche le più antiche chiese insieme ai monumenti classici e tardoantichi; la fusione tra ‘antico non cristiano’ e ‘antico cristiano’ è presente in modo ancora più evidente nella seconda parte dello stesso Lexicon, dedicata al suburbium27. Questa opera, pur nella sua inevitabile disomogeneità legata alla molteplicità degli autori, è indubbiamente uno strumento di larga utilizzabilità, anche perché ogni voce è corredata da una bibliografia, in genere esauriente, degli studi precedenti l’ultimo decennio o poco più.
Passando ora agli studi più direttamente pertinenti al tema qui affrontato, si deve osservare che il panorama bibliografico si dirada ulteriormente. Per l’epoca immediatamente precostantiniana è possibile rifarsi al quadro piuttosto dettagliato che Filippo Coarelli ha proposto sia a proposito della Roma dell’età tetrarchica28, sia di quella del breve regno di Massenzio29, riferendosi utilmente, in entrambi i casi, anche agli approfonditi studi di Margareta Steinby sui bolli laterizi della Roma tardoantica30; per l’età costantiniana è possibile invece tener conto solo del generico inquadramento che Richard Krautheimer fornisce all’inizio del suo Rome. Profile of a city, 312-130031, nel quale l’urbs di Costantino è solo il punto di partenza di un percorso molto esteso che copre un intero millennio. Piuttosto deludente, nonostante il promettente titolo Constantine and Rome, è poi il volume di Robert Ross Holloway32, che non affronta il tema topografico e, dopo un interessante sguardo alle fonti, relative però soprattutto al periodo cristiano precostantiniano, si rivolge a pochi monumenti di Roma, per lo più cristiani, a parte alcuni archi trionfali e non. Decisamente più pertinente al tema che qui interessa e di taglio più attuale è invece il capitolo dedicato a Roma nel testo di Franz Alto Bauer su tre grandissime città tardoantiche, che include anche Costantinopoli ed Efeso33. Sono infine di questi ultimi mesi due importanti opere che pongono a confronto Roma e Costantinopoli: una è il trattato di Jonathan Bardill su Costantino34, che si rivolge in modo specifico, oltre che a Costantinopoli, città alla quale ha dedicato la gran parte dei suoi studi, anche a Roma, a cui dedica uno sguardo d’insieme ma sempre nell’ottica delle trasformazioni del culto imperiale e della cristianizzazione; l’altra è la raccolta di studi dal titolo Two Romes, con contributi di vari autori sullo stesso tema ma da ottiche separate e più specifiche35.
Sul numero degli abitanti della Roma dei primi tre secoli dell’era moderna sono state proposte numerose analisi sulle quali non si entrerà in dettaglio, anche perché interessa, in questa sede, richiamare solo in via indicativa le cifre più attendibili finora proposte. Tuttavia è utile ricordare che l’incremento demografico della città sembra stabilizzarsi in età imperiale avanzata e fino al IV secolo, mantenendosi, pur se attraverso fluttuazioni non sempre valutabili, intorno a un valore massimo che da alcuni è indicato in 800.000 individui circa36, mentre da altri viene portato verso la cifra di 1.200.00037. I dati che si hanno a disposizione non permettono di offrire ulteriori precisazioni; anche se ci si può legittimamente aspettare che le cifre proposte vengano ulteriormente rivedute e ‘assestate’ in futuro, è probabile che l’ordine di grandezza indicato sia destinato a essere più o meno definitivo. Infatti i calcoli relativi alla popolazione si basano per lo più sugli approvvigionamenti e sulle distribuzioni di prodotti alimentari38 oppure sulle densità abitative39 dati discontinui, disomogenei, non certo abbondanti e comunque già più volte analizzati.
Della Roma dell’età tetrarchica e di quella massenziana e costantiniana si può dunque avere un’idea abbastanza attendibile per quanto riguarda la popolazione che, essendo prossima al milione di abitanti, fa inquadrare l’urbs di quel tempo come un unicum non confrontabile con altre realtà urbane contemporanee.
A questa abnorme concentrazione dell’insediamento umano dovevano corrispondere ovviamente un’insolita estensione e un’altrettanto anomala distribuzione non solo dell’abitato, ma anche delle strutture pubbliche e private, più o meno monumentali, che erano destinate sia alla pubblica utilità sia ad altre funzioni religiose o celebrative.
Le indicazioni premesse riguardo ai dati cui è possibile attingere per tracciare una topografia della Roma precostantiniana e costantiniana mettono in evidenza le difficoltà di un approfondimento capillare ed esaustivo che possa portare a una ricostruzione dell’intero tessuto urbano per quell’epoca specifica, ma non impediscono di proporre un inquadramento generale dei principali mutamenti del paesaggio urbano sulla base dei dati disponibili relativi ai singoli monumenti e, ove possibile, alle strutture abitative meglio documentabili. A tale scopo sarà utile sezionare la trattazione in varie parti, cioè affrontare lo studio per temi o per aree separate, che saranno poi oggetto di un’analisi d’insieme.
I dati ricavabili dalla già ricordata Forma Urbis che Lanciani ha pubblicato oltre un secolo fa e che ora viene integrata ‘giorno per giorno’ con i risultati del periodo successivo a opera del gruppo Sitar (Sistema informativo territoriale archeologico di Roma)40, diretto da Mirella Serlorenzi, che si occupa di tale aggiornamento nell’ambito della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma Capitale, forniscono la possibilità di individuare numerosissimi tratti stradali che, opportunamente prolungati, non di rado permettono di collegare varie direttive principali e quindi di delineare un reticolo viario, certo incompleto, ma comunque abbastanza esteso specialmente quando si tratta di strade importanti e rettilinee. Così alcune antiche vie di cui si conosce talvolta anche il nome, come ad esempio la via Lata, la via Recta, il vicus Patricius, l’Alta Semita, e tante altre, anche non rettilinee, come il Clivus Capitolium e il Clivus Suburanus, oppure quelle consolari nei tratti diventati urbani, ci permettono di stabilire una trama che, pur se parziale, aiuta a trovare i limiti di edifici di cui sono noti solo alcuni tratti murari.
Certo si deve qui precisare che gli sconvolgimenti urbanistici legati alle epoche più antiche e spesso conseguenti a grossi incendi – come nel caso di quello neroniano del 64 d.C. – possono aver implicato la variazione di alcuni percorsi viari: ne è un esempio il tratto del Clivus Sacer che, prima abbastanza tortuoso, fu poi rettificato, appunto, dopo l’incendio neroniano. Tuttavia sembra che dopo il I secolo tali mutamenti di tracciato fossero piuttosto insoliti, soprattutto nel caso delle vie più importanti.
In conclusione, non sembra azzardato ipotizzare che il reticolo viario della Roma tardoantica si possa in parte ricostruire sulla base di quello documentabile nella piena età imperiale, almeno per quanto riguarda le principali arterie, il che può facilitare nella delimitazione di edifici di cui restano scarse tracce.
È ben noto che la zona monumentale di riferimento per Roma era il Foro romano, ed è altrettanto noto che quest’area fu incisivamente danneggiata dall’incendio che vi si sviluppò durante il breve regno di Carino, nel 283, e che colpì, come segnala l’unica fonte specifica sull’argomento41, edifici importantissimi come la Curia, il Foro di Cesare, la basilica Giulia e il Graecostadium. La stessa fonte, quando poi ricorda le nuove opere pubbliche di Diocleziano e Massimiano, include gli stessi monumenti – tranne il Graecostadium – tra quelli ricostruiti, aggiungendo: «scaena Pompei, porticus II, nymfea tria, templa II, Iseum et Serapeum, arcus novus, thermas Diocletianas».
I restauri e/o i rifacimenti parziali o totali a cui gli edifici forensi furono sottoposti sono facilmente individuabili poiché la struttura delle cortine murarie in laterizio dell’età di Diocleziano, piuttosto irregolari nella composizione e nell’andamento dei filari di mattoni, è caratteristica e riconoscibile: la si individua chiaramente nel Foro di Cesare42, nella Curia43 e nelle due basiliche Iulia44 ed Aemilia45 (anche se quest’ultima è inspiegabilmente omessa dalla fonte), e anche negli Horrea Agrippiana46, nei Rostra47 e in altri tratti murari degli edifici minori della zona forense. Questi interventi, così come quello relativo ai due portici del teatro di Pompeo, non comportarono tuttavia particolari mutamenti della topografia preesistente, anche se alcuni di essi, come la grande aula della Curia, tuttora esistente, e – per il poco che se ne è potuto vedere – anche gli annessi laterali che giacciono sotto la basilica seicentesca dei Ss. Luca e Martina furono costruiti ex novo negli alzati: gli allineamenti rispetto alle strade e le planimetrie precedenti furono, infatti, quasi totalmente rispettati.
Lo stesso si può dire, in fondo, anche di altri monumenti del tutto nuovi, ma che non sono riportati dalle fonti. Le sette grandi colonne onorarie su basi in laterizio rivestite di marmi48, installate ex novo proprio in età tetrarchica49 nel lato sud della platea forense, contemporaneamente alle altre dieci colonne onorarie, cinque a ovest sui Rostra vetera e cinque a est sui Rostra Diocletiani, aggiunsero, infatti, una nuova e imponente quinta monumentale alla platea forense, senza apportare sostanziali mutamenti alla struttura topografica precedente50.
Le basi dei decennalia (del 293) e dei vicennalia (del 303) di Diocleziano corrispondevano ad altre colonne – di dimensioni comunque assai minori di quelle onorarie – collegate probabilmente anch’esse con i rostri cesariano-augustei presso l’arco di Settimio Severo: anche queste incrementavano la monumentalità del lato ovest del Foro, ma non ne modificavano certo l’assetto. Qualcosa di simile si può dire, infine, a proposito della colonna che nel VII secolo sarà dedicata all’imperatore bizantino Foca, ma che, come molti ritengono, esisteva già in precedenza ed era forse un altro monumento tetrarchico, se non costantiniano51.
