Lupi, Roldano (propr. Squassoni Lupi, Rolando)
Attore teatrale e cinematografico, nato a Milano l'8 febbraio 1909 e morto a Roma il 13 agosto 1989. Alternando teatro e cinema, conquistò un posto di rilievo nello spettacolo sfruttando il suo aspetto da romantico avventuriero e una recitazione sobria e moderna. Da ricordare anche la sua intensa stagione di interprete dei grandi sceneggiati televisivi italiani.
L. sembrava avviato alla professione di geometra quando il teatro gli spalancò altre prospettive. Nel 1941, non più giovanissimo, entrò nella compagnia di Ruggero Ruggeri, dopo alcune esperienze nelle filodrammatiche. Passò in seguito alla rivista nella compagnia Za-Bum e tornò rapidamente al teatro drammatico diretto da Vito Pandolfi e Alessandro Blasetti. Il cinema lo scoprì nel 1942, grazie al regista Ferdinando M. Poggioli che lo fece scritturare per Sissignora e gli offrì la parte del protagonista in Gelosia, dove, nel ruolo del marchese di Roccaverdina, seduce una giovane contadina interpretata da Luisa Ferida, diva del cinema del fascismo. Sul grande schermo, in particolare, si specializzò in ruoli di eroe fascinoso e per lo più negativo che con varie sfumature ripropose in Il cappello da prete (1944) ancora di Poggioli, tratto dal romanzo di E. De Marchi, in Il testimone (1946) di Pietro Germi, in Il delitto di Giovanni Episcopo (1947) di Alberto Lattuada e in L'edera (1950) diretto da Augusto Genina e tratto dal libro di G. Deledda. Sono soltanto alcuni dei titoli di una lunga filmografia che dagli anni Quaranta arriva fino agli anni Sessanta, passando attraverso rievocazioni storiche e musicali come Casa Ricordi (1954) di Carmine Gallone e partecipazioni a film in coproduzione come L'affaire des poisons (1955; Il processo dei veleni) di Henri Decoin, Le comte de Monte-Cristo (1961; Il conte di Montecristo) di Claude Autant-Lara. Con Mario Camerini ‒ che aveva come lui attraversato il periodo del regime per approdare al cinema del dopoguerra, ben diverso dalle commedie brillanti realizzate negli anni Trenta ‒ tentò la strada del film di avventura esotica impersonando il ruolo, di secondo piano, di un maragià sia in Kali Yug, la dea della vendetta sia in Il mistero del tempio indiano, entrambi realizzati nel 1963. Fu la televisione a ricordarsi di L. e a fargli interpretare tra il 1958 e i primi anni Sessanta una serie fortunata di sceneggiati, basati su adattamenti di famosi testi letterari: Canne al vento di Mario Landi, Mont Oriol di Claudio Fino, L'isola del tesoro e Una tragedia americana, entrambi questi ultimi per la regia di Anton Giulio Majano. Nel 1964 Sandro Bolchi gli affidò la parte di nonno Gillenormand in I miserabili. Così, di sceneggiato in sceneggiato, L. dimenticò il cinema e il doppiaggio (al quale si era dedicato nell'immediato dopoguerra) e continuò a lavorare per il piccolo schermo. Le sue ultime apparizioni televisive furono in Murat ‒ Generale napoleonico, dal 1808 al 1815 re di Napoli (1975) e in Manon (1977) di Bolchi. La maschera dell'avventuriero era stata intanto sostituita da ruoli di aristocratici e notabili, così ricorrenti nella cosiddetta televisione pedagogica del tempo.