ROGERI de Pacienza
ROGERI de Pacienza (de Patientia). – Nacque a Nardò (Lecce) nella seconda metà del Quattrocento, in data incerta, così come è incerta la grafia stessa del secondo elemento onomastico.
Nel ms. F 27 della Biblioteca comunale Augusta di Perugia in cui sono contenute le sue opere, il Balzino e il Triunfo, prevale la forma Rogeri de Pacientia, reso in Pacienza da Mario Marti, il principale studioso di Rogeri. Il frontespizio del Balzino attesta la sua origine salentina, indicando precisamente «composto per Rogeri de Pacienza de la cità de Neritò».
Nel 1493 «Rogerius de Patientia, laicus Neritin. diocesis» era al seguito di Luigi Paladini, viceré in Terra d’Otranto, che si recava a Roma presso Alessandro VI come ambasciatore di re Ferdinando I d’Aragona per la simbolica offerta della chinea bianca. Il suo nome ricorre, infatti, in una lettera credenziale per Paladini, firmata da Ferdinando e sottoscritta da Giovanni Pontano, citata in un manoscritto di memorie della famiglia Paladini compilato da Giovanni Antonio Coletta di Galatina (Bacile, 1898). Già in precedenza, da epoca imprecisata, Rogeri aveva rapporti con la famiglia Paladini.
Questi legami sono ben attestati dal citato manoscritto perugino, destinataria del quale è Giulia Paladini, baronessa di Campi Salentina (figlia di Luigi e moglie di Belisario Maremonte) della quale Rogeri si dice «devoto servitore» (Lettera I, in Rogeri de Pacienza, 1977, p. 53); fu per soddisfare la sua richiesta di leggere «alcuna parte» del Balzino e del Triunfo, e quella di sua madre Caterinella Morosina, desiderosa di avere un resoconto del viaggio di Isabella Del Balzo dalla Puglia a Napoli, che Rogeri indirizzò loro il manoscritto «non manco spinto da la mia sincera servitù che per li receputi benefici» (ibid.).
Sebbene dal Balzino non emerga una cronologia precisa dei suoi spostamenti, è possibile seguire Rogeri in terra di Puglia e poi alla volta di Napoli, dando credito alle rare ricorrenze dell’espressione «vidi» e alle sue affermazioni d’esser stato o meno testimone di alcuni eventi riferiti con maggiore dovizia di particolari. Non era presente ad Andria nel 1487 al matrimonio di Isabella Del Balzo con Federico d’Aragona («Io non ce fui, ma li compagni mei / me dicon cose che me fan star smorto», Libro I, vv. 733 s.), né l’anno successivo ebbe modo di assistere alla visita che re Ferdinando fece alla principessa, ormai madre di Ferrandino («quelli ce fo, dirmelo non sanno / quanti baron lo venne accompagnare», vv. 787 s.).
Nel 1496 si trovava a Campi Salentina per il battesimo di Federico Maria Maremonte, figlio di Giulia Paladini e Belisario («vidi in casa del baron…», Libro IV, vv. 171 s.), e forse a Carpignano il 12 ottobre di quell’anno, quando giunse a Isabella notizia della morte di Ferdinando (vv. 289 ss.) e, dunque, della successione al trono di suo marito Federico e della nomina di suo figlio Ferrandino a duca di Calabria. Nel maggio del 1497 Rogeri era a Lecce, da dove Isabella intraprese il viaggio trionfale che l’avrebbe condotta a Napoli, e fu testimone dell’omaggio che gentiluomini e gentildonne resero alla regina in partenza («De San Cesario vidi Ioannella / cum vulto assai modesto e molto umano», vv. 704 s.), ma stranamente non ebbe modo di vedere l’avvio del corteo trionfale («per ditto di quellor che li contorno […] del suo partir se facea gran pianto», vv. 803 ss.).
Risulta difficile stabilire quale ruolo Rogeri ricoprisse nella corte pugliese di Isabella Del Balzo: nella citata lettera a Giulia Paladini accenna genericamente a «innumerabile mie occupacione e facende», specificando altrove (nella Lettera II, in Rogieri de Pacienza, 1977, p. 54, ad Antonia Del Balzo) di aver scritto le operette «con breve intermissione e poco disconzo de le faccende a le quale per debito era obligato».
A partire dalla sosta di Isabella presso il castello di Campi Salentina nell’estate del 1497, Rogeri fu presente nelle varie tappe pugliesi che condussero la regina fino a Barletta e le descrisse minutamente, da testimone oculare (cfr. l’intero Libro V). Nell’ottobre del 1497 Rogeri assisté all’ingresso di Isabella in Castel Capuano a Napoli (Libro VII, vv. 747 ss.) e il 13 febbraio 1498 era nella folla osannante che accolse re Federico che tornava vittorioso dall’impresa di Salerno (cfr. Libro VIII, vv. 905 ss.).
