Abstract
Le rogatorie costituiscono lo strumento giuridico attraverso cui, in forza di accordi internazionali, l’autorità giudiziaria procedente ottiene il compimento, da parte di organi di altro Stato, di atti del procedimento penale su territorio estero, così da superare le rigide preclusioni connesse al principio di sovranità. L’istituto sembra destinato ad una funzione sempre più residuale, atteso il progressivo affermarsi di nuove forme di cooperazione giudiziaria, volte a semplificare la circolazione transnazionale di elementi probatori utili all’accertamento penale. Le regole connotate da maggiori profili di criticità, specie nell’applicazione pratica, sono quelle che attengono alla utilizzabilità, da parte dell’autorità richiedente, degli elementi di prova acquisiti mediante rogatoria, posto che la formazione di detti elementi avviene, di regola, nel rispetto della normativa dello Stato richiesto: le discrasie spesso ravvisabili tra diversi ordinamenti — con riferimento, in particolare, alle garanzie dell’accusato e all’attendibilità del risultato probatorio — possono determinare, infatti, l’insorgenza di vizi processuali che pregiudicano, in tutto o in parte, la validità e l’efficacia dimostrativa dell’atto compiuto mediante rogatoria.
Con il termine rogatoria – in aderenza al significato del verbo latino rogare (stendere la mano, implorare), che esprime la proposizione di una domanda per ottenere qualcosa – si fa riferimento alla richiesta dell’autorità giudiziaria indirizzata ad un organo autonomo (e, quindi, non tenuto ad eseguire la richiesta per ragioni di subordinazione funzionale) per il compimento di un determinato atto processuale.
Attraverso la rogatoria, dunque, il giudice o il pubblico ministero chiede ad altro organo – di pari grado e dotato di analoga competenza – di compiere uno o più specifici atti processuali, per ragioni di opportunità o di economia oppure per carenza di potere.
Occorre, infatti, operare una distinzione netta tra le rogatorie “interne”, ispirate alla logica della semplificazione dell’attività giudiziaria, e quelle “internazionali”, che sono caratterizzate, invece, dalla necessità di compiere un atto in territorio straniero, superando i limiti connaturati al principio della sovranità nazionale.
Nella prima categoria vanno annoverate le ipotesi – previste dal codice di rito – di affidamento ad altra autorità italiana di determinate attività, che risulterebbero eccessivamente onerose se compiute dall’autorità procedente. Si pensi, ad esempio, alla previsione di cui all’art. 127, co. 3, c.p.p., che individua nel magistrato di sorveglianza territorialmente competente l’organo preposto all’audizione del soggetto detenuto o internato al di fuori della circoscrizione del giudice procedente. Analogamente, all’assunzione della testimonianza di agenti diplomatici o di incaricati di missioni diplomatiche all’estero può procedere, ai sensi dell’art. 206 c.p.p., l’autorità consolare del luogo in cui il testimone si trova, che resta comunque autorità dello Stato italiano dotata di poteri giurisdizionali. In tale evenienza, peraltro, le esigenze di attendibilità della prova prevalgono sulle ragioni di economia processuale, atteso che, per espressa disposizione normativa (art. 205, co. 3, c.p.p., richiamato dall’art. 206, co. 1, ult. periodo, c.p.p.), si procede nelle forme ordinarie – e, quindi, la testimonianza va resa dinanzi al giudice procedente – se occorre eseguire ricognizioni, confronti o se ricorrono altre necessità.
È, tuttavia, evidente che l’istituto della rogatoria trova il suo campo elettivo di applicazione nell’ambito dei rapporti tra Stati diversi: la carenza di potere in ordine al compimento di atti investigativi o processuali al di fuori del territorio nazionale, corollario della rigida applicazione del principio di sovranità, rende indispensabile la previsione di strumenti giuridici di cooperazione giudiziaria.
Appare opportuno, infine, distinguere la rogatoria dalla delega, che implica un rapporto di subalternità del delegato – poiché chi delega trasferisce ad altri l’esercizio di potestà o facoltà di cui resta titolare, conservando poteri di direttiva, di sorveglianza e di avocazione – ed è, quindi, assolutamente «estranea ad un atto che si compie tra due sovranità» (v. Laslocky, P., Rogatoria - dir. proc. pen., in Enc. dir., XLI, Milano, 1989, 121; De Marsico, A., Diritto processuale penale, Napoli, 1966, 14).
La progressiva tendenza ad elidere le barriere nazionali, soprattutto in ambito macroregionale, rende sempre più pressante l’esigenza di predisporre adeguati strumenti giuridici di contrasto al crimine transnazionale, inducendo i singoli Stati alla cooperazione anche attraverso sensibili limitazioni degli ambiti autarchici (sul punto, v. Pisani, M., Criminalità organizzata e cooperazione internazionale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1998, 703 ss.).
Tra gli strumenti privilegiati di cooperazione internazionale in materia penale vi sono proprio le rogatorie, la cui precipua finalità è quella di consentire la circolazione di atti processuali compiuti all’estero e destinati a produrre effetti in altro ordinamento.
Le rogatorie – come già anticipato – si distinguono in attive e passive, a seconda che la richiesta di compimento dell’atto provenga dall’autorità giudiziaria italiana o da quella straniera.
Occorre ancora distinguere, in base all’oggetto della richiesta, la rogatoria disposta per l’acquisizione di elementi di prova precostituiti – ovvero già formati prima della richiesta – e quella volta a sollecitare lo svolgimento di attività processuali destinate proprio alla formazione degli elementi di prova.
La necessità di acquisire elementi di prova o di compiere determinate attività processuali all’estero inevitabilmente obbliga l’autorità procedente – stante il principio di territorialità della giurisdizione – ad invocare la cooperazione di organi di altro Stato sovrano.