Massenzio e Costantino sembrano aver apportato modificazioni piuttosto limitate alla zona centrale del Foro, che era stata appena restaurata e rinnovata dagli immediati predecessori: non è escluso in ogni caso – anzi è stato più volte ipotizzato – che l’uno o l’altro, oppure entrambi, possano aver doverosamente concluso l’opera dei tetrarchi eventualmente lasciata incompleta. Le iscrizioni su basi dedicatorie con i loro nomi (abraso comunque quello di Massenzio), ancora esistenti presso la Curia, sono un segno della loro ‘presenza’ tra i personaggi celebrati davanti alla rinnovata sede del Senato.
È comunque la zona immediatamente a est del Foro, quella verso la Velia, che fu interessata da un imponente intervento di progettazione interamente massenziana.
Il tempio doppio di Venere e Roma52, costruito da Adriano e, per dimensioni, il maggiore esistente nel mondo antico, era stato in gran parte distrutto da un incendio nel 307, e fu allora ricostruito da Massenzio, come risulta da un citatissimo passo di Aurelio Vittore, che suggerisce implicitamente la paternità massenziana quando afferma che, dopo la disfatta dell’usurpatore, il Senato aveva attribuito a Costantino gli edifici costruiti da Massenzio: «Inoltre il senato attribuì ai meriti di Flavio [Costantino] tutte le opere che [Massenzio] aveva costruito con magnificenza, [cioè] il tempio di Roma e la basilica»53.
Lo stesso storico, in quel passo, associa al tempio di Venere e Roma (Urbis fanum) anche una basilica che è da tutti identificata con quella ancora in gran parte esistente, detta appunto di Massenzio o, in alternativa, di Costantino. È del tutto probabile che la damnatio memoriae di Massenzio – considerato tyrannus dopo la vittoria di Costantino – possa essere stata una causa della sostituzione di eventuali iscrizioni dedicatorie massenziane con analoghe costantiniane su entrambi i monumenti, ma è altrettanto intuibile che l’affermazione di Aurelio Vittore sia comunque da intendere in senso non troppo radicale, poiché è piuttosto ovvio che Costantino può essere intervenuto su entrambi i monumenti con completamenti o modificazioni, pur se di entità non valutabile, per terminare le opere di Massenzio che la brusca interruzione del suo regno, peraltro relativamente breve, poteva certamente aver lasciato incompiute. Va però segnalato, in tal senso, che i dati finora considerati oggettivi a proposito dei contributi alla costruzione e decorazione dei due edifici sono stati oggetto di recenti revisioni o aggiornamenti, pur se parziali54.
Un altro monumento della stessa area, il cosiddetto ‘tempio di Romolo’, è stato considerato, nello studio strutturale più recente su di esso55, come opera voluta da Massenzio e dedicata al figlio Romolo, in base a varie monete dell’imperatore nelle quali è rappresentato in più varianti un monumento circolare, a cupola e talvolta anche con prospetto a colonne che però, almeno in alcune delle rappresentazioni, è certamente da identificare con il mausoleo di Romolo della via Appia.
L’intervento di Costantino è stato individuato nella trasformazione della facciata da rettilinea a curvilinea56 ed è comunque attestato da un’iscrizione frammentaria con il nome [---] Constantin [---] che ancora nel XVI secolo si leggeva sulla fronte del monumento dove la vide Onofrio Panvinio57.
Pur sussistendo dubbi sulla reale matrice massenziana di quest’ultimo monumento, è fuori di ogni dubbio che Massenzio – certo in conseguenza dell’incendio del 307 che colpì gli edifici preesistenti nella zona – intervenne in modo incisivo sul lato nord del tratto superiore della via Sacra, da identificare con il clivus Sacer, costruendo una quinta monumentale con la sua basilica e, probabilmente, anche con il tempio di Romolo, e ricostruendo l’enorme monumento che si poneva come prospetto conclusivo sulla Velia, cioè il tempio di Venere e Roma. A Costantino, che trovò questi monumenti – o almeno i due principali – non solo già progettati e strutturati, ma anche quasi del tutto conclusi o prossimi alla conclusione, non restò che eseguire sia l’eventuale e non precisabile completamento strutturale e decorativo sia, più probabilmente, la dedicazione o ridedicazione con il suo nome.
A interventi costantiniani, di entità piuttosto contenuta, ma stavolta nell’area forense vera e propria, indipendentemente da precedenti progetti massenziani o tetrarchici, si attribuiscono, invece, i restauri all’atrio della Casa delle Vestali58 e l’installazione, in adiacenza a quest’ultima, della Statio aquarum, di funzione tuttora non definita e di limitato impegno costruttivo, ma che è comunque documentata da epigrafi e da una statua dedicata a Costantino nel 32859.
Nell’ambito del Palazzo imperiale sul colle Palatino, ove, per il momento, non risulterebbero opere di età costantiniana60, si attribuisce a Massenzio l’aggiunta di un piccolo ma articolato complesso termale61, costruito a strapiombo sulla valle del Circo Massimo nel settore severiano della residenza, cioè oltre il cosiddetto Stadio; il motivo di questa attribuzione è la menzione «thermas in Palatio fecit», che si trova riferita a Massenzio nel cronografo dell’anno 35462. I bolli laterizi attribuibili all’età tetrarchica che sono stati trovati nell’edificio sembrano confermare questa assegnazione, anche se non si può escludere una prosecuzione dei lavori da parte di Costantino. Più dubbia appare invece l’attribuzione a Massenzio, che la Morricone63 suggerisce per un’incisiva ristrutturazione della parte più importante della Domus Flavia (triclinio e ninfei): per questa infatti non risultano riscontri né archeologici né documentari; i tratti murari e i rivestimenti marmorei ascrivibili a tale intervento sembrano più tardi e potrebbero essere successivi all’incendio dell’adiacente tempio di Apollo del 36364.
Se ci si allontana dal Foro si trovano tracce assai più tangibili – o comunque meglio documentabili – di una specifica attività edilizia e urbanistica di Costantino, che viene documentata in dettaglio dal Liber Pontificalis65 e che, essendo collegata con il culto cristiano ‘ufficiale’, non può certo essere considerata una continuazione di precedenti iniziative massenziane. Il primo esempio che viene in mente in tal senso, anche perché legato alla vittoria del 312 e all’editto di Milano del 313, è la costruzione, sull’area delle distrutte caserme degli equites singulares, devoti a Massenzio, dell’enorme basilica cristiana del Laterano66, che fu completata assai presto67 e fu dotata, non molto più tardi, del battistero ottagonale che ancora oggi conserva buona parte della struttura originale (figg. secondo volume V 42, 44, 49)68.
Quel complesso si estendeva, peraltro, anche a vaste aree circostanti che erano di proprietà dell’imperatore e che, anche in seguito, ospitarono edifici pertinenti al nuovo episcopio dell’Urbe.
Si è molto discusso su questa collocazione ‘periferica’ della cattedrale e, si potrebbe dire, del gruppo episcopale di Roma che, essendo anche il più antico e forse il più grande del mondo paleocristiano, è stato certamente una sorta di modello per tale tipo di inserimento, del tutto nuovo per quell’epoca. L’interpretazione più in voga – e tuttora la più frequentata – è quella che mostra un Costantino assai prudente che non vuole urtare l’aristocrazia e la popolazione stessa, ancora in forte maggioranza pagana, e preferisce inserire la cattedrale della religio nova più lontano possibile dal centro della vita pubblica, ove si trovavano anche molti luoghi sacri della religione ‘dei padri’. Certo, per chi studia la personalità e gli atteggiamenti abituali di Costantino risulta difficile vederlo come un personaggio che affronti una qualsiasi iniziativa con ‘discrezione’ e quasi con timidezza, ma si deve anche ammettere che, se trovò lo spazio per costruire le sue grandi terme sul Quirinale, edificio a cui si accennerà tra breve, avrebbe forse potuto trovare anche un’area più centrale per la nuova basilica.
Tuttavia l’interpretazione citata può essere almeno ridimensionata se si pensa che l’enorme estensione della basilica lateranense il cui solo corpo misurava quasi m 100 × 60, ma con gli annessi ricopriva certamente almeno un’area doppia o tripla, difficilmente poteva essere acquisita all’interno della città e tanto meno nella zona centrale di essa.
Non lontano dal complesso lateranense si trovano anche cospicui resti di una delle più impegnative imprese edilizie di Costantino: l’enorme complesso del nuovo Palazzo imperiale, detto poi Sessorium69, che includeva al suo interno l’altra grande chiesa urbana dedicata alla santa croce. È noto che l’imperatore, per questa nuova residenza, riutilizzò in parte il Palatium con circo (allora su;burbano), fatto costruire nell’ambito degli Horti Spei Veteris dai Severi e soprattutto da Eliogabalo, ma mai portato a termine. Tuttavia, oltre ai ripristini delle preesistenti strutture – come le grandi terme, dette poi Helenianae che erano state danneggiate da un incendio – Costantino edificò un’enorme sala di udienze, detta nel Medioevo ‘tempio di Venere e Cupido’70, di cui resta l’intera parte absidale, e altre aule e costruzioni di notevole impegno che dovevano avere un uso prevalentemente pubblico, mentre la parte privata della grandiosa residenza poteva essere, come recentemente proposto71, quella che include la splendida sala decagona con cupola, ancora in parte conservata (il cosiddetto ‘tempio di Minerva Medica’) e che si trova più a nord (figg. VI 14, 15)72.
Il fatto che i due maggiori complessi edilizi costruiti da Costantino a Roma, quello lateranense e quello sessoriano, si trovassero relativamente vicini tra loro e, comunque, nella stessa zona periferica della città, può dar luogo, peraltro, a ulteriori osservazioni, per le quali è preferibile rinviare a una trattazione specifica, già pubblicata73.
In ogni caso, sembra assai probabile che tutta la fascia qui considerata fosse già nel III secolo di proprietà imperiale o comunque pubblica e che, dopo la soppressione degli equites singulares, fosse stata acquisita da Costantino. È ancor più probabile, dunque, che quest’ultimo l’abbia trasformata in un estesissimo polo cristiano che, dalla nuova cattedrale, giungeva alla rinnovata residenza imperiale poi denominata Sessorium, che includeva, come già accennato, un altro grande edificio di culto cristiano: si trattava, in questo caso, di una sorta di santuario (martyrium) denominato Hierusalem per le reliquie della santa croce e degli altri strumenti della Passione di Cristo che vi si conservavano e che provenivano, appunto, da quella città74, ove erano stati raccolti, secondo una tradizione abbastanza antica, da Elena, madre di Costantino.
