Barthes, Roland
Filosofo e semiologo francese, nato a Cherbourg (Manche) il 12 novembre 1915 e morto a Parigi il 26 marzo 1980. Figura fondamentale nel panorama culturale francese del dopoguerra, B. si occupò costantemente di cinema, pur non essendoci un'opera, tra quelle pubblicate in vita, completamente dedicata a questo argomento. Le sue teorie sul linguaggio e la significazione sono state un costante punto di riferimento non solo per la semiologia, ma anche per le elaborazioni storiche sul cinema. In particolare, importante fu il contributo dello studioso all'affermarsi, negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, della nouvelle critique, che, in contrapposizione alla tradizione accademica, vedeva nel testo produttore di segni ‒ e non solo nell'autore ‒ il luogo privilegiato dell'analisi letteraria. Dopo la morte del padre, avvenuta durante la Prima guerra mondiale, B. trascorse l'infanzia a Bayonne. Frequentò quindi a Parigi il Lycée Montaigne e il Lycée Louis-le-Grand. Nonostante problemi di salute, nel 1939 riuscì a conseguire la laurea in lettere classiche all'Université de la Sorbonne. Iniziò quindi la sua attività di insegnamento, dapprima in alcuni licei in Francia e in seguito in istituti francesi in Romania e in Egitto. Dal 1952 condusse ricerche per il Centre national de la recherche scientifique, ricoprendo poi (1960-1976) vari incarichi all'École pratique des hautes études. Tornato all'insegnamento, fu visiting professor alla John Hopkins University di Baltimora, e dal 1976, fino alla morte, tenne la cattedra di semiologia letteraria al Collège de France. Nel 1979 partecipò come attore, nel ruolo dello scrittore William Thackeray, al film di André Téchiné Les sœurs Brontë (Le sorelle Brontë). Se il cinema è da B. indicato inizialmente come laboratorio di produzione segnica ‒ in Le problème de la signification au cinéma (pubblicato in "Revue internationale de filmologie", 1960, 32-33; trad. it. in Sul cinema, 1994, pp. 51-59) e in La recherche des unités traumatiques au cinéma (in "Revue internationale de filmologie", 1960, 34; trad. it. in Sul cinema, 1994, pp. 60-69) ‒ e il film si rivela testo autonomo in grado di essere significante, rivelatore dell'ideologia di una cultura al di là dell'intenzione dell'autore ‒ in Mythologies (1957; trad. it. 1962) ‒, nelle opere più mature è proprio il problema della fascinazione dell'immagine in generale, e di quella filmica in particolare, a mostrare i limiti di ogni traduzione del film in un sistema di segni analogo al sistema della lingua. B. individua quindi nel problema della definizione del 'filmico' il banco di prova della ricerca semiologica, il limite a partire dal quale vanno ridefiniti il fondamento stesso e la funzione della semiologia. In Principi e scopi dell'analisi strutturale (in "Nuovi argomenti", 1966, 2) egli afferma che il cinema, nonostante si presenti apparentemente come riproduzione del mondo, è in effetti un sistema complesso di segni che, se da una parte rimandano alla realtà ‒ producendo un 'effetto di natura' che fa credere allo spettatore di assistere a un evento reale ‒, dall'altra si rivelano costruzioni culturali e non naturali. È però nell'importante saggio Le troisième sens: notes de recherches sur quelques photogrammes de S.M. Eisenstein (in "Cahiers du cinéma", 1970, 222, poi in L'obvie et l'obtus, 1982; trad. it. 1985, pp. 42-61) e quindi in Diderot, Brecht, Eisenstein (in "Revue d'esthétique, 1973, 2-4, poi in L'obvie et l'obtus, 1982; trad. it. 1985, pp. 89-97), che individua la specificità del cinema come sistema di produzione di segni. B. definisce infatti sens obtus ("senso ottuso", dal lat. obtusus: smussato, di forma arrotondata) quel supplemento di senso che non si riduce né all'informazione che l'immagine offre, né al simbolo cui rimanda. Quello 'ottuso' è, secondo B., un terzo senso che sfugge al linguaggio o, meglio, ne evidenzia l'infinita apertura, strutturando 'altrimenti' il film senza sovvertirne il significato: è l'atto fondatore del filmico stesso, che, irriducibile a ogni codice, si basa sul rapporto emozionale tra immagine e osservatore. Dunque, il senso 'ottuso' si riferisce a tutti quegli elementi della visione difficili da definire concettualmente, che caratterizzano il cinema come sistema non totalmente riconducibile al rapporto significante-significato. Attraverso il fotogramma, in cui per B. (che quindi nega la caratterizzazione primaria del cinema come 'immagine in movimento') si rivela l'essenza del 'filmico', il film si mostra strumento in grado di sovvertire l'apparato categoriale della semiologia, e nell'analisi dello studioso la ricerca si apre nella direzione di una trans-semiologia, volta a superare il primato dei sistemi di segni basati sulla linguistica.
F. Casetti, Teorie del cinema. 1945-1990, Milano 1993, pp. 227-30 e passim.
G. Marrone, Il sistema di Barthes, Genova 1994, pp. 154-61.
S. Toffetti, In lotta col demone, in R. Barthes, Sul cinema, Genova 1994, pp. 9-17.
F. Casetti, Un produttivo gioco d'azzardo, e L. Termine, Un festival di affetti chiamato cinema, in R. Barthes, I segni e gli affetti nel film, Firenze 1995, pp. 7-13 e 81-167.