La disciplina delle rogatorie è strutturata, pertanto, su base consensualistica, nel senso che – non essendovi un principio consuetudinario di diritto internazionale che impone la collaborazione reciproca in materia penale (v. Daraio, G., La circolazione della prova nello spazio giudiziario europeo, in «Spazio europeo di giustizia» e procedimento penale italiano, a cura di L. Kalb, Torino, 2012, 539) – occorre un accordo con il quale i singoli Stati convengono reciprocità di assistenza.
Non a caso, le principali fonti di disciplina si rinvengono nelle Convenzioni internazionali che regolano i rapporti tra gli Stati firmatari, mentre le disposizioni interne – come espressamente stabilito dall’art. 696, co. 2, c.p.p. in relazione a tutti gli strumenti di cooperazione internazionale – assumono valenza meramente residuale o suppletiva.
La rogatoria internazionale passiva consente alle autorità estere di ottenere, per lo svolgimento di attività istruttorie o meramente strumentali, la cooperazione delle autorità italiane. Il procedimento si articola in due fasi: una di carattere politico-amministrativo, affidata al ministro della giustizia; l’altra, di natura giurisdizionale, la cui gestione rientra nella competenza funzionale della corte di appello o del giudice per le indagini preliminari, a seconda della tipologia di attività da espletare.
La fase ministeriale – finalizzata ad assicurare un vaglio preventivo di ammissibilità sullo svolgimento dell’attività richiesta – si giustifica con la necessità di subordinare l’esecuzione della rogatoria alla verifica dell’insussistenza di pregiudizi in danno di interessi fondamentali dello Stato o, comunque, a valutazioni di opportunità politica.
In primo luogo, il ministro della giustizia può rifiutarsi di dare corso alla richiesta di assistenza – così come previsto dall’art. 723, co. 1, c.p.p. – allorché «ritenga che gli atti richiesti compromettano la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato». D’altra parte, la determinazione ministeriale – di natura discrezionale (Zappalà, E., Gli istituti di cooperazione giudiziaria internazionale, in Siracusano, D.-Galati, A.-Tranchina, G.-Zappalà, E., Diritto processuale penale, II, Milano, 2006, 709) e riconducibile alla categoria degli atti di alta amministrazione – non incontra alcun limite, non essendo previsto in merito – né consentito – alcun sindacato giurisdizionale.
Analogamente, ai sensi dell’art. 723, co. 4, c.p.p., il ministro ha facoltà di bloccare il corso del procedimento di assistenza quando ritiene – sempre sulla scorta di valutazioni squisitamente politiche – che lo Stato richiedente non fornisca idonee garanzie di reciprocità. I rapporti tra Stati – com’è noto – sono improntati alla mutua collaborazione, sicché la richiamata disposizione chiaramente mira ad impedire indebiti squilibri in tali rapporti.
Viceversa, il ministro è chiamato ad esprimere un giudizio “promiscuo” – tra tutela di interessi politici e valutazioni più strettamente giuridiche – quando verifica la sussistenza, almeno prima facie, di eventuali influenze discriminatorie in relazione alla razza, alla religione, al sesso, alla nazionalità, alla lingua, alle opinioni politiche e alle condizioni personali o sociali. Anticipando, infatti, un analogo giudizio affidato all’organo giurisdizionale, l’art. 723, co. 2, c.p.p. impone al ministro di non dare corso alla rogatoria per le ragioni indicate, salvo che l’interessato abbia liberamente espresso il suo consenso, peraltro non più revocabile, stante il disposto dell’art. 205 bis disp. att. c.p.p.
L’art. 723, co. 2, c.p.p. demanda, poi, al ministro una delibazione preliminare in ordine all’eventuale, manifesta contrarietà degli atti richiesti ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico o ad espressi e specifici divieti normativi. Ulteriori condizioni sono imposte dall’art. 723, co. 3, c.p.p. per l’esecuzione delle rogatorie aventi ad oggetto la citazione di testimoni, periti o imputati dinanzi alle autorità straniere, in relazione alle quali il ministro ha facoltà di diniego se lo Stato richiedente non offre adeguate garanzie in ordine all’immunità della persona citata.
Da quanto sin qui osservato è agevole rilevare che il sindacato del ministro, in alcuni casi, è finalizzato alla tutela di esigenze meramente politiche, mentre si risolve, in altri casi, in una sostanziale anticipazione dell’intervento del giudice.
Il ricorso all’uno o all’altro parametro di valutazione si ripercuote sulla natura dell’atto, determinando un distinto regime di impugnabilità: il diniego motivato dalla compromissione di interessi fondamentali dello Stato non può che qualificarsi come determinazione politica, per sua natura insindacabile, trattandosi di atto di alta amministrazione; negli altri casi di rigetto, invece, il provvedimento ministeriale deve ritenersi censurabile secondo le regole ordinarie.
È opportuno precisare, infine, che il potere di veto del ministro – essendo funzionale ad un controllo di ammissibilità della richiesta di assistenza proveniente da altro Stato – non incontra alcun limite temporale e può esplicarsi anche quando il giudice competente si è già pronunciato.
Superato il filtro politico, la rogatoria viene sottoposta al vaglio della corte di appello territorialmente competente, individuata in quella del luogo in cui deve procedersi al compimento degli atti richiesti. Se tali atti vanno eseguiti in più distretti di corte di appello, spetta alla Corte di cassazione stabilire – con le forme previste per la risoluzione del conflitto di competenza – quale sia giudice competente ratione loci, tenuto conto del numero, della tipologia e della importanza degli atti da compiere. Il principio della precostituzione del giudice – e, in misura più attenuata, quello della naturalità – trova, dunque, adeguata tutela nella previsione di criteri che predeterminano la competenza territoriale, ancorandola al luogo in cui appare più opportuno eseguire la richiesta di cooperazione.