Questo, dunque, può essere considerato un incisivo ed esteso intervento urbanistico di impronta espressamente cristiana e di committenza specifica dello stesso Costantino, anche se eseguito in un periodo in cui l’imperatore era presente solo saltuariamente nella capitale storica dell’Impero; d’altronde, come poi meglio si vedrà, la presenza materiale dell’imperatore non è una condictio sine qua non per l’esecuzione di grandi installazioni monumentali di committenza imperiale.
Se i dati riportati dal Liber Pontificalis e da altre fonti cristiane del V e VI secolo75 sono basati, come per lo più si ritiene, su documenti ufficiali e sono quindi attendibili, si deve ammettere che la politica di cristianizzazione di Roma, voluta o comunque almeno ‘tollerata’ da Costantino, non si limitò solo alla formazione del ‘polo cristiano’ del Laterano-Sessorium, esteso ma periferico, ma si manifestò anche con l’installazione di altri centri di culto cristiani, legati sia alla partecipazione dell’imperatore sia al solo evergetismo di privati – membri del clero o semplici cristiani devoti –, e presenti in più aree di Roma anche centralissime. Ci si riferisce soprattutto ad alcuni tituli76, cioè le chiese di funzione simile a quella parrocchiale, in varie aree della città, da quello prossimo ai Fori (titulus Marci)77 a quelli di quartieri ad alta densità abitativa come l’Esquilino (titulus Equiti e/o titulus Silvestri)78 e il Trastevere (titulus Iulii)79. Se poi si ammette, secondo un’ipotesi del tutto praticabile, che c’è continuità tra la politica di Costantino e quella dei suoi figli, si devono anche registrare altri due ben più consistenti nuovi insediamenti cristiani di natura non titolare nel cuore della città: la basilica Iulia, che papa Giulio (337-352) installò iuxta Forum Traiani80, e la basilica Liberiana, che il successore Liberio (352-366) stabilì sull’Esquilino81.
Si tratta di due edifici di cui non è restata traccia e dei quali neppure la precisa posizione si è potuta finora stabilire con certezza: ciò nonostante si è in genere concordi nel ritenere che queste basiliche fossero di dimensioni più rilevanti di quelle che si riscontrano nelle ‘chiese titolari’ e che fossero una sorta di edifici-satellite della cattedrale in ambito urbano.
La citata diffusione intramuranea dei centri di culto cristiani nell’età costantiniana non può meravigliare se paragonata con quanto, anche assai più estesamente e in forme ancor più monumentali, si verificò nella stessa epoca al di fuori delle mura. Anche lasciando in disparte la basilica anonima della via Prenestina, della quale non sono ancora chiari né la cronologia né il fondatore, le grandi basiliche cimiteriali circiformi di S. Sebastiano (Basilica Apostolorum)82, S. Agnese (fig. VI 11), Ss. Marcellino e Pietro (fig. VI 9), S. Lorenzo (fig. VI 10)83 e S. Marco84, e quelle più specificamente devozionali di S. Pietro e S. Paolo85 corrispondono a un impegno costruttivo di documentata committenza o, almeno, partecipazione imperiale.
Si tratta in ogni caso di edifici di notevole dimensioni e articolazione, che sono anche testimonianza di uno specifico intento innovativo dal punto di vista dell’architettura86 e che, dal punto di vista topografico, dimostrano quanto intenzionale ed estesa fosse la manifestazione della nuova presenza cristiana in tutta la periferia di Roma, come in una corona esterna che circondava la città intercettando le vie consolari più frequentate: la Cornelia-Aurelia, la Nomentana, la Tiburtina, la Labicana, l’Appia-Ardeatina e l’Ostiense. Va peraltro sottolineato che, sulle strade in cui queste grandi basiliche cimiteriali – poi diventate veri e propri santuari – non erano inserite, si andavano incrementando, contemporaneamente, enormi cimiteri sotterranei, in parte su nuclei preesistenti, con chiese, cappelle e mausolei, nelle zone corrispondenti nel sopraterra così sulla Salaria, la Prenestina, l’Appia, etc.
Anche se questi cimiteri ovviamente erano la prosecuzione di quelli che nei secoli precedenti avevano caratterizzato il suburbio romano, specialmente sulle vie consolari, ora la connotazione cristiana di molti fra i più recenti si andava sovrapponendo sempre più a quella pagana dei più antichi, che continuavano comunque a monumentalizzare gli ingressi a Roma dalle strade che giungevano da ogni parte dell’Impero.
È facile immaginare l’impressione che quanti arrivavano per la prima volta a Roma dovevano ricevere percorrendo le ultime miglia prima di vedere le porte della Regina urbium, nel IV secolo. Un’infinità di personaggi anche famosissimi che avevano fatto la storia della città da circa un millennio si affollava ai due lati di qualunque strada, affacciandosi spesso ‘a mezzo busto’, come a dare il benvenuto un po’ severo e un po’ bonario ai nuovi visitatori, le iscrizioni monumentali ne ricordavano i nomi e i mausolei di forme e dimensioni molto varie ne indicavano il fasto e la prestanza politica. A queste ininterrotte serie di tombe, colombari, recinti e monumenti si erano aggiunti negli ultimi due secoli numerosi sarcofagi, edicole e statue e, in epoca recentissima, imponenti mausolei di imperatori o di membri delle più alte cariche civili: questi ultimi non più compatti e massicci come quelli più antichi che inglobavano le urne in un nucleo cementizio impenetrabile, o essenziali come quelli a semplici camere sepolcrali in laterizio, ma ora con vere pretese architettoniche in forme circolari o ulteriormente articolate, di dimensioni del tutto insolite e con decorazioni interne ed esterne di alto livello qualitativo.
Non si può che restare emozionati pensando non solo allo spettacolo che doveva presentarsi lungo tutta la periferia, da qualunque parte del mondo si provenisse, ma anche e soprattutto al progetto culturale secondo cui gli antenati che avevano ‘fatto’ la città erano poi stati posti al margine delle strade che conducevano al suo interno come ad accogliere i visitatori, o coloro che volevano diventarne i nuovi abitanti, e ad anticipare le meraviglie che costoro avrebbero trovato una volta oltrepassate le mura.
Eppure, nonostante fosse certo difficile intervenire su una scenografia già così efficace e così ben strutturata nel corso di secoli, si deve ammettere che le nuove fondazioni costantiniane aggiunsero una componente monumentale ulteriore e differenziata rispetto al consolidatissimo paesaggio precedente. È infatti probabile che le enormi basiliche funerarie, con l’insolita struttura circiforme e con la loro notevole elevazione, risaltassero in modo particolare e totalmente nuovo rispetto al precedente tessuto monumentale, che si manteneva entro scale dimensionali più omogenee e comunque più contenute. Così le nuove presenze cristiane dovevano manifestarsi come un valore aggiunto per il paesaggio suburbano, piuttosto che come una perturbazione intenzionale o, ancor meno, come un tentativo di sopraffazione sulla solida struttura pregressa. In ogni caso non si può certo negare che le nuove basiliche e i nuovi mausolei dell’età costantiniana dovessero essere di notevole impatto per chi giungeva a Roma.
Tornando entro le mura di Aureliano, bisogna ricordare che Costantino, celebrato soprattutto per i monumenti cristiani di Roma di cui è stato certo iniziatore e ‘inventore’, dedicò le sue cure a Roma anche nel settore delle opere pubbliche. A quelle dell’area Forense si è già accennato, ricordando che, in parte, egli portò a compimento monumenti progettati e iniziati da Massenzio, intervenendo nondimeno con proprie e anche incisive modificazioni. Al di fuori di quest’area, il più importante edificio di pubblica utilità da attribuire, a mio parere, al solo impegno progettuale ed esecutivo di Costantino, nonostante siano stati avanzati dubbi in proposito87, è certamente quello delle Thermae constantinianae88, complesso che portò poi sempre questo nome e che fu installato in un’area che era quasi del tutto priva di grandi impianti termali, cioè la propaggine ovest del colle Quirinale, nella zona ora occupata dal palazzo Rospigliosi-Pallavicini e dalla via XXIV Maggio (fig. VI 13).
Questa nuova opera pubblica, pur se di dimensioni minori rispetto ai tre grandiosi complessi preesistenti e costruiti, nell’ordine, da Traiano, da Caracalla e da Diocleziano e Massimiano, si pone tra i complessi medio-grandi di Roma, insieme alle terme di Nerone e Alessandro Severo, di Tito, di Agrippa e di Decio. Oggi, purtroppo, le strutture originali sono quasi del tutto scomparse a causa delle demolizioni seicentesche che ebbero per oggetto l’intera area, quando si costruirono i palazzi e le strade che ora la occupano. Di esse restano solo alcuni tratti nei sotterranei dei palazzi stessi, ma le varie vedute dei resti ancora imponenti che sussistevano alla fine del XVI secolo, come quella di Stefano du Pérac, e la dettagliata pianta ricostruttiva tracciata da Andrea Palladio quando i ruderi erano ancora leggibili compensano in parte della perdita e permettono di avere un’idea abbastanza precisa del complesso e della sua articolazione del tutto insolita, piuttosto allungata e compresa tra due ampie esedre, una delle quali era una vera e propria terrazza rivolta verso il Foro di Traiano.
Per la loro posizione, queste terme, per costruire le quali si sacrificò un quartiere prevalentemente abitativo con domus anche di buon livello qualitativo, sono di fatto le più centrali di Roma. Esse potevano servire i quartieri ovest dell’Alta Semita e quelli della via Lata, poiché si trovavano al centro del triangolo formato dalle terme Diocleziane, quelle Traiane e quelle Neroniane-Alessandrine (con le prossime Agrippiane).
Degli altri interventi che le fonti permettono di attribuire a Costantino, sembra essere stata progettata ex novo da quell’imperatore la Porticus Constantini89, che doveva trovarsi alle pendici del Quirinale, probabilmente in prossimità dell’attuale basilica dei Ss. Apostoli, ma della quale non sono stati mai rinvenuti resti tangibili. La menzione esplicita che se ne trova nei cataloghi regionari all’interno della descrizione della VII Regio con l’attribuzione a Costantino non fa dubitare della sua esistenza come edificio concreto e quindi non come semplice progetto ma come struttura compiuta e di notevole impatto.
