ROFFREDO da Benevento
ROFFREDO da Benevento. – Roffredo di Epifanio (secondo Mauro Sarti, invece, «della famiglia Epifani» discendente da principi longobardi; Sarti - Fattorini, 1888-18962, I, p. 132), nacque a Benevento verso il 1170 e nella stessa città morì dopo il 25 giugno 1243; nulla si sa della madre.
Nell’ultimo decennio del XII secolo e nei primi anni del Duecento, ebbe come maestri a Bologna i più autorevoli civilisti dei suoi tempi: Giovanni Bassiano, Ottone da Pavia, Cipriano, Azzone, Carlo di Tocco, Ugolino Presbiteri. Sembra probabile, tuttavia, che fin d’allora abbia allargato al diritto canonico il raggio dei suoi interessi e che abbia anche perfezionato fuori da Bologna – a Modena, forse, o a Piacenza – le sue conoscenze del diritto feudale, come suggerisce l’attenzione, chiaramente percettibile in tutte le sue opere, verso le fonti non giustinianee.
Certamente insegnava a Bologna verso il 1210, ma nel 1215 fu protagonista di un importante episodio di migrazione accademica: per ragioni in parte ancora oscure, le lotte di fazione che agitavano la società bolognese o piuttosto un duro contrasto fra le associazioni studentesche e le autorità comunali, Roffredo trasferì ad Arezzo il suo insegnamento e nella città toscana lo seguì un folto uditorio di studenti. La vicenda ebbe gravi ripercussioni sulla politica universitaria del Comune di Bologna, che vedeva in quella partenza collettiva un pericolo per l’economia cittadina e intervenne quindi a evitare in futuro casi analoghi, imponendo ai rettori un giuramento di stabile permanenza, respinto però dalle universitates come lesivo delle loro libertà e dei loro antichi privilegi. Per lo Studio di Arezzo, invece, quello fu un episodio decisivo: modellato da Roffredo sul sistema didattico bolognese, l’insegnamento universitario aretino si strutturò poi compiutamente con gli Statuti del 1255 (Cortese, 2013, p. 1712).
Ad Arezzo Roffredo insegnò per alcuni anni e compose in parte le Quaestiones sabbatinae, dedicate al suo uditorio studentesco e ispirate all’uso dei maestri bolognesi di disputare pubblicamente nelle mattine di sabato, e in particolare alle Quaestiones di Pillio, anche se, rispetto a quelle, meno teoriche e più radicate nell’esperienza concreta (Sarti - Fattorini, 1888-18962, I, p. 140). Fu per rispondere alla sollecitazione dei suoi nobili studenti toscani («ad instantias sociorum meorum, nobilium de partibus Tusciae» (p. 139) che Roffredo iniziò, come dichiara lui stesso, anche la sua opera maggiore, il De ordine iudiciario, completata poi negli anni successivi.
Quell’ambiente, tuttavia, e quell’attività, che pure gli conferirono fama e prestigio, non dovevano rispondere pienamente alle sue ambizioni: nel 1219 contribuì a comporre a Pistoia, con una sentenza arbitrale, gli annosi contrasti che opponevano il Comune di Bologna a quello pistoiese, e nel 1220 si concretizzò l’evento destinato a indirizzare verso nuove mete la vita e la professione del maestro beneventano. Come egli stesso dichiara, infatti, Roffredo partecipò a Roma all’incoronazione di Federico II e da quel momento, fino al 1229, accompagnò l’imperatore, partecipando alla vita e alle attività di corte nel ruolo di «iuris civilis professor et imperialis curie magister et iudex» (Ferretti, 1908-1911, p. 251).
Questo titolo, di cui volentieri Roffredo si fregiava fin dal dicembre del 1220, è stato autorevolmente definito, in tempi recenti, «pomposo» e sostanzialmente «onorario, più che rispondente ad una precisa carica giudiziaria» (Cortese, 2013, p. 1713). Osserviamo tuttavia che quasi le stesse espressioni, rafforzate anzi aggiungendo «uomo di grande scienza e nota fedeltà alla maestà imperiale», gli furono rivolte da Federico II nel 1224, quando proprio Roffredo fu designato come il più autorevole fra i fondatori del nuovo Studio napoletano (Riccardo da San Germano, Chronica, a cura di C.A. Garufi, 1936-1938, p. 114; Ferretti, 1908-1911, pp. 254 s.).
Certo per quella fedeltà, ma per ragioni specifiche ignote, Roffredo subì una scomunica nel 1221, poi revocata da Onorio III il 23 dicembre dello stesso anno. Di lì a poco l’imperatore prese ad affidargli complessi incarichi diplomatici, in cui Roffredo sembrò muoversi con equilibrio e saggezza: nel 1225 fu inviato alla corte papale per affrontare la questione delicata delle nomine del vescovo di Catania e del clero pugliese; gli argomenti a favore di Federico vennero in quell’occasione sviluppati con eleganza, a giudicare almeno dalle espressioni lusinghiere che Onorio III adottò poi nei confronti dell’ambasciatore, rispondendo a Federico con la lettera del 24 gennaio 1226 (Riccardo da San Germano, Chronica, cit., p. 128; Ferretti, 1908-1911, p. 281). Ancora più scottante la questione affrontata nell’ambasceria del 1227, quando Roffredo fu inviato a Roma a perorare l’assoluzione di Federico dalla scomunica lanciata da Gregorio IX, il 29 settembre di quell’anno, e a giustificare, di fronte al papa, i ritardi dell’imperatore nell’allestimento della promessa spedizione in Terrasanta.