L’unica eccezione alla competenza funzionale della corte di appello è prevista dall’art. 726 ter c.p.p. (introdotto dalla l. 5.10.2001, n. 367), che attribuisce la cognizione al giudice per le indagini preliminari del luogo in cui devono essere compiuti gli atti, qualora la rogatoria provenga da un’autorità amministrativa straniera. Tale disposizione è, però, applicabile – come si evince chiaramente dalla sua formulazione letterale – nei soli casi in cui l’autorità amministrativa richiedente agisca ai fini dell’accertamento di un illecito penale.
Organo dell’azione è, naturalmente, il pubblico ministero, individuato nel procuratore generale presso la corte di appello competente (o nel procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario cui afferisce il giudice per le indagini preliminari, nel caso di cui all’art. 726 ter c.p.p.), al quale il ministro della giustizia è tenuto a trasmettere gli atti ai sensi dell’art. 724, co. 2, c.p.p. Esigenze di coordinamento impongono, peraltro, la trasmissione di copia degli atti anche al procuratore nazionale antimafia qualora si proceda per taluno dei delitti di criminalità organizzata previsti dall’art. 51, co. 3-bis, c.p.p.
Ricevuti gli atti, il procuratore generale attiva la fase giurisdizionale con la presentazione della propria requisitoria alla corte di appello, che fissa la data dell’udienza, dandone comunicazione allo stesso procuratore generale. La mancata previsione della notifica alle altre parti interessate – vale a dire allo Stato richiedente e all’imputato – desta non poche perplessità in termini di violazione del contraddittorio (v., in dottrina, Daraio, G., Le rogatorie internazionali, in Trattato di procedura penale, a cura di G. Spangher, VI, Esecuzione e rapporti con autorità giurisdizionali straniere, a cura di L. Kalb, Torino, 2009, 658; Gaito, A., Rapporti giurisdizionali con autorità straniere, in Compendio di procedura penale, coordinato da G. Conso e V. Grevi, III ed., Padova, 2006, 1020; Valentini, C., Il controllo dell’autorità giudiziaria italiana sugli atti istruttori effettuati in esecuzione di rogatorie internazionali: un’eterna attesa nel «deserto dei tartari», in Giur. it., 1995, II, 147), ma la giurisprudenza prevalente sembra comunque orientata ad escludere una lesione del diritto di difesa (cfr. Cass. pen., sez. III, 25.2.2000, Acampora, in Foro amb., 2001, 88). Andrebbe verificata, peraltro, sul piano interpretativo, la possibilità di ritenere applicabili le forme di cui all’art. 127 c.p.p., con la conseguente notifica dell’avviso di udienza «alle parti, alle altre persone interessate e ai difensori» (sulla portata generale ed estensiva del procedimento camerale, v. Di Chiara, G., Il contraddittorio nei riti camerali, Milano, 1994). In ogni caso, la soluzione adottata dalla giurisprudenza prevalente non sembra determinare pregiudizi intollerabili, poiché l’udienza camerale, in questa fase, è semplicemente lo strumento per verificare se la rogatoria non sia vietata dalla legge italiana, se gli atti da compiere attengano all’accertamento di fatti previsti come reato anche in Italia e se non vi siano ragioni di discriminazione contro l’imputato, mentre la tutela giurisdizionale piena dell’interessato è assicurata nella successiva, eventuale fase esecutiva (Cass. pen., sez. I, 29.11.2006, n. 40415, in Giur. it., 2007, 2554).
La corte di appello, all’esito di questo primo segmento giurisdizionale (definito da autorevole dottrina come fase di cognizione: Tonini, P., Manuale di procedura penale, Milano, 2008, 872 s.), si limita ad esprimere un giudizio di ammissibilità sulla richiesta di assistenza giudiziaria, verificando la sussistenza delle condizioni stabilite dall’ordinamento per l’esecuzione dell’atto probatorio richiesto.
Più precisamente, la corte verifica, ex ante, se l’atto da compiere si ponga in contrasto con un espresso divieto normativo o con i principi dell’ordinamento giuridico dello Stato, nonché se sussistano fondate ragioni per ritenere che considerazioni discriminatorie relative a razza, religione, sesso, nazionalità, lingua, opinioni politiche, condizioni personali o sociali possano influire sullo svolgimento o sull’esito del procedimento.
In definitiva, l’organo giurisdizionale riformula la valutazione preliminare effettuata in sede amministrativa, ai sensi dell’art. 723, co. 2, c.p.p.
Del tutto sommario è anche l’accertamento volto a verificare il requisito della cd. doppia incriminazione, che deve ritenersi sussistente se il fatto per cui procede l’autorità straniera sia previsto come reato anche dalla legge italiana.
Se non registra alcuna delle condizioni ostative elencate nell’art. 724, co. 5, c.p.p., la corte pronuncia ordinanza con la quale dispone l’esecuzione della rogatoria. Assume la stessa forma anche l’eventuale rigetto della richiesta di assistenza.
L’ordinanza resa dalla corte di appello non è impugnabile, stante il principio di tassatività vigente in materia (Cass. pen., sez. IV, 31.1.2008, n. 9496, in Foro it., 2008, II, 267; Cass. pen., sez. III, 25.2.2000, cit.; Cass. pen., sez. IV, 27.11.1992, in Cass. pen. Mass., 1993, fasc. 8, 61). Analogamente, non è soggetta a ricorso per cassazione l’ordinanza emessa in corso di esecuzione, con la quale, in riforma della precedente pronuncia, la corte di appello dispone la sospensione, anche parziale, del compimento degli atti richiesti (Cass. pen., sez. II, 7.11.2001, n. 43427, in Cass. pen., 2002, 3192).
Emessa l’ordinanza, l’unico rimedio esperibile avverso gli atti compiuti in esecuzione della stessa è, dunque, l’incidente di esecuzione (v. infra, § 3.3).