I portici monumentali, o meglio le vie colonnate, dovevano comunque essere numerosi a Roma, come lo erano d’altronde in gran parte delle città tardoantiche. A Roma le lunghissime Porticus Maximae, probabilmente esistenti con qualche altra denominazione (forse via Tecta) già nel I secolo, furono ricostruite al tempo di Graziano, Valentiniano II e Teodosio nel 379-38390, mentre i due portici del teatro di Pompeo, bruciati nell’incendio di Carino del 283, erano stati ricostruiti, poco prima di Costantino, da Diocleziano e Massimiano nel 301-30291. Delle altre numerose vie colonnate, che si conoscono per il nome oppure per le numerose colonne rinvenute negli scavi di varie epoche, purtroppo non è possibile stabilire la datazione, anche se è probabile che molte siano sorte anche nel IV secolo92.
Un altro monumento che, anche sulla base di una prima analisi stilistica e tipologica, si ritiene attribuibile all’età costantiniana è il ben noto arco quadrifronte detto ‘arco di Giano’ (fig. VI 17), che esiste tuttora vicino alla facciata della basilica di S. Giorgio in Velabro. Gli studiosi che se ne sono occupati, per lo più marginalmente, tendono a identificarlo con l’arcus divi Constantini93 registrato nei cataloghi regionari alla fine della Regio XI, subito dopo il Velabrum. L’edificio, indicato anche come Ianus quadrifrons, è un tetrapilo, struttura a quattro pilastri collegati da una volta a crociera, che spesso era posta a monumentalizzare l’incrocio tra due strade e che incontrò un particolare favore nella tarda antichità. Dato che non se ne trovano altre indicazioni oltre a quella citata, non è possibile stabilirne la committenza e la funzione specifica, anche se la sua imponente architettura e la denominazione stessa rendono del tutto praticabile l’attribuzione a Costantino o la dedicazione allo stesso imperatore da parte dei suoi dinasti94, e permettono dunque di includere questo edificio tra gli apporti di età costantiniana all’incremento della monumentalità urbana.
Opera di indubitabile fondazione nella piena età costantiniana, e dedicata appunto in occasione dei decennalia di Costantino, è l’arco trionfale più grande tra quelli noti e cioè l’arcus Constantini95, edificato dal Senato per onorare l’imperatore nel 315 (fig. VI 18). Anche in questo caso si tratta di un grandioso monumento in marmo, pur se ottenuto con parziale reimpiego di elementi scultorei preesistenti96.
Anche la Meta sudans97, una fontana monumentale di origine antichissima che si trovava di fronte al sito poi occupato dall’arco di Costantino, fu ingrandita e restaurata dallo stesso imperatore ed ebbe un più ampio perimetro circolare, che portò l’ingombro dell’intera struttura alla ragguardevole larghezza di oltre venticinque metri: considerando l’altezza di circa diciassette metri del corpo centrale su cui scorreva l’acqua, che aveva la forma delle mete che si trovavano nella spina dei circhi, il monumento ebbe uno sviluppo dimensionale davvero ragguardevole.
La ristrutturazione della Meta sudans si inquadra in un’altra serie di interventi costantiniani; più che nuove costruzioni furono, in effetti, restauri o abbellimenti di famosi edifici di Roma, spesso antichissimi e comunque preesistenti. Tra questi, oltre alla già citata Casa delle Vestali, si ricorderà innanzitutto il Circus Maximus98 che fu allora restaurato e arricchito da nuove decorazioni. Questi lavori dovettero svolgersi nella seconda parte del regno di Costantino, poiché un secondo obelisco che si era progettato di innalzare lungo la spina, a fianco di quello preesistente, postovi da Augusto, giunse a Roma solo dopo la morte dell’imperatore. Ammiano Marcellino, che riporta l’episodio con un certo dettaglio99, narra che il monolito – che è il più grande tra quelli innalzati a Roma e si trova ora a fianco della basilica lateranense – era stato rimosso, appunto per ordine di Costantino, dal tempio del Sole di Alessandria ed era stato imbarcato per la spedizione a Roma quando l’imperatore morì; lo stesso autore precisa inoltre che, quando il monolito giunse dall’Egitto e fu depositato nel Circo Massimo, nessuno ebbe il coraggio di affrontare i problemi dell’innalzamento finché Costanzo II, in occasione della sua unica visita a Roma nel 357, affrontò con successo questa complessa operazione.
Altre menzioni del Circo, pur se generiche, che si trovano nel panegirico anonimo100 dedicato a Costantino nel 313 (ma letto probabilmente a Treviri) fanno pensare che, all’indomani della battaglia di ponte Milvio, il Circo Massimo fosse in piena efficienza, e quindi non fosse in restauro già prima di Costantino; un altro panegirico, scritto da Nazario per Costantino e letto nel 321 a Roma (in assenza dell’imperatore, ma forse in presenza di qualcuno dei figli), parla di «rutilantes auro columnae» e «sublimes porticus» del Circo Massimo attribuendoli appunto all’intervento costantiniano, evidentemente già in atto101. Questi dati confermano l’ipotesi secondo la quale i lavori sarebbero da collocare nella piena e tarda età costantiniana102 e quindi, almeno in questo caso, sarebbero del tutto indipendenti da qualunque ipotetico intervento precedente103.
Del secondo panegirico citato si deve peraltro tener conto – pur se con ovvie riserve – anche per la generica indicazione di uno specifico interesse di Costantino non solo per l’abbellimento della città, ma anche per la conservazione e il restauro degli edifici di cui Roma era già abbondantemente provvista: «Celeberrima quaeque Urbis novis operibus enitescunt; nec obsoleta modo per vetustatem redivivo cultu insigniuntur, sed illa ipsa quae antea magnificentissima putabantur, nunc anni luce fulgentia indecoram maiorum parsimoniam prodiderunt»104.
A questa serie di importanti ristrutturazioni si potrebbe forse ascrivere anche quella della Moneta105, l’antica zecca ricostruita da Domiziano e Traiano presso l’attuale S. Clemente dopo l’incendio di quella, ancora più antica, del Campidoglio. Il fatto che la rivolta dei monetarii sotto Aureliano sia stata causa di grossi danni al precedente edificio è ben noto, ed è altrettanto noto che durante il regno di Massenzio era in uso una zecca di rilevante capacità produttiva nella vicina Ostia, il che autorizza a pensare che gli edifici di quella di Roma fossero, almeno in parte, ancora fuori uso oppure in restauro.
Due iscrizioni106 con il nome di Costantino, forse entrambe dedicate dai monetarii (solo nella prima, che è integra, risulta il loro nome), possono far pensare che la ricostruzione delle officinae monetariae urbane sia stata conclusa da Costantino, anche se non sappiamo se fosse stata iniziata, come tante altre opere citate, da Massenzio.
Ricordando gli enormi ambienti con cupola che abbiamo indicato nel cosiddetto tempio di Minerva Medica e nel calidarium delle terme costantiniane, viene da riflettere, infine, sulla probabile predilezione per le strutture a cupola che Costantino manifestò evidentemente in quei monumenti e nei mausolei imperiali che almeno in parte si possono ricondurre alla sua committenza.
Altre enormi cupole di Roma, anzi, le più grandi dopo quella mai eguagliata del Pantheon, possono essere attribuite a Costantino o ai suoi figli, almeno come restauro o rifacimento; si pensi a quella del calidarium delle terme di Caracalla, del diametro di circa trentacinque metri, in cui è stata ritrovata un’iscrizione su un architrave curvilineo, pubblicata a suo tempo da Antonio Maria Colini107 e poi più volte oggetto di studio108.
In tale epigrafe, di notevoli dimensioni, sono riportati i nomi di tre augusti (ddd nnn), uno dei quali è Costantino, che figurano come committenti di un intervento su quella parte del complesso. Cospicui resti di murature lungo il lato più esterno della rotonda e alcuni bolli dell’epoca fanno pensare insistentemente a un intervento non certo insignificante di Costantino su quella stessa parte dell’edificio e con ogni probabilità sulla cupola, dopo un cedimento della parte esterna.
Un’altra iscrizione, che reca stavolta il nome di Costanzo II109, è stata collegata ad un restauro – assai poco studiato – delle terme di Agrippa110, anch’esse dotate, al centro, di una enorme cupola; i resti murari della base della rotonda centrale che si possono vedere ancora negli edifici di via dell’arco della Ciambella, presso il Pantheon, mostrano una struttura laterizia databile al IV secolo111. Si tratta in ogni caso di restauri o rifacimenti di strutture precedenti, ma è pur vero che non è insolito trovare il nome di Costantino legato a edifici con grandi cupole, alcune delle quali hanno avuto quell’imperatore come committente o come autore di restauri e/o ripristini.
Anche se l’edilizia abitativa urbana non è certo ascrivibile alla committenza imperiale, è forse qui opportuno darne un breve cenno perché proprio nell’età di Costantino, o comunque dall’età tardoantica, si assiste a un notevole cambiamento delle tipologie abitative o, meglio, all’introduzione invasiva di nuove mode dell’abitare, soprattutto per le classi aristocratiche. È noto che nel tessuto urbano caratteristico della piena età imperiale le abitazioni occupavano certamente vaste aree ed erano fondamentalmente di due tipi: le domus, destinate a residenza unifamiliare, e le case ad appartamenti, che si è soliti indicare con il termine, pur improprio, di insulae. Proprio a partire, pur se approssimativamente, dall’inizio del IV secolo, si manifesta una richiesta di domus di nuova concezione, cioè non più della tradizionale forma a base ortogonale con ambienti di forma per lo più rettangolare o quadrangolare disposti intorno a uno o più cortili, ma di struttura assai più articolata e con ambienti mistilinei a disposizione irregolare, con sale absidate o a pianta centrale, anche con cupole e con decorazioni di marmi policromi d’importazione112. A parte l’aspetto interno, questo nuovo tipo di residenza aristocratica comportò un vero e proprio cambiamento del paesaggio urbano, poiché al lineare profilo degli edifici precedenti si sostituì un nuovo panorama, assai più movimentato dalle alte aule absidate o polilobate e dalle cupole, con emergenze del tutto insolite rispetto al precedente skyline, come si vede, d’altronde, anche in alcuni panorami urbani riprodotti, pur se schematicamente, in sculture e mosaici dell’epoca. Inoltre, nello stesso periodo, gli edifici del tipo insula, già da tempo ‘fuori produzione’, venivano spesso demoliti o adattati per far posto alle nuove domus tardoantiche113, causando quei mutamenti certo non insignificanti del tessuto urbano, che possiamo considerare un’ulteriore caratteristica della Roma costantiniana e poi, più genericamente, tardoantica.