A Napoli non riuscì a inserirsi nella corte aragonese. Gli elogi al giovane duca Ferrando nel Balzino fanno intuire che Rogeri desiderava forse entrare al suo servizio per affiancare i precettori ufficiali Antonio Guevara e Crisostomo Colonna, così come le dediche ad Antonia Del Balzo sia del Balzino sia del Triunfo inducono a credere che Rogeri sperasse, al contempo o in alternativa, una collocazione al seguito della sorella della regina Isabella.
Fu nel biennio 1497-98 che Rogeri maturò il proposito di redigere Lo Balzino, poemetto encomiastico, che narra «la origine e discesa de l’inclita e felicissima casa Del Balzo, e de la vita con la avversa e prospera fortuna de la serenissima signora nostra diva Isabella Del Balzo, nova regina del Regno di Sicilia» (così la didascalia introduttiva).
Lo Balzino è un poema in otto libri in ottava rima, ciascuno preceduto da due sonetti: nel primo, di contenuto amoroso e dedicato a una donna ignota, «parla lo autore al libro»; nel secondo se ne riassume «la continencia». Secondo le circostanziate considerazioni di Mario Marti, la genesi dell’opera potrebbe risalire a momenti successivi: tra il giugno e il settembre del 1497 Rogeri avrebbe posto mano all’opera a seguito della notizia dell’assunzione di Isabella Del Balzo a regina di Napoli, mentre si trovava a Barletta; il Balzino sarebbe stato poi ripreso e completato a Napoli tra il febbraio e l’ottobre del 1498. Il poemetto, che fonde lo stile del cantare con la narrazione odeporica, l’agiografia e la cronaca, racconta le alterne vicende della vita di Isabella Del Balzo: dalla sua nascita (1465) al matrimonio con Federico d’Aragona (Andria, 28 novembre 1487); dal soggiorno pugliese quale principessa di Altamura e duchessa di Andria e Venosa alla notizia della proclamazione di Federico a re di Napoli (1496). È dedicato ad Antonia Del Balzo (sorella di Isabella), vedova di Gianfrancesco Gonzaga signore di Sabbioneta. Servendosi di uno stile «bascio, rozo e tenue», in cui non mancano rime «inconte e ruze» (troncamenti arditi, endecasillabi ipometri e ipermetri, rime imperfette, assonanze), il poeta si rivolge alternativamente alla dedicataria, alle donne del corteggio di Isabella (menzionate attraverso vertiginosi elenchi di nomi), ma anche al pubblico di anonimi lettori e ascoltatori delle sue narrazioni.
Il viaggio a tappe che, a partire dal maggio del 1497, condusse Isabella da Lecce a Barletta e di qui a Napoli per il trionfo di Federico (13 febbraio 1498) è narrato meticolosamente. Si ricava una notevole mole di informazioni e descrizioni circa le tappe pugliesi del primo soggiorno di Isabella e del successivo viaggio trionfale verso Napoli (le festose accoglienze locali, le liste di personaggi che accompagnano in corteo, accolgono o salutano Isabella). L’autore, testimone oculare, attinge per la stesura a propri appunti e brogliacci, ma inserisce non di rado tra le ottave brani di poesie e prose recitati in presenza di Isabella. Sono inserti per lo più anonimi, ma talvolta dovuti a illustri umanisti (Mario Equicola, Girolamo Colonna); né mancano squarci di plurilinguismo, tra testi in italiano e latino, in un impasto franco-salentino e persino in croato.
Risale invece al 1499 il Triunfo, secondo poema encomiastico per Isabella Del Balzo.
Il Triunfo è tradito dal citato manoscritto perugino F27 e anch’esso dedicato ad Antonia Del Balzo. In terza rima, mescola il motivo del trionfo con quello della visione (i Trionfi di Francesco Petrarca e l’Amorosa visione di Giovanni Boccaccio) per rivolgere un più raffinato elogio alla regina Isabella. L’operetta è posteriore rispetto a Lo Balzino, non perché nella dedica Rogeri dichiara di averla aggiunta «al fine de la precedente» (potrebbe infatti riferirsi alla successione del manoscritto), ma in ragione di elementi interni a essa. Espliciti sono i vv. 505-513, in cui è contenuto il riferimento a Lo Balzino quale poema caratterizzato da non pochi riferimenti elogiativi per Giulia Paladini e altre Giulie (si veda, per esempio, il Libro IV, vv. 675 ss.). Quanto alla data, i vv. 103 s. riferiscono l’età di Isabella Del Balzo («trenta un anno so’ ch’al ciel compiacque / mandar sì chiaro e glorïoso lume»), mostrando un primo termine a quo (1496-97) che avanza di un biennio grazie ai vv. 298 ss. (nascita di Ferdinando, aprile 1499). L’apparizione della regina Isabella (su un carro trionfale che la condurrà a Roma, attorniata da un folto drappello di donne festose sia reali sia attinte dal mito e dalla storia antica), avviene – come spiega la dedica – in una mattina di maggio.