Ottenuto l’exequatur della corte di appello, si dà corso all’esecuzione della rogatoria con il compimento dell’atto richiesto dall’autorità straniera.
In realtà, si può parlare di fase esecutiva nelle sole ipotesi di prova costituenda – per la quale è necessaria l’attività di assunzione – poiché l’acquisizione della prova precostituita non richiede altro che una mera trasmissione di atti (cfr. Cass. pen., sez. III, 14.4.1999, Acampora, in Foro amb., 2000, 224).
L’inizio della fase esecutiva può essere procrastinato da un provvedimento di sospensione adottato, a norma dell’art. 724, co. 5-bis, c.p.p., dalla corte di appello, laddove ritenga che il compimento dell’attività istruttoria richiesta possa recare pregiudizio ad altro procedimento penale pendente nello Stato italiano, sia esso nella fase delle indagini preliminari o in uno stadio successivo.
Il compimento dell’atto è demandato ad uno dei componenti della corte di appello o al giudice per le indagini preliminari del luogo in cui occorre procedere all’esecuzione.
Per l’assunzione della prova rogata, la lex loci impone l’applicazione delle norme del codice di procedura penale italiano, anche se l’autorità giudiziaria richiedente potrebbe esigere l’osservanza di forme particolari, che il giudice è tenuto ad osservare, salvo si pongano in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano.
Come già anticipato, l’unico rimedio esperibile avverso gli atti compiuti in attuazione dell’ordinanza resa dalla corte di appello è l’incidente di esecuzione, con il quale si possono sollevare questioni attinenti all’esistenza del titolo esecutivo o alle condizioni costitutive, modificative o estintive della validità e dell’efficacia del titolo stesso. Per propria intrinseca natura, l’incidente di esecuzione non può mai avere ad oggetto – a pena di inammissibilità – questioni già risolte nel processo di formazione del titolo esecutivo (App. Milano, 9.4.2003, in Foro amb., 2003, 376), né questioni che vanno risolte nel procedimento penale incardinato presso l’autorità straniera (Cass. pen., sez. III, 14.4.1999, cit.).
Esulano dal rispetto delle forme previste per la rogatoria le richieste di assistenza di tipo certificativo-amministrativo, quali la citazione di testimoni o la notifica su istanza di un’autorità estera.
I soggetti residenti o dimoranti sul territorio dello Stato italiano, che devono prestare l’ufficio di testimone dinanzi ad autorità straniere, sono citati per il tramite del procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario del luogo in cui la citazione deve essere eseguita. Sebbene l’art. 726 c.p.p. faccia esclusivo riferimento al testimone, appare evidente che la norma debba essere applicata anche alla citazione del perito e del consulente tecnico, figure, del resto, espressamente considerate dall’art. 723, co. 3, c.p.p. (Marchetti, M.R., Ratificato l’Accordo Italia-Svizzera per una migliore assistenza giudiziaria in materia penale, in Dir. pen. e processo, 2002, 112).
Superato il filtro politico del ministro della giustizia – necessario anche in tale ipotesi, come si evince dall’art. 723, co. 1, c.p.p. – la richiesta di citazione approda al magistrato del pubblico ministero, che attiva il procedimento di notificazione disciplinato dall’art. 167 c.p.p.
Ai sensi dell’art. 726 bis c.p.p., anche la notificazione di un atto all’imputato, pure se detenuto, residente o dimorante su territorio italiano, può essere eseguita mediante la procedura semplificata della trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica. Ciò, tuttavia, può avvenire solo a condizione che le convenzioni o gli accordi internazionali consentano la notificazione diretta all’interessato mediante il servizio postale e l’autorità straniera intenda comunque avvalersi della notifica ai sensi degli artt. 156-158 c.p.p.
L’autorità giudiziaria italiana che intende chiedere la cooperazione di autorità straniere deve trasmettere la propria richiesta al ministro della giustizia, salvo che, trattandosi di procedura d’urgenza, sia consentito l’inoltro diretto.
Appare opportuno distinguere, con riferimento alla procedura attiva, la fase della richiesta da quella della ricezione degli atti, al fine di analizzare le questioni giuridiche più rilevanti che si pongono, da un lato, in relazione alla competenza ad inoltrare la richiesta e ai poteri del ministro della giustizia, nonché, dall’altro, rispetto alla validità e all’efficacia, nel procedimento penale interno, degli elementi di prova provenienti dall’estero.
Sotto il profilo oggettivo, la rogatoria attiva riguarda – in maniera non dissimile da quella passiva – sia il compimento di atti probatori che di attività strumentali, come le comunicazioni, le notificazioni e le citazioni di imputati, testimoni, periti e consulenti tecnici. Al riguardo, va evidenziato che, a norma dell’art. 728 c.p.p., il soggetto citato dinanzi all’autorità giudiziaria italiana gode, qualora vi compaia, di una forma di immunità, non potendo essere sottoposto ad alcuna misura privativa o restrittiva della libertà personale per fatti anteriori alla notifica della citazione. Tale garanzia – strettamente connaturata al ruolo di imputato, testimone, perito o consulente tecnico – cessa qualora il soggetto, avendone avuta la possibilità e trascorsi quindici giorni dal momento in cui la sua presenza non è più necessaria, non ha lasciato il territorio dello Stato oppure, essendosene allontanato, vi ha fatto ritorno.
Appare opportuno, inoltre, soffermarsi sull’individuazione degli atti di natura probatoria che necessitano della rogatoria per essere assunti all’estero, anche per meglio comprendere l’essenza dell’istituto.