L’insieme dei dati segnalati, pur se in sintesi, nelle pagine precedenti sembra indicare, nell’età tetrarchica e costantiniana, una sorta di continuità dell’impegno edilizio di committenza imperiale nell’area urbana e suburbana di Roma, e ciò in contrasto, almeno parziale, con le interpretazioni che vogliono vedere una sorta di forte impulso costruttivo nel periodo di Diocleziano e Massimiano, completato e potenziato da Massenzio e poi ‘spento’ da Costantino. In effetti, nella città non sembra ci sia stato mai un lungo periodo di totale stasi costruttiva nel periodo indicato, che, senza dubbio, ha inizio con uno specifico e incisivo impulso dell’attività edilizia, testimoniato, peraltro, dall’evidente riorganizzazione della produzione laterizia legata all’avvento di Diocleziano114. La relativa continuità cui si è accennato non implica necessariamente anche una omogeneità degli interventi delle tre principali committenze del periodo, e cioè, semplificando al massimo, quelle di Diocleziano-Massimiano, di Massenzio e di Costantino (e figli). Il periodo tetrarchico, infatti, è caratterizzato da due imprese predominanti: la prima è quella relativa al nuovo, enorme complesso termale dioclezianeo, che resterà poi il maggiore del mondo conosciuto; la seconda, più articolata, è quella che comportò il necessario ripristino del Foro e delle sue adiacenze (dopo il disastroso incendio di Carino del 283, di cui si intendeva cancellare le tracce) e che, comunque, fu anche l’occasione per incrementare la monumentalità del Foro stesso e per ‘aggiornarne’ le strutture e le decorazioni.
Massenzio invece, pur se probabilmente coinvolto nella conclusione di alcune – ma forse non molte – delle imprese edilizie volute dai suoi predecessori (forse soprattutto le colonne onorarie, che sembrano, appunto, coincidere con un momento conclusivo di quella articolata serie di rifacimenti), scelse soprattutto l’area della Velia per le monumentalizzazioni che dovevano portare il suo nome e, oltre a ciò, estese forse il suo intervento anche al Palatium, pur se solo in un’area limitata, e costruì la sua nuova e monumentale residenza con circo e mausoleo dinastico nel suburbio, lungo l’Appia.
Gli studiosi sono concordi nel ritenere che la brusca interruzione, forse neanche del tutto prevedibile, del regno di Massenzio abbia comportato l’incompiutezza di qualcuna – o forse di gran parte – delle opere che lui aveva intrapreso e specialmente di quelle più impegnative. In quest’ottica, allora, le interpretazioni fin qui avanzate sull’eventuale ‘quota di partecipazione’ dell’uno o dell’altro dei due imperatori nelle opere citate vanno forse riprese in esame.
Lo studio approfondito dei bolli laterizi di età tardoantica e l’inquadramento cronologico proposti da Margareta Steinby115 hanno portato a ritenere che la produzione di laterizi di specifica committenza costantiniana fosse piuttosto esigua e che, di fatto, alla morte di Massenzio fosse rimasto un grosso esubero di mattoni ancora inutilizzato – predisposto per un programma costruttivo massenziano ben più ampio di quello realizzato o iniziato – cui Costantino attinse sia per completare alcune opere quasi concluse sia per costruire gli edifici cristiani, dei quali non si può certo negargli la paternità. In quest’ottica alcune opere pubbliche, come, ad esempio le terme di Costantino, prima mai attribuite a Massenzio, sono state considerate opere da lui progettate e concluse semmai da Costantino, che vi avrebbe poi apposto il suo nome. Come base di questa interpretazione si assume in effetti la già ricordata e significativa menzione di Aurelio Vittore116, che, tuttavia, si riferisce in modo esplicito a due soli edifici, specificando che quelli sono i cuncta opera di Massenzio, ai quali, perciò, non si vede perché si debbano associare anche le terme del Quirinale. Considerando poi che quello scrittore si dimostra un fautore di Massenzio piuttosto che di Costantino, si dovrebbe considerare del tutto attendibile la sua affermazione che circoscrive le opere massenziane a questi due soli grandi monumenti117, ai quali si deve comunque aggiungere l’enorme villa dell’Appia. La brevità del regno di Massenzio, della quale anche Filippo Coarelli tiene conto, si accorda in effetti piuttosto bene con l’interpretazione appena avanzata e fa sorgere qualche dubbio anche a proposito del cosiddetto ‘tempio di Romolo’.
Volendo riassumere in qualche modo l’insieme degli interventi monumentali di età costantiniana nella città di Roma e nel suburbio, ci si accorge che si trattò di un impegno di notevolissima volumetria, che non viene troppo sminuito lasciando alcune opere alla paternità massenziana. È possibile registrare, infatti, all’interno della città le terme costantiniane del Quirinale, la Porticus Constantini, ai piedi del colle stesso, l’Arcus divi Constantini, il tetrapilo del Velabro, la Statio aquarum del Foro, la residenza imperiale del Sessorium con l’enorme basilica detta ‘tempio di Venere e Cupido’, l’adiacente grande quartiere residenziale – a suo tempo da me interpretato come settore privato del Sessorium118 – che include il cosiddetto ‘tempio di Minerva medica’, la grande basilica Martyrium della Santa Croce detta Ierusalem, la ‘basilica costantiniana’ del Laterano, il battistero lateranense e le altre più antiche chiese cristiane in cui la committenza privata si incrociò con quella imperiale (titulus Equiti Silvestri, titulus Marci, titulus Iulii, Basilica Iulia iuxta forum Traiani, etc.).
A questi monumenti, in gran parte costruiti ex novo, si devono aggiungere gli incisivi interventi di restauro, talvolta con aggiunte di notevole impegno architettonico, alle terme di Agrippa (zona centrale con cupola), a quelle di Caracalla (calidarium con cupola), a quelle eleniane, al Circo Massimo, alla Moneta, alla Casa delle Vestali.
Passando dall’urbs al suburbio, registriamo l’enorme basilica vaticana sulla tomba di S. Pietro, quella, di minori dimensioni, della via Ostiense, sulla tomba di S. Paolo, e quelle circiformi legate alla vicinanza delle sepolture di S. Lorenzo, Ss. Marcellino e Pietro, S. Agnese, S. Sebastiano (memoria apostolorum), alle quali si devono aggiungere quella anonima della via Prenestina, che potrebbe anche essere precedente a Costantino, e quella costruita da papa Marco sull’Ardeatina, che, cronologicamente, si pone piuttosto nell’epoca immediatamente successiva all’imperatore e coincidente con il regno dei suoi figli. Si deve anche ricordare che in adiacenza a queste grandi basiliche furono eretti, proprio in età costantiniana o, semmai, in epoca non troppo lontana da essa, enormi mausolei: quello noto come Tor Pignattara, nato probabilmente come sepolcro di Costantino e comunque utilizzato a tale scopo dalla madre Elena; quello, ancor più complesso nella decorazione, destinato alla figlia Costantina; e, forse, quello annesso alla basilica vaticana. Se è possibile, da un lato, che questi monumentali edifici abbiano preso spunto da quelli sicuramente precedenti di Diocleziano a Spalato e di Massenzio sull’Appia (e forse anche di quello anonimo di Tor de’ Schiavi sulla Prenestina), destinati alla sepoltura di membri di altre dinastie imperiali, è pur vero che un’analisi ravvicinata delle tipologie strutturali permette di individuare significative differenze tra i mausolei costantiniani e quelli precedenti119.
Questo panorama, pur se si operassero in esso eventuali ridimensionamenti o espunzioni, non sembra corrispondere a un intervento urbanistico di portata limitata: si deve dunque ammettere che Costantino non trascurò la città di Roma, come spesso si vuole affermare, anche perché il suo interesse per la fondazione di una nuova grande città, a lui intitolata, nacque più di un decennio dopo la battaglia di ponte Milvio e comunque fu sviluppato, pur se molto intensamente, solo dopo i suoi vicennalia del 326. Per valutare la continuità dell’impegno costruttivo dell’imperatore nella vecchia capitale basterà tener conto dei cantieri delle grandi basiliche, che restarono certamente attivi per gran parte dell’intera età costantiniana.
Il vasto panorama dell’attività edilizia di Costantino nella capitale dell’Impero, fin qui delineato, è stato talvolta messo in discussione sulla base della sua limitata presenza a Roma, ma a questa osservazione si può facilmente opporre la realtà oggettiva di altre testimonianze di realizzazioni monumentali costantiniane.
Sappiamo infatti, almeno per qualche opera di notevole impegno, come ad esempio il Santo Sepolcro di Gerusalemme (fig. VI 48), che Costantino ne gestì personalmente il progetto, ma soltanto ‘a distanza’, inviando lettere o persone di fiducia e, addirittura, scegliendo o facendo scegliere i materiali da inviare. Egli, infatti, non fu mai presente durante i lavori – forse non fu mai neppure a Gerusalemme – e così fece probabilmente per gran parte delle imprese edilizie da lui volute e commissionate o sollecitate. D’altronde, la particolare intensità dell’attività di costruzione e rinnovamento che corrispose al lungo regno di Costantino non sarebbe stata giustificabile se fosse stata richiesta la presenza dell’imperatore in così tanti luoghi e per tempi così lunghi, come quelli necessari alla realizzazione dell’enorme quantità di interventi, documentabili anche in gran parte delle città dell’Impero e nei luoghi che conservavano le memorie delle origini della religione cristiana120: solo Costantinopoli ebbe in effetti il privilegio di una più prolungata presenza del suo fondatore e, probabilmente, di una sua più diretta partecipazione al progetto urbanistico e alla realizzazione di esso, almeno nella sua prima fase.