Accanto ai numerosi riferimenti alla casata d’Aragona e Del Balzo, Rogeri fa delle sue opere un catalogo onomastico delle varie famiglie nobili del Regno (soprattutto pugliesi), a essa imparentate o legate da vincoli di amicizia e servitù. Non risultano menzionati letterati o artisti aragonesi, se si eccettuano Girolamo Colonna (fratello di Crisostomo, precettore di Ferdinando), di cui vengono riportati alcuni distici elegiaci nel Balzino (Libro VI, vv. 161 ss.) e Mario Equicola, «un pöeta, / iovene dotto, con manere sante, / chiamato misser Marïo de Albeta» (ibid., vv. 935-937) del quale pure viene inserito un lungo brano in distici elegiaci recitato a Barletta.
Non si hanno notizie sulla data e sul luogo della morte di Rogeri.
La fortuna delle opere fu nulla; il nome di Rogeri non è ricordato da autori coevi. Bisognerà attendere Benedetto Croce, che nel 1897 rispolverò Lo Balzino per tratteggiare il ritratto di Isabella Del Balzo sulle pagine dell’Archivio storico per le province napoletane (poi raccolto in Storie e leggende napoletane). In anni più vicini a noi Rogeri e la sua opera furono valorizzati grazie ai contributi di Marti, culminati negli anni Settanta nell’edizione critica (1977) di entrambe le opere e proseguiti sporadicamente nei decenni successivi. Da allora Lo Balzino, in particolare, è divenuto fonte preziosa per gli studiosi di storia della lingua, dello spettacolo e della letteratura odeporica; né va dimenticato l’importante e originale inserimento, nel tessuto dei versi (precisamente durante un festeggiamento per Isabella a Gioia del Colle: cfr. Libro V, vv. 625 ss.), di un’antica bugarštica (ballata) in serbo-croato che costituisce una testimonianza significativa sulla presenza slava nell’Italia meridionale del Cinquecento.
I poemi di Rogeri sono editi in Opere (cod. per. F 27), a cura di M. Marti, Lecce 1977.
Fonti e Bibl.:Perugia, Biblioteca comunale, Mss., F.27 (descriz. in www.adamap.it); B. Croce, Isabella Del Balzo Regina di Napoli (1897), in Id., Storie e leggende napoletane, a cura di G. Galasso, Milano 1990, pp. 179-208; F. Bacile, Per un manoscritto, in La provincia di Lecce, 28 febbraio 1898 (poi in Id., Scritti vari di arte e di storia, con lettera di B. Croce e discorso di A. Perotti, Bari 1915, pp. 119-125); S. Panareo, Isabella Del Balzo in terra d’Otranto secondo un poema inedito del tempo, Trani 1906; R. Moscardino, Lo Balzino di R. de P. Poema inedito del secolo XV, in La Zagaglia. Rassegna di scienze, lettere e arti, I (1959), 2, pp. 44-55; 3, pp. 39-49; M. Marti, Per un’edizione del “Balzino” di R. de P. de Neritò; le lettere di dedica e la struttura del codice, in L’Albero, 1976, n. 55, pp. 35-50: Id., Ipotesi editoriale per R. de P. (cod. per. F 27), ibid., 1976, n. 56, pp. 99-124; R. de P. di Nardò: notizie e problemi (cod. per. F 27), in Giornale storico della letteratura italiana, CLIV (1977), pp. 45-72; Id., Un carme inedito di Mario Equicola per Isabella del Balzo, in Letterature comparate. Problemi e metodo. Studi in onore di Ettore Paratore, Bologna 1981, pp. 1319-1328 (poi in Id., Recuperi. Scavi linguistico-letterari fra Due e Seicento, Galatina 2014, pp. 41-52); Id., Proposte e appunti linguistici sul Balzino di R. de P., in Lingua e storia in Puglia, 1982, 15, pp. 9-20; E. De Felice - T. Fiore, L’impasto linguistico del Balzino di R. de P., in Lingua e storia in Puglia, 1984, n. 24, pp. 121-148; F.S. Perillo, Una città chiamata Ljuba: presenza slava a Gioia del Colle, in Prilozi za književnost, jezik, istoriju i folklor (Contributi sulla letteratura, lingua, storia e folklore), LI-LII (1988), pp. 25-53; M. Pantic, Un ignoto canto popolare del XV secolo, in Italia Belgradensia, III (1990), pp. 47-66; A. Guillou, Une fête slave à Gioia del Colle, in Studi in onore di Giosué Musca, Bari 2000, pp. 221-223; R. Nigro, Burchiello e burleschi, Roma 2002, pp. 653-658; R. Coluccia, Lingua e politica. Le corti del Salento nel Quattrocento, in Letteratura, verità e vita. Per Gorizio Viti, a cura di P. Viti, Roma 2005, pp. 129-172; M. Marti, Da Dante a Croce. Proposte consensi dissensi, Galatina 2005, pp. 105-114; C.A. Addesso, Un campionario della festività aragonese. Lo Balzino di R. de P. e il genere dell’intramesa, in Ead., Teatro e festività nella Napoli aragonese, Firenze 2012, pp. 119-140.