La rogatoria – che è strumento volto ad ottenere il compimento, da parte di autorità straniere, di un atto processuale, per utilizzarne le risultanze nel procedimento interno – sembra esulare dall’acquisizione di atti già autonomamente compiuti, per finalità proprie, dalle autorità straniere. In tale evenienza, infatti, l’art. 78 disp. att. c.p.p. consente l’acquisizione – con le forme stabilite dall’art. 238 c.p.p. – della documentazione di atti del procedimento penale compiuti da autorità giudiziarie straniere. Stante il rinvio recettizio all’art. 238 c.p.p. (cfr. Daraio, G., Le rogatorie internazionali, cit., 672 s.), deve ritenersi che la disposizione concerna esclusivamente i verbali di prove assunte in un procedimento penale o civile alle quali la difesa dell’imputato abbia partecipato o sia stata posta in grado di partecipare e i verbali degli atti di indagine irripetibili, limitatamente a quelli compiuti dall’autorità giudiziaria. Oltre agli atti di polizia giudiziaria – i quali, se irripetibili, possono essere acquisiti al fascicolo per il dibattimento solo con il consenso delle parti o previo esame testimoniale del dichiarante – restano esclusi tutti gli atti di indagine ripetibili. Si è osservato, tuttavia, che l’art. 78 disp. att. c.p.p. non è volto a disciplinare i rapporti giurisdizionali tra autorità straniere, ma individua i presupposti e le condizioni per l’acquisizione e l’utilizzazione, dinanzi al giudice italiano, degli atti provenienti da autorità estere mediante rogatoria (Daraio, G., Le rogatorie internazionali, cit., 672 s.). In quest’ottica, la rogatoria sarebbe comunque necessaria per ottenere gli atti del procedimento estero, che restano, però, assoggettati alle regole di utilizzabilità sancite dal combinato disposto degli artt. 78 disp. att. c.p.p. e 238 c.p.p.
Legittimati a proporre la rogatoria all’estero sono – come precisato dall’art. 727, co. 1, c.p.p. – i «giudici» e i «magistrati del pubblico ministero». Analoga legittimazione non è attribuita al difensore, che – esclusa anche la facoltà di svolgere indagini difensive all’estero (v. Cass. pen., sez. I, 29.5.2007, Kaneva, Riv. it. dir. e proc. pen., 2008, 1382) – può semplicemente sollecitare la richiesta al giudice o al pubblico ministero (cfr. Angeloni, C., L’inammissibilità di investigazioni difensive all’estero: una ricostruzione plausibile?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2008, 1387; Curtotti Nappi, D., I nuovi orizzonti investigativi del difensore: le informazioni assunte all’estero, in Osservatorio penale, 2007, fasc. 2, 14; Marchetti, M.R., L’assistenza giudiziaria internazionale, Milano, 2005, 126).
Quanto ai tempi di proposizione della richiesta, non si possono operare distinzioni tra le fasi del procedimento penale, nel senso che la rogatoria è esperibile tanto nel dibattimento quanto durante le indagini preliminari. Ciò si evince dall’art. 407, co. 2, lett. c), c.p.p., che prevede il più ampio termine di durata delle indagini quando occorre compiere atti investigativi all’estero, nonché dall’art. 431, co. 1, lett. d), c.p.p., che consente l’inserimento nel fascicolo per il dibattimento degli atti di indagine non ripetibili assunti mediante rogatoria (cfr. Daraio, G., Le rogatorie internazionali, cit., 664; Pisani, M., Indagini all’estero: appena due anni, Indice pen., 1989, 540). Il generico riferimento al «giudice» − in ragione del quale si è ritenuto di dover includere nell’ambito di operatività della norma il procedimento di esecuzione e, secondo alcuni, anche quello di prevenzione (v. Diotallevi, G., Rapporti giurisdizionali con autorità straniere, in Codice di procedura penale, diretto da G. Lattanzi ed E. Lupo, VIII, Milano, 2008, 528; contra, Marchetti, M.R., L’assistenza giudiziaria internazionale, cit., 124) – lascia agevolmente ipotizzare che la rogatoria possa essere richiesta dall’organo giurisdizionale in occasione dell’assunzione di un mezzo di prova con le forme dell’incidente probatorio o in udienza preliminare ai sensi dell’art. 422 c.p.p., nel corso del dibattimento, così come nell’ambito del procedimento camerale o di quello esecutivo (Daraio, G., Le rogatorie internazionali, cit., 666).
La legge non predetermina il contenuto della richiesta di assistenza, né prescrive particolari forme, ma è evidente che l’atto deve porre in condizione i suoi destinatari – e, cioè, tanto il ministro della giustizia che l’autorità giudiziaria estera – di esercitare il controllo che loro compete. Per conseguire lo scopo, dunque, la rogatoria deve contenere tutte le informazioni necessarie a superare il vaglio di opportunità politica e di ammissibilità giuridica e, successivamente, consentire all’autorità destinataria di compiere l’atto istruttorio in modo conforme alle intenzioni del richiedente. In tal senso, l’art. 727, co. 5-bis, c.p.p. onera l’autorità richiedente di specificare le modalità con le quali va eseguita la rogatoria, indicando, altresì, al destinatario le condizioni da soddisfare per garantire la piena utilizzabilità degli atti richiesti (Selvaggi E., La nuova legge sulle rogatorie, in Cass. pen., 2001, 3254).
Stante l’equivoca formulazione della norma, l’autorità giudiziaria non sembra tenuta a redigere la domanda di assistenza nella lingua del paese destinatario, potendo affidare la traduzione – secondo parte della dottrina – al ministro della giustizia (Daraio, G., Le rogatorie internazionali, cit., 670; Diotallevi, G., Rapporti, cit., 540; contra, Carcano, D., Norme comuni e norme internazionali sull’assistenza giudiziaria in materia penale, in Doc. giustizia, 2000, 1059, che ritiene il richiedente obbligato alla traduzione).