1 Tra le numerose opere che dedicano particolare attenzione alla Roma tetrarchico-costantiniana, pur se talvolta all’interno di trattazioni di argomento più generale, si ricorderanno qui di seguito solo quelle più significative, privilegiando quelle che in qualche modo dedicano una più o meno specifica attenzione al tema topografico e urbanistico e, comunque, riportando in particolare quelle più recenti: C. Pietri, Roma christiana: Recherches sur l’Église de Rome, son organisation, sa politique, son idéologie de Miltiade à Sixte III (315-440), 2 voll., Roma 1976; R. Krautheimer, Rome. Profile of a City 312-1308, Princeton 1980; F. Coarelli, L’urbs e il suburbio, in Società romana e impero tardoantico, II, Roma: politica, economia, paesaggio urbano, a cura di A. Giardina, Bari 1986, pp. 1-58, 395-412, cfr. in partic. § 1, Ristrutturazione urbanistica e ristrutturazione amministrativa nella Roma di Massenzio, pp. 1-35; J. Durliat, De la ville antique à la ville byzantine. Le problème de subsistences, Roma 1990, pp. 113-117; F.A. Bauer, Stadt, Platz und Denkmal in der Spätantike: Untersuchungen zur Ausstattung des öffentlichen Raumes in den spätantiken Städten Rom, Konstantinopel und Ephesos, Mainz 1996; F. Coarelli, L’edilizia pubblica a Roma in età tetrarchica, in The Transformations of Urbs Roma in Late Antiquity, ed. by W.V. Harris, Portsmouth 1999, pp. 23-33; F. Guidobaldi, Architettura e urbanistica: dalla città-museo alla città santa, in Roma imperiale. Una metropoli antica, a cura di E. Lo Cascio, Roma 2000, pp. 315-352; R. Santangeli Valenzani, La politica urbanistica tra i tetrarchi e Costantino, in Aurea Roma. Dalla città pagana alla città cristiana (catal.), a cura di S. Ensoli, E. La Rocca, Roma 2000, pp. 41-44; R.R. Holloway, Constantine and Rome, New Haven 2004; F. Guidobaldi, Caratteri e contenuti della nuova architettura dell’età costantiniana, in Rivista di Archeologia Cristiana, 80 (2004), pp. 233-276; P. Liverani, L’edilizia costantiniana a Roma: il Laterano, il Vaticano, S. Croce in Gerusalemme, in Costantino il Grande. La civiltà antica al bivio tra Occidente e Oriente (catal.), Rimini 2005, a cura di A. Donati, G. Gentili, Milano 2005, pp. 74-81; J. Bardill, Constantine, Divine Emperor of the Christian Golden Age, Cambridge 2011; T.D. Barnes, Constantine: Dynasty, Religion and Power, in The Later Roman Empire, Chichester 2011; Rom und Mailand in der Spätantike: Repräsentationem städtischer Räume in Literatur, Arkitektur und Kunst (Topoi, 4), hrsg. Th. Fuhrer, Berlin, 2012; F. Coarelli, Roma, Roma-Bari 20124; Two Romes, Rome and Constantinople in Late Antiquity, ed. by L. Grig, G. Kelly, Oxford-New York 2012.
2 F. Guidobaldi, Caratteri e contenuti, cit., in partic. 333-343, a cui si rimanda per un’ampia bibliografia sul problema storiografico.
3 Solo Augusto, infatti, regnò per ben quarantuno anni – e quindi assai più a lungo di Costantino – nei tre precedenti secoli, e comunque solo altri tre imperatori raggiunsero e/o superarono di poco anche i venti anni, e cioè Tiberio, Adriano, Antonino Pio e Diocleziano.
4 Dopo Costantino gli imperatori il cui regno fu più longevo furono: Costanzo II (circa ventiquattro anni), Onorio (circa ventotto anni), Teodosio II (circa trentadue anni, ma dall’età di sette anni), Anastasio (circa ventisette anni) e Giustiniano (circa trentotto anni); dopo Giustiniano si deve comunque giungere a Costantino VII Porfirogenito (913-959) per vedere superata la longevità del regno di Augusto.
5 A. Riegl, Spätrömische Kunstindustrie nach den Funden in Österreich-Ungarn, Wien 1901.
6 F. Guidobaldi, Caratteri e contenuti, cit., pp. 238-240.
7 Si veda per esempio la Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea e dei suoi continuatori, Socrate e Sozomeno.
8 In effetti qualche riferimento più utilizzabile si trova semmai nella Vita di Costantino di Eusebio di Cesarea.
9 Sono giunti fino a noi cinque panegirici rivolti a Costantino, quattro dei quali sono anonimi (Paneg. 7, del 307, rivolto anche a Massimiano per le nozze della figlia Fausta con Costantino; Paneg. 6, del 310; Paneg. 5, del 311; Paneg. 12, del 313), e solo uno di questi è relativo al periodo immediatamente successivo alla battaglia del 312; del quinto (Paneg. 10, del 321), invece, è noto anche l’autore, che è il retore Nazario. È solo in quest’ultimo e in quello del 313 che si trovano riferimenti concreti a Roma e alla battaglia di ponte Milvio.
10 Zosimo, invece, è assai povero di notizie su Roma nel periodo che qui interessa, tranne che per quanto riguarda la battaglia di ponte Milvio (Zos., II 15-16), che descrive in dettaglio, e per qualche altro accenno a edifici, come, ad esempio, la segnalazione dell’incendio del tempio della Fortuna a Porta Collina, intorno al 308 (Zos., II 13) e della distruzione dei Castra Praetoria da parte di Costantino nel 312 o poco oltre (Zos., II 17,2). Alla Costantinopoli precostantiniana e costantiniana, invece, questo autore dedica una seppur limitata attenzione: di entrambe fornisce infatti una sommaria descrizione topografico-monumentale, omettendo ovviamente qualunque riferimento agli edifici cristiani (Zos., II 17). Interessante o, quantomeno, originale è infine la valutazione, generica e comunque negativa, sull’attività edilizia di Costantino, considerato uno sperperatore di denaro pubblico poiché aveva costruito moltissimi edifici inutili, alcuni dei quali, peraltro, erano crollati subito dopo, dato che erano stati costruiti troppo in fretta e non erano abbastanza solidi (Zos., II 32,1).
11 Si può solo rammaricarsi della perdita dei libri I-XIII dei Rerum gestarum libri di Ammiano Marcellino, nei quali era riportata la storia dell’Impero romano da Nerva fino alla metà circa del IV secolo; è noto che questa prima parte doveva necessariamente essere in forma piuttosto sintetica, ma è anche presumibile che la struttura riassuntiva si andasse dilatando in modo graduale verso quella assai dettagliata, giunta fino a noi, e che quindi il periodo tetrarchico o, almeno, quello massenziano e costantiniano fossero trattati con una certa ricchezza di particolari.
12 Mi riferisco soprattutto al Breviarium di Eutropio e al Liber de Caesaribus di Aurelio Vittore.
13 Reg. urb., passim; Curios. urb., passim.
14 Inutile ricordare che la raccolta unica e insostituibile delle iscrizioni rinvenute a Roma si trova nel VI volume del Corpus inscriptionum latinarum che viene continuamente aggiornato. Tuttavia, dato che tale opera, ordinata per tipologia e committenza delle iscrizioni, purtroppo non è ancora dotata di un indice dei luoghi di ritrovamento delle medesime, è stato in genere utilizzato il Lexicon Topographicum Urbis Romae (cfr. infra) per individuare quelle rilevanti ai fini di una topografia di età costantiniana.
15 Si dispone oggi di un prezioso strumento di collegamento tra i monumenti di Roma e le relative fonti epigrafiche nel Lexicon Topographicum Urbis Romae di Margareta Steinby, a cui si farà costante riferimento nelle pagine seguenti, anche perché le varie voci presentano, di norma, una sintesi degli studi fino agli anni Novanta con la relativa bibliografia pregressa. A tale citazione sarà affiancata quella relativa alla guida archeologica di Coarelli (Roma, cit.) che aggiorna le interpretazioni fino al 2012, anche se, data la struttura editoriale, non riporta la bibliografia se non in forma generale alla fine del volume.
16 M. Steinby, L’industria laterizia di Roma nel tardo impero, in Società romana e impero tardoantico, II, cit., pp. 99-164.
17 Non è possibile dar conto della sterminata produzione scientifica di Rodolfo Lanciani, in gran parte reperibile in decine e decine di annate del Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma, delle Notizie degli scavi di antichità comunicate alla R. Accademia dei Lincei e in altre importanti riviste scientifiche italiane, oppure nelle innumerevoli comunicazioni al periodico inglese Athenaeum (queste ultime raccolte nel volume R. Lanciani, Notes from Rome, ed. by A.L. Cubberley, Rome 1988), o nelle sue fondamentali monografie in lingua inglese, destinate al più colto pubblico anglosassone, o nei suoi volumi della Storia degli scavi di Roma restati in parte manoscritti e solo recentemente portati in stampa; si indicheranno quindi nelle note successive solo quelli più aderenti al nostro tema di ricerca.
18 Oltre ai già ricordati volumi (V-VII) sulla storia degli scavi di Roma che erano rimasti allo stato di manoscritto (R. Lanciani, Storia degli scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità, V-VII, Roma 1996-2002), sono stati pubblicati anche gli appunti manoscritti sugli scavi del periodo ‘umbertino’ conservati alla Biblioteca Apostolica Vaticana: Appunti di topografia romana nei codici Lanciani della Biblioteca Apostolica Vaticana, 5 voll., a cura di M. Buonocore, Roma 1997-2001.
19 Si tratta di una delle monografie pubblicate in inglese e, tra queste, è quella specificamente topografica, e contiene numerosissime notizie, raccolte in una piacevole sintesi, corredata peraltro di accurata ed esauriente bibliografia: R. Lanciani, The Ruins and Excavations of Ancient Rome. A Companion Book for Students and Travelers, Boston-New York 1892.
20 R. Lanciani, Forma Urbis Romae, Milano 1893-1901.
21 La principale base topografica per gli studiosi del XVII-XVIII secolo è certamente F. Nardini, Roma antica, Roma 1666, con edizioni successive nel 1689, 1771 e 1818-1820.
22 G. Lugli, I monumenti antichi di Roma e suburbio, 3 voll. e suppl., Roma 1930-1940.
23 Dopo una prima edizione che non includeva i monumenti paleocristiani (cfr. F. Coarelli, Guida archeologica di Roma, Milano 1974), è stata pubblicata con una nuova struttura nel 1980 e continuamente riveduta a più riprese fino alla riedizione del 2008 che oggi (2012) è giunta alla quarta edizione (F. Coarelli, Roma, cit.).