La domanda – salvo che ricorrano condizioni d’urgenza ex art. 727, co. 5, c.p.p. – va trasmessa al ministro della giustizia, deputato a verificare l’insussistenza di condizioni ostative di natura politica, oltre ad essere comunicata al procuratore nazionale antimafia, qualora la rogatoria sia richiesta dal magistrato del pubblico ministero per uno dei delitti di criminalità organizzata (art. 51, co. 3-bis, c.p.p.). Tale ultimo adempimento, previsto dall’art. 727, co. 5-ter, c.p.p., è funzionale all’esercizio dei poteri di coordinamento e di direzione delle indagini, attribuiti, anche in ambito sovranazionale, alla direzione nazionale antimafia.
Qualunque sia la forma della richiesta di assistenza, ordinaria o urgente, al ministro della giustizia sono comunque conferiti penetranti poteri di veto.
Nel modello ordinario, disciplinato dall’art. 727, co. 1, c.p.p., la richiesta di rogatoria va trasmessa al ministro della giustizia, che ne cura il successivo inoltro per via diplomatica, mentre la ricorrenza di uno dei casi di urgenza legittima l’invio diretto all’agente diplomatico o consolare italiano, comunque preceduto, però, dalla ricezione di copia dell’atto da parte del ministro (art. 727, co. 5, c.p.p.).
La procedura è oggettivamente farraginosa, essendo coinvolti plurimi soggetti, con diverse funzioni (giudiziarie, politiche, diplomatiche), ed essendo prevista, anche nei casi di urgenza, la trasmissione degli atti ad un organo diverso dal destinatario della rogatoria (l’agente diplomatico o consolare). Viceversa, la procedura di trasmissione diretta prevista dall’art. 204 bis disp. att. c.p.p. – laddove la disciplina internazionale pattizia ammetta lo scambio di atti tra autorità giudiziarie – favorisce l’instaurazione di un rapporto di assoluta immediatezza tra il richiedente e il destinatario della rogatoria.
Indipendentemente dalle modalità di trasmissione della rogatoria, l’autorità politica verifica l’ammissibilità della richiesta, con una valutazione assolutamente discrezionale e non censurabile in sede giurisdizionale — come si evince dalla forma del decreto non motivato stabilita per il provvedimento di rigetto (ai sensi degli artt. 727, co. 2, e 125, co. 3, c.p.p.) – che è volta ad accertare la potenziale lesione della sicurezza o di altri interessi essenziali dello Stato.
Risultano, inoltre, rigorosamente scanditi i termini di intervento del ministro, che è tenuto, in primo luogo, ad informare senza ritardo l’autorità giudiziaria richiedente dell’avvenuta ricezione degli atti. Egli dispone, poi, di un breve lasso di tempo per le proprie determinazioni, quantificato nella sola ipotesi ordinaria in trenta giorni dalla ricezione della richiesta, mentre non risulta fissato un termine per i casi di urgenza, sicché l’intervento ministeriale deve ritenersi consentito, in quei casi, fino a quando gli atti permangono presso l’autorità diplomatica. Le determinazioni ministeriali sull’inoltro della rogatoria vanno comunicate entro cinque giorni all’autorità richiedente, affinché quest’ultima sia posta in grado di adottare tempestivamente le scelte successive.
Se il ministro non assume alcuna determinazione nel termine previsto, la richiesta – secondo il noto meccanismo del silenzio-assenso ‒ deve ritenersi ammissibile.
Non necessariamente, però, il ministro fa da tramite tra l’autorità richiedente e l’agente diplomatico o consolare, poiché l’organo politico, restando inerte, obbliga l’autorità giudiziaria, una volta decorso il termine, a curare direttamente l’inoltro della rogatoria.
Gli atti possono pervenire, dunque, alle autorità estere attraverso differenti canali, a seconda che sia il ministro della giustizia ad inoltrarne la trasmissione o l’autorità giudiziaria, che vi provvede – al di là dei casi di urgenza – anche per sopperire all’inerzia dell’organo politico. In tale ipotesi, l’autorità giudiziaria soggiace, però, ad un ulteriore onere informativo, dovendo notiziare dell’inoltro il ministro della giustizia. L’adempimento – probabilmente imposto da mere ragioni di coordinamento dei due soggetti interessati e, comunque, non funzionale all’esercizio di un persistente potere di veto (v., per un’analisi approfondita, Daraio, G., Le rogatorie internazionali, cit., 669 s.; contra, Gaito, A., Rapporti, cit., 1027; Tonini, P., Manuale, cit., 874) – rappresenta l’ulteriore conferma della complessità del procedimento di rogatoria, le cui forme non sempre rispondono al soddisfacimento di esigenze realmente meritevoli di tutela.
Il compimento all’estero dell’atto richiesto dall’autorità procedente – si tratti o meno di un mezzo di prova – è regolato dalla normativa vigente nello Stato investito della rogatoria, in conformità ad un principio generale del diritto internazionale.
La rigida applicazione di tale principio rischia, tuttavia, di vanificare l’utilità della rogatoria, poiché l’eventuale difformità dell’atto dal paradigma legale interno potrebbe dar luogo alla sua invalidità. Ciò spiega perché la possibilità che la rogatoria sia eseguita con le forme previste dallo Stato richiedente – inserita in numerosi accordi internazionali – è stata espressamente contemplata dall’art. 727, co. 5-bis, c.p.p.
L’esecuzione della rogatoria con modalità diverse da quelle espressamente indicate dall’autorità richiedente comporta – per espressa previsione normativa (art. 729, co. 1-bis, c.p.p.) – l’inutilizzabilità degli atti compiuti, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento. Si ritiene, al riguardo, che anche la sola mancata prova dell’adempimento delle modalità previste dall’ordinamento italiano – e indicate dall’autorità rogante nella domanda di assistenza giudiziaria – determini l’inutilizzabilità dell’atto (Cass. pen., sez. IV, 26.5.2010, n. 25050, in Cass. pen., 2011, 2320, che ha ritenuto insufficiente l’attestazione, contenuta nel verbale redatto in sede di rogatoria, di avvenuto compimento degli adempimenti richiesti, ovvero l’avviso all’autorità italiana della data e del luogo fissati per l’espletamento dell’atto).