24 H. Jordan, C. Huelsen, Topographie der Stadt Rom im Alterthum, Berlin 1871-1907.
25 S.B. Platner, T. Ashby, A Topographical Dictionary of Ancient Rome, Oxford 1929.
26 Lexicon Topographicum Urbis Romae, 6 voll., a cura di M. Steinby, Roma 1993-2000.
27 Lexicon Topographicum Urbis Romae – Suburbium, 5 voll., a cura di V. Fiocchi Nicolai, M.G. Granino Cecere, Z. Mari, Roma 2001-2008.
28 F. Coarelli, L’edilizia pubblica, cit.
29 F. Coarelli, L’urbs, cit.
30 M. Steinby, L’industria laterizia, cit.
31 R. Krautheimer, Rome, cit.
32 R.R. Holloway, Constantine and Rome, cit.
33 F.A. Bauer, Stadt, Platz, cit.; cfr. anche Id., Die Stadt Rom, cit.
34 J. Bardill, Constantine, cit.
35 Two Romes, cit.
36 J. Durliat, De la ville antique, cit., pp. 113-117.
37 F. Coarelli, La consistenza della città nel periodo imperiale: pomerium, vici, insulae, in La Rome impériale. Démographie et logistique, Actes de la table ronde (Rome 25 mars 1994), Roma 1997, pp. 89-109, in partic. 107.
38 E. Lo Cascio, Le procedure di recensus dalla tarda repubblica al tardo antico e il calcolo della popolazione di Roma, in La Rome impériale, cit., pp. 3-76.
39 F. Coarelli, La consistenza, cit., p. 107.
40 Sono di recente pubblicazione gli atti di un convegno dedicato a questa nuova istituzione, alla sua struttura tecnica e operativa, ai criteri di raccolta dei dati, alle finalità istituzionali e alle prospettive di sviluppo e utilizzazione di questo utile e moderno strumento di studio, già in parte operativo (SITAR, Sistema Informativo Territoriale Archeologico di Roma, Atti del I Convegno [Roma 26 ottobre 2010], a cura di M. Serlorenzi, Roma 2011).
41 Chronogr. a. 354, chron. I, p. 148, ed. Mommsen: «operae publicae arserunt: senatum, forum Caesaris, basilica Iulia et Graecostadium».
42 LTUR II, C. Morselli, s.v. Forum Iulium, pp. 299-306; F. Coarelli, Roma, cit., pp. 124-130.
43 LTUR I, E. Tortorici, s.v. Curia Iulia, pp. 332-334; F. Coarelli, Roma, cit., pp. 62-64.
44 LTUR I, C.F. Giuliani, P. Verduchi, s.v. Basilica Iulia, pp. 177-179; F. Coarelli, Roma, cit., pp. 81-82.
45 LTUR I, E.M. Steinby, s.v. Basilica Aemilia, pp. 167-168; F. Coarelli, Roma, cit., pp. 52-54.
46 LTUR III, F. Astolfi, s.v. Horrea Agrippiana, pp. 37-38.
47 LTUR IV, P. Verduchi, s.v. Rostra Diocletiani, pp. 217-218.
48 Purtroppo tutti rimossi insieme alle relative iscrizioni dedicatorie.
49 La datazione a questa epoca è stata ricavata dai bolli rinvenuti sui laterizi dei basamenti (F.A. Bauer, Stadt, Platz, cit., pp. 42-43).
50 Anche per i due Rostra si veda la trattazione specifica in: ivi, pp. 21-25.
51 C.F. Giuliani, P. Verduchi, L’area centrale del Foro Romano, Firenze 1987; F.A. Bauer, Stadt, Platz, cit., pp. 44-46.
52 LTUR IV, A. Cassatella, s.v. Venus et Roma, aedes, pp. 121-123; F. Coarelli, Roma, cit., pp. 118-119.
53 Nel Liber de Caesaribus Aurelio Vittore, trattando in modo decisamente sintetico dei monumenti edificati da Massenzio, così si esprime: «Adhuc cuncta opera, quae magnifice construxerat, Urbis fanum atque basilicam, Flavii meritis patres sacravere» (Aur. Vict., Caes. 40,26).
54 A Costantino è sempre stata attribuita l’aggiunta alla basilica dell’abside nord, appartenente con evidenza a una seconda fase. Tuttavia, curiosamente, all’interno della più recente monografia sul monumento (The Basilica of Maxentius. The Monument, Its Materials, Construction and Stability, a cura di G. Giavarini, Roma 2005) appaiono due tesi contrastanti. Il contributo di M.C. Amici, From Project to Monument, ivi, pp. 21-74, sembra mantenere, pur se genericamente, questa interpretazione, mentre quello di Stefano Coccia e Anna G. Fabiani (Le indagini archeologiche recenti, ivi, pp. 30-49) dà il resoconto di scavi stratigrafici che dimostrerebbero che la stessa abside è assai più tarda (fine IV secolo) e quindi non costantiniana. Filippo Coarelli, al quale debbo questa interessante indicazione e che qui ringrazio per gli utilissimi suggerimenti e i costruttivi dialoghi sull’argomento, ha sottolineato questa nuova possibilità in un suo recentissimo contributo nel quale, peraltro, ribadisce in modo definitivo l’interpretazione dell’edificio massenziano come basilica giudiziaria, collegata con l’adiacente Praefectura urbis: cfr. F. Coarelli, La basilica di Massenzio e la Praefectura urbis, in Istituzioni, carismi ed esercizio del potere (IV-VI secolo d.C.), Atti del Convegno (Perugia 25-27 giugno 2008), a cura di G. Bonamente, R. Lizzi Testa, Bari 2010, pp. 133-146; F. Coarelli, Roma, cit., pp. 114-115. Per il tempio di Venere e Roma, nel quale finora l’opera di Costantino non era stata ipotizzata in modo specifico, solo in questi ultimi tempi è stata avanzata l’ipotesi di due fasi decorative, una delle quali potrebbe essere costantiniana (cfr. E. Monaco, Il Tempio di Venere e Roma. Appunti sulla fase del IV secolo, in Aurea Roma, cit., pp. 58-60). M.C. Amici, From Project to Monument, in The Basilica of Maxentius, cit., pp. 21-74.
55 F.P. Fiore, L’impianto architettonico antico, in G. Flaccomio, Il «Tempio di Romolo» al Foro Romano, in Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architettura, 26 (1980), fasc. 157-162, in partic. 63-90; F. Coarelli, L’urbs, cit., 10-20; LTUR IV, E. Papi, s.v. Tempio di Romolo, pp. 210-212; F. Coarelli, Roma, cit., pp. 106-108.
56 F.P. Fiore, L’impianto architettonico, cit.
57 O. Panvinio, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 6780, f. 45r.
58 F. Coarelli, Roma, cit., p. 103.
59 LTUR IV, P. Burgers, s.v. Statio aquarum, pp. 347-349; F. Coarelli, Roma, cit., pp. 87 e 367-368.
60 Ma a tal proposito si deve ricordare che gli studi sul complesso del palatium sono assai limitati e comunque la continuazione dei lavori attribuiti a Massenzio può essere pur sempre collegata a Costantino.
61 LTUR V, A. Capodiferro, s.v. Thermae maxentianae, p. 60.
62 G. Carettoni, Scoperte avvenute in occasione di lavori di restauro al Palazzo imperiale, in Notizie degli scavi di antichità, 1971, pp. 300-320; Id., Terme di Settimio Severo e Terme di Massenzio in Palatio, in Archeologia Classica, 24 (1972), pp. 96-104; e J. Herrmann, Observations on the Baths of Maxentius in the Palace, in Römische Mitteilungen des D.A.I., 83 (1976), pp. 403-424.
63 M.L. Morricone Matini, Roma: Reg. X, Palatium, Roma 1967, pp. 80-84, in partic. 82-83.
64 F. Guidobaldi, A. Guiglia Guidobaldi, Pavimenti marmorei di Roma dal IV al IX secolo, Città del Vaticano 1983, pp. 31-37.
65 Le Liber Pontificalis, éd. par L. Duchesne, 2 voll., Paris 1886-1892.
66 Ivi, I, pp. 172-174.
67 R. Krautheimer, S. Corbett, A.K. Frazer, Corpus basilicarum christianarum Romae. The Early Christian Basilicas of Rome, V, Città del Vaticano 1980, pp. 1-96, in partic. 93-94.
68 Le Liber Pontificalis, cit., pp. 174-175; O. Brandt, F. Guidobaldi, Il battistero Lateranense: nuove interpretazioni delle fasi strutturali, in Rivista di Archeologia Cristiana, 84 (2008), pp. 189-282.
69 LTUR IV, F. Guidobaldi, s.v. Sessorium, pp. 304-308; F. Coarelli, Roma, cit., pp. 269-273.
70 Dato il nome non collegabile con l’epoca antica né per funzione, né per dedicazione, questo enorme edificio costantiniano è stato citato e studiato solo occasionalmente. I recenti restauri ne hanno comunque messo in evidenza l’imponente struttura e hanno permesso di accertarne la cronologia nell’età costantiniana (M. Barbera, Dagli Horti Spei Veteris al Palatium Sessorianum, in Aurea Roma, cit., pp. 126-128; F. Coarelli, Roma, cit., pp. 104-112).
71 F. Guidobaldi, Il «tempio di Minerva Medica» settore privato del Sessorium Costantiniano, in Rivista di Archeologia Cristiana, 74 (1998), pp. 485-518. La datazione costantiniana proposta a suo tempo, in base ai bolli laterizi ancora in situ nel monumento (G. Caraffa, La cupola della sala decagona degli Horti Liciniani. Restauri 1942, Roma 1944), è stata ripresa in un più vasto lavoro sui bolli laterizi tardoantichi (M. Steinby, L’industria laterizia, cit., in partic. 118-119, 124 e 141) ove si avanza, pur se dubitativamente, una ipotesi alternativa per una datazione massenziana. Dato che gli stessi bolli laterizi (CIL XV 1576 e 1622) si ritrovano, oltre che nel cosiddetto tempio di Minerva Medica, nelle terme di Costantino e in altri edifici massenziani conclusi da Costantino, sembra più logico attribuirli a quest’ultimo, piuttosto che ipotizzare che anche le terme del Quirinale fossero opera di Massenzio, malgrado nessuno gliele abbia mai ascritte.