In realtà, sono almeno quattro le ipotesi di inutilizzabilità degli elementi di prova acquisiti mediante rogatoria, per violazioni attinenti alla specialità, all’acquisizione della prova, alle modalità di trasmissione o all’uso probatorio delle dichiarazioni (Daraio, G., Le rogatorie internazionali, cit., 687).
Nel testo originario dell’art. 729 c.p.p., il regime di utilizzabilità dei risultati della rogatoria non presentava alcuna sostanziale differenza rispetto a quello degli atti interni, fatta eccezione per la violazione del principio di specialità, ovvero per l’inosservanza delle condizioni vincolanti apposte dall’autorità dello Stato richiesto all’utilizzazione della prova rogata. In quest’ottica, chiaramente volta a prevenire l’insorgenza di controversie internazionali (v. Relazione al progetto preliminare, 156), l’inutilizzabilità tutelava prevalentemente gli interessi politici dello Stato richiesto e, solo in via indiretta, le esigenze dell’ordinamento italiano.
Per effetto delle modifiche apportate dalla l. n. 367/2001, l’art. 729 c.p.p. ha assunto l’attuale fisionomia, che ha suscitato, peraltro, un acceso dibattito in dottrina (cfr., per tutti, Diddi, A., Il novum della recente disciplina sulle rogatorie internazionali, in Giust. pen., 2002, III, 606; Marchetti, M.R., Ratificato l’accordo, cit., 143; Scella, A., L’inutilizzabilità delle prove raccolte all’estero, in Rogatorie penali e cooperazione giudiziaria internazionale, a cura di G. La Greca e M.R. Marchetti, Torino, 2003, 361).
La prova acquisita mediante rogatoria non è utilizzabile, allo stato, se trasmessa o acquisita con modalità difformi da quelle stabilite dal diritto internazionale generale o pattizio e, dunque, in violazione dell’art. 696, co. 1, c.p.p. – richiamato dall’art. 729, co. 1, c.p.p. – che opera un rinvio recettizio alle fonti sovranazionali (sul punto, cfr. Daraio, G., Le rogatorie internazionali, cit., 691, nonché Scella, A., L’inutilizzabilità delle prove raccolte all’estero, cit., 361, che sottolinea la difficoltà di un’esatta ricostruzione della disciplina applicabile).
Quanto alla trasmissione degli atti – che deve tener conto, peraltro, di eventuali prassi applicative, ai sensi dell’art. 31, par. 3, lett. b), della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (cfr. Scella, A., L’inutilizzabilità delle prove raccolte all’estero, cit., 361) – particolarmente controverso è il divieto di utilizzare copie non munite della certificazione di conformità, previsto da diversi testi convenzionali e, soprattutto, dall’art., 3 par. 3, della Convenzione di assistenza giudiziaria. Tale condizione – che attiene ai documenti e ai fascicoli, ma non anche agli atti processuali compiuti mediante rogatoria (Cass. pen., sez. VI, 7.10.2002, Venturini, in C.E.D. Cass., n. 223180) – è volta a garantire l’autenticità dei documenti trasmessi, se provvisti dell’attestazione di conformità a quelli in possesso dell’autorità richiesta. Al riguardo, la giurisprudenza ritiene sufficiente un atto formale di trasmissione dell’autorità straniera che garantisca, anche solo implicitamente, l’autenticità e la conformità degli atti inviati in semplice fotocopia (Cass. pen., sez. II, 29.4.2009, n. 34511, in Cass. pen., 2011, 1176; Cass. pen., sez. IV, 4.5.2006, n. 33519, Acampora, ivi, 2007, 519; Cass. pen., sez. VI, 22.9.2004, n. 44830, ivi, 2006, 3738; Cass. pen., sez. IV, 19.2.2004, n. 18660, ivi, 2005, 2034; Cass. pen., sez. I, 16.10.2002, n. 37774, in Arch. nuova proc. pen., 2003, 625; tale orientamento è avallato, peraltro, dalla dottrina prevalente: cfr. Ciampi, A., L’assunzione di prove penali all’estero, Padova, 2003, 155 ss.; Carcano, D., L’irregolarità dello Stato estero blocca la prova, in Guida dir., 2001, fasc. 42, 52; Lattanzi, G.-Selvaggi, E., Formalismi inutili e assenza di semplificazioni. Il Bel Paese fuori dal solco della cooperazione, ivi, 2002, n. 46, 65; Nuzzo, F., In tema di rogatorie rileva la prassi internazionale, in Cass. pen., 2003, 755; Presutti, A., Legge sulle rogatorie internazionali e inutilizzabilità della prova, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2003, 1164; Scella, A., L’inutilizzabilità delle prove raccolte all’estero mediante rogatoria, cit., 349 s.; Secchi, Z., Rogatorie con la Svizzera: risposta italiana alle attività transnazionali della criminalità, in Questione giust., 2002, 90; Selvaggi, E., La nuova legge sulle rogatorie, in Cass. pen., 2001, 3255).
Le regole da applicare per l’acquisizione della prova rogata – salva l’ipotesi prevista dall’art. 727, co. 5-bis, c.p.p. – sono quelle dello Stato richiesto, sicché l’inutilizzabilità può verificarsi per inosservanza della lex loci.
Decisamente più problematica, invece, anche alla luce del rilievo che hanno assunto i principi del giusto processo dopo la riscrittura dell’art. 111 Cost., è la verifica della valenza probatoria degli elementi di prova acquisiti in conformità alla lex loci, quando le modalità della loro formazione appaiono potenzialmente lesive di norme fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano.