72 F. Coarelli, Roma, cit., pp. 258-259.
73 F. Guidobaldi, Sessorium e Laterano: il nuovo polo cristiano della Roma costantiniana, in Atti della giornata di studio tematica dedicata al Patriarchio Lateranense (Roma 10 maggio 2001), a cura di P. Liverani, in Mélanges de l’École française de Rome. Antiquité, 116 (2004), pp. 11-15.
74 Le Liber Pontificalis, cit. pp. 179-180.
75 Per una interessante raccolta di fonti anche poco note sugli edifici paleocristiani di Roma cfr. V. Saxer, L’utilisation par la liturgie de l’espace urbain: l’exemple de Rome dans l’Antiquité et le haut Moyen Âge, in Actes du XIe Congrès international d’archéologie chrétienne (Lyon, Vienne, Grenoble, Genève et Aoste 21-28 septembre 1986), Roma 1989, pp. 917-1032.
76 Per l’inserimento topografico dei tituli cfr. F. Guidobaldi, L’inserimento delle chiese titolari di Roma nel tessuto urbano. Osservazioni e implicazioni, in Quaeritur, inventus colitur, Miscellanea in onore di padre Umberto Maria Fasola B., Città del Vaticano 1989, pp. 381-396; Id., L’organizzazione dei tituli nello spazio urbano, in Christiana Loca, Lo spazio cristiano nella Roma del primo millennio, a cura di L. Pani Ermini, Roma 2000, pp. 123-129.
77 Le Liber Pontificalis, cit., p. 202.
78 Ivi, pp. 171-172 e 187.
79 Ivi, p. 205.
80 Ibidem.
81 Ivi, p. 208.
82 Solo questa basilica non è registrata nel Liber. Si rinvia comunque alla recentissima monografia di A.M. Nieddu, La Basilica Apostolorum sulla via Appia e l’area cimiteriale circostante, Città del Vaticano 2009.
83 Per queste tre basiliche cfr. Le Liber Pon;tificalis, cit., pp. 180-183.
84 S. Marco è stata l’ultima a essere scoperta e anche l’ultima ad essere stata costruita; cfr. V. Fiocchi Nicolai, La nuova basilica circiforme della via Ardeatina, in Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, 68 (1995-1996), pp. 69-233.
85 Le Liber Pontificalis, cit., pp. 176-179; R. Krautheimer, S. Corbett, A.K. Frazer, Corpus basilicarum, cit., pp. 97-169 (per S. Paolo, ma soprattutto per la basilica di fine IV-inizio V secolo) e pp. 171-298, per la basilica vaticana.
86 Cfr. F. Guidobaldi, Leggere l’architettura costantiniana, in questa stessa opera.
87 L’ipotesi di una iniziale progettazione massenziana di queste terme è stata avanzata da Margareta Steinby sulla base della sua approfondita analisi dei bolli laterizi tardoantichi di Roma (E.M. Steinby, L’industria laterizia, cit., p. 142), ma la presenza di mattoni massenziani insieme a quelli costantiniani può essere anche spiegata, come suggerito dalla stessa autrice, con il reimpiego, da parte di Costantino, di laterizi della precedente produzione massenziana, rimasti inutilizzati. In ogni caso la struttura architettonica dell’edificio suggerisce insistentemente una matrice stilistica costantiniana piuttosto che relativa al periodo di Massenzio.
88 LTUR V, S. Vilucchi, s.v. Thermae constantinianae, pp. 49-51; F. Coarelli, Roma, cit., p. 308.
89 LTUR IV, S. Vilucchi, s.v. Porticus constantini, pp. 119-120; F. Coarelli, Roma, cit., p. 306 (solo un cenno che la indica «non lungi dalla piazza dei Ss. Apostoli»).
90 LTUR IV, F. Coarelli, s.v. Porticus maximae, p. 130.
91 LTUR IV, P. Gros, s.v. Porticus Pompei, pp. 148-149; F. Coarelli, Roma, cit., pp. 327-374.
92 Certo è che nell’età altomedievale e medievale ne esistevano alcune che si trovavano anche fuori le mura e monumentalizzavano gli itinera ad martyres, cioè le strade che conducevano ai santuari più importanti del suburbio, come quelli di S. Pietro, S. Paolo, S. Lorenzo, etc., ma una parte di queste doveva essere anche decisamente più tarda del IV secolo.
93 LTUR I, D. Palombi, s.v. Arcus divi Con;stantini, p. 91; F. Coarelli, Roma, cit., p. 419.
94 LTUR III, F. Coarelli, s.v. Ianus Quadrifrons, p. 94; Id., Roma, cit., p. 418 (con ipotesi di attribuzione a Costanzo II).
95 LTUR I, A. Capodiferro, s.v. Arcus Constantini, pp. 86-91; F. Coarelli, Roma, cit., pp. 200-203.
96 P. Pensabene, C. Panella, Arco di Costantino. Tra archeologia e archeometria, Roma 1999.
97 LTUR III, C. Panella, s.v. Meta sudans, pp. 247-249; F. Coarelli, Roma, cit., p. 203.
98 LTUR I, P. Ciancio Rossetto, s.v. Circus Maximus, pp. 272-277; Id., Il Circo Massimo, in Aurea Roma, cit., pp. 126-128; F. Coarelli, Roma, cit., pp. 422-424.
99 Amm., XVII,4.
100 Riferendosi ai soldati vincitori a ponte Milvio che lasciavano Roma per spostarsi, dopo la sosta di qualche mese, verso le frontiere del nord, l’autore anonimo così si esprime: «Iam obliti deliciarum Circi maximi et Pompeiani theatri et nobilium lavacrorum Rheno Danubioque praetenduntur» (Paneg. 12,21).
101 Paneg. 10,35.
102 Si deve qui precisare che gli scavi recenti eseguiti nella zona sud del circo, sotto la direzione di Paola Ciancio Rossetto, che qui ringrazio vivamente per avermene confermato con ampi dettagli le risultanze, ancora in parte inedite, non hanno evidenziato fasi costruttive attribuibili all’intervento costantiniano; tuttavia si deve tener conto della situazione attuale dei resti superstiti, che sono pertinenti al solo primo ordine, mentre è del tutto probabile che le aggiunte costantiniane fossero a livelli assai più alti (sublimes porticus).
103 Anche se si tiene conto della parzialità dei contenuti dei panegirici, le generiche menzioni citate, associate alla solida attendibilità di Ammiano Marcellino, permettono di escludere che anche questo restauro fosse una ulteriore ‘appropriazione’ costantiniana di un intervento di Massenzio.
104 Paneg. 10,35.
105 F. Coarelli, Moneta. Le officine della zecca di Roma tra Repubblica e Impero, in Annali dell’Istituto Italiano di Numismatica, 38-41 (1994), pp. 23-66; Id., Roma, cit., pp. 218-219.
106 CIL VI 1145-1146.
107 A.M. Colini, Notiziario di scavi, scoperte e studi intorno alle antichità di Roma e della Campagna romana, in Bullettino della Commissione Archeologica del Governatorato di Roma, 67 (1939), pp. 210-211.
108 J. DeLaine, The baths of Caracalla. A study in the design, construction, and economics of large-scale building projects in imperial Rome, Portsmouth 1997, in partic. 37-40 e figg. 26-27; LTUR V, M. Piranomonte, s.v. Thermae antoninianae, pp. 42-48, in partic. 46; F. Coarelli, Roma, cit., pp. 428-432, che però non tiene conto dell’epigrafe e parla solo di restauri dell’età di Diocleziano.
109 CIL VI 1165.
110 LTUR V, G. Ghini, s.v. Thermae Agrippae, pp. 40-42; F. Coarelli, Roma, cit., p. 375.
111 Ringrazio amichevolmente Giuseppe Conte, cui ho affidato lo studio del monumento, per avermi confermato tali dati, ricavati nel corso dei sopralluoghi che sta effettuando per completare il suo studio di prossima pubblicazione.
112 F. Guidobaldi, L’edilizia abitativa unifamiliare nella Roma Tardoantica, in Società Romana e Impero Tardoantico, II, Roma. Politica, economia, paesaggio urbano, a cura di A. Giardina, Bari 1986, pp. 165-237 e 446-460; Id., Le domus tardoantiche di Roma come “sensori” delle trasformazioni culturali e sociali, in The Transformations of Urbs, cit., pp. 56-68; C. Machado, Aristocratic Houses and the Making of Late Antique Rome and Constantinople, in Two Romes, cit., pp. 136-158.
113 F. Guidobaldi, Le abitazioni private e l’urbanistica, in Roma antica, a cura di A. Giardina, Bari 2000, pp. 133-161, in partic. 152-158.
114 M. Steinby, L’industria laterizia, cit.
115 Ibidem.
116 Aur. Vict., Caes. 40,26: «Adhuc cuncta opera, quae magnifice construxerat, Urbis fanum atque basilicam, Flavii meritis Patres sacravere».
117 Non va dimenticato, peraltro, che il notevole impegno edilizio, relativo alla enorme residenza suburbana, con circo e mausoleo, iniziata e quasi conclusa da Massenzio, si deve aggiungere a quello urbano, nel quale si debbono includere anche il cosiddetto tempio di Romolo (almeno per la sua fase iniziale) e le terme del Palatium per le quali l’attribuzione a Massenzio non è stata finora posta in discussione.
118 F. Guidobaldi, Il «tempio di Minerva Medica», cit.
119 Basterà qui ricordare, ad esempio, che i mausolei precostantiniani sono tutti dotati di camera sepolcrale sotterranea, assente invece in quelli costantiniani, che sono dotati di ampi finestrati, assenti o assai ridotti in quelli di età tetrarchica. Per l’analisi delle architetture dell’età costantiniana si rinvia comunque a un altro contributo incluso in questa stessa opera (F. Guidobaldi, Leggere l’architettura costantiniana).
120 Si confrontino, in tal senso, sia il contributo segnalato nella nota precedente sia quelli dedicati alla descrizione delle città più importanti dell’Impero nella stessa epoca.