In forza del principio sancito dall’art. 111, co. 4, Cost., va indubbiamente esclusa l’utilizzabilità delle prove dichiarative assunte senza partecipazione difensiva, salvo che la mancata osservanza delle garanzie del contraddittorio sia riconducibile all’oggettiva impossibilità di formazione dialettica dell’atto (in giurisprudenza, Cass. pen., sez. I, 3.3.2003, n. 19678, Figini, in Cass. pen., 2004, 442; Cass pen., 12.4.2002, n. 28845, Daneluzzi, in C.E.D. Cass., n. 222743; in precedenza, Cass. pen., sez. I, 28.11.2002, n. 41005, Acri, ivi, n. 223202, aveva affermato, in senso difforme, che l’acquisizione della prova mediante rogatoria integra sempre un’impossibilità di natura oggettiva, non potendosi pretendere l’osservanza all’estero delle regole processuali italiane).
La questione si è posta, in particolare, con riferimento all’assenza dell’imputato al compimento dell’atto probatorio, che non è stata ritenuta, però, in contrasto con l’esigenza di tutela del diritto di difesa e, di riflesso, con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano (Cass. pen., sez. VI, 1.12.2010, n. 44488; Cass. pen., sez. V, 7.10.2005, n. 45103; Cass. pen., sez. VI, 13.7.1999, n. 11109).
La cooperazione penale in ambito europeo ha subito negli ultimi anni una notevole accelerazione, superando la tradizionale dimensione della mera collaborazione intergovernativa ed evolvendosi negli istituti del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie e nella progressiva armonizzazione normativa dei sistemi giuridici interni (sul punto, v. Daraio, G., La circolazione della prova nello spazio giudiziario europeo, cit., 504 s.).
In quest’ottica, non poteva mancare la previsione di norme specificamente destinate a potenziare la circolazione della prova in ambito europeo, rendendola maggiormente efficace rispetto a quanto possa garantire il tradizionale strumento delle rogatorie.
Il cd. Libro verde sulla ricerca delle prove in materia penale tra Stati membri e sulla garanzia della loro ammissibilità (Atto COM(2009)624, elaborato dalla Commissione europea nel novembre del 2009) chiarisce che l’acquisizione internazionale della prova nell’ambito dell’Unione può avvenire con il sistema delle rogatorie, improntato alla regola del locus regit actum, ma anche attraverso più flessibili strumenti di cooperazione giudiziaria, basati sulla possibilità di eseguire in uno Stato membro un provvedimento adottato dall’autorità di altro Stato membro.
Il nuovo modello di circolazione della prova — che si ispira ai medesimi principi posti a fondamento del mandato di arresto (sul punto, v. Della Monica, G., Il Mandato di arresto europeo, Torino, 2012, 3 s.) — è delineato dalla decisione quadro 2008/978/GAI del 18 dicembre 2008, che introduce il cd. MERP (mandato europeo di ricerca delle prove), concepito come decisione giudiziaria emessa dalle autorità di uno Stato membro allo scopo di acquisire, in altro Stato membro, oggetti, documenti e dati di carattere probatorio.
Le previsioni della decisione quadro — la cui finalità precipua è quella di elidere il filtro politico e di instaurare un rapporto diretto tra le autorità giudiziarie degli Stati membri — sono, dunque, destinate a sostituire le disposizioni convenzionali in materia di assistenza giudiziaria.
Artt. 723-729 c.p.p.; Convenzione europea del 20.4.1959 (assistenza giudiziaria in materia penale); Decisione quadro n. 2008/978/GAI del 18.12.2008.
Rogatorie penali e cooperazione giudiziaria internazionale, a cura di G. La Greca e M.R. Marchetti, Torino, 2003; Catelani, G., I rapporti internazionali in materia penale, Milano, 1995; Ciampi, A., L’assunzione di prove all’estero in materia penale, Padova, 2003; Daraio, G., Le rogatorie internazionali, in Trattato di procedura penale, a cura di G. Spangher, VI, Esecuzione e rapporti con autorità giurisdizionali straniere, a cura di L. Kalb, Torino, 2009, 617 s.; Daraio, G., La circolazione della prova nello spazio giudiziario europeo, in «Spazio europeo di giustizia» e procedimento penale italiano, a cura di L. Kalb, Torino, 2012, 539; Di Chiara, G., Rapporti giurisdizionali con autorità straniere, in Enc. dir., Aggiornamento, II, Milano, 1998, 890 s.; Laslocky. P., Rogatoria (dir. proc. pen.), in Enc. dir., XLI, Milano, 1989, 119 s.; Diddi, A., Il novum della recente disciplina sulle rogatorie internazionali, in Giust. pen., 2002, III, 606; Marchetti, M.R., L’assistenza giudiziaria internazionale, Milano, 2005; Nuzzo, F., In tema di rogatorie rileva la prassi internazionale, in Cass. pen., 2003, 755; Pisani, M., Criminalità organizzata e cooperazione internazionale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1998, 703 s.; Presutti, A., Legge sulle rogatorie internazionali e inutilizzabilità della prova, Riv. it. dir. e proc. pen., 2003, 1164; Secchi, Z., Rogatorie con la Svizzera: risposta italiana alle attività transnazionali della criminalità, in Questione giust., 2002, 90; Selvaggi, E., La nuova legge sulle rogatorie, in Cass. pen., 2001, 3254; Valentini, C., L’acquisizione della prova tra limiti territoriali e cooperazione con autorità straniere, Padova, 1998; Valentini, C., Il controllo dell’autorità giudiziaria italiana sugli atti istruttori effettuati in esecuzione di rogatorie internazionali: un’eterna attesa nel «deserto dei tartari», in Giur. it., 1995, II, 147.