Quelle ripetute missioni presso la Curia papale ebbero rilevanti effetti nella vita di Roffredo, esiti che potrebbero apparire sorprendenti in una personalità meno inquieta e in una cultura giuridica più rigidamente romanistica. Di fatto, impegnato in una lunga opera di mediazione fra Impero e Papato, il beneventano si allontanò progressivamente da Federico II, fino a passare definitivamente, fra il 1228 e il 1229, dalla parte pontificia, iniziando presso la Curia romana una nuova fase della sua carriera professionale, scientifica e didattica: non meno importante delle precedenti, come si è osservato di recente (Paravicini Bagliani, 1994, p. 441).
Non sarà stata indifferente a quella svolta la circostanza che proprio in quel periodo il dominio del papa si estendesse alla città di Benevento, con cui Roffredo aveva sempre mantenuto solidi legami affettivi e patrimoniali, ottenendo, fin dal 1218, da Onorio III la nomina a giudice cittadino e acquistando, nel 1222, una casa turrita nella parrocchia dei Ss. Simeone e Giuda (Ferretti, 1908-1911, pp. 253, 276).
Queste vicende biografiche sembrano riflettersi con una certa immediatezza nella sua produzione scientifica. Gli interessi per il diritto longobardo, che aveva manifestato fin dal periodo degli studi bolognesi, alla scuola di Carlo di Tocco, furono approfonditi, negli anni trascorsi a Benevento, grazie all’esperienza diretta di quella tradizione processuale: nella città natale Roffredo era certamente nel 1230, quando partecipò alla pubblicazione degli statuti cittadini, e ancora nel 1233, quando, insieme con la moglie Trusia, innalzava in onore di san Domenico una chiesetta nel centro cittadino, in cui, secondo la lapide dedicatoria datata agosto 1233 («...Christi nascentis terdenismille ducentis annis et ternis [...] de mense Augusti»), eleggeva la propria sepoltura (Sarti - Fattorini, 1888-18962, I, 138). Dalla moglie, che secondo Mauro Sarti sarebbe morta di lì a poco, consentendogli di acquisire negli ultimi anni lo stato clericale, Roffredo ebbe due figli, Roffredo e Francesco, e una figlia, Sibilla, andata in sposa a Francesco della Morra (Ferretti, 1908-1911, pp. 273 s.).
In effetti, negli anni Trenta del secolo si addensano anche le testimonianze della presenza di Roffredo presso la Curia pontificia e al seguito di Gregorio IX, fra Perugia, Viterbo e Roma, dove lo vediamo attivo, sia nel ruolo di causidico, sia in quello di animatore di una nuova scuola giuridica romana (Bellomo, 1985, 1998, pp. 42-54; Id., 1994, p. 102). Dell’esperienza pratica e di quella didattica vissute in questi anni sono espressione i Libelli de iure canonico, la cui composizione iniziata nel 1235-36, proseguì poi fino agli ultimi anni di vita. E anzi, il riferimento che leggiamo, nella VI parte dell’opera, all’elezione di Innocenzo IV, avvenuta il 25 giugno 1243, consente di collocare dopo quella data la morte di Roffredo (Cortese, 2013, p. 1715).
Non è certo invece il luogo in cui trascorse gli ultimi anni di vita. Un’antica tradizione, di sapore letterario ma recepita anche in studi autorevoli (Ferretti, 1908-1911, p. 270), lo vuole ormai quasi ottuagenario, dedito, nella città natale, alla cura della sua vigna, presso la quale i giudici della Magna Curia venivano a consultarlo, per averne consigli in casi controversi. L’ipotesi sembrerebbe confermata da una rubrica estrema dei Libelli canonistici, che, riferendosi al Liber Augustalis come ius speciale, indurrebbe a credere che l’autore vivesse in quegli anni entro i confini del Regno, e quindi verosimilmente a Benevento, che dal 1241 era stata riconquistata dall’esercito imperiale. D’altra parte, questa interpretazione non sembra necessariamente in contrasto con l’immagine, divulgata da Sarti, ma presente già nella Chronica di Riccardo da San Germano (Chronica, cit., p. 208), che vede Roffredo respingere con decisione i ripetuti inviti di Federico e di Pier delle Vigne a rientrare al servizio dell’imperatore: la fama e il prestigio di cui godeva potevano ben garantire all’anziano maestro di trascorrere tranquillamente e da privato gli ultimi anni, anche dopo essere rientrato sotto il potere del principe da cui si era allontanato quindici anni prima.
La tradizione critica delle opere di Roffredo e l’importanza della sua figura nel panorama giuridico medievale si sono arricchite di contributi fortemente innovativi negli ultimi decenni. Decisivo in proposito è stato il delinearsi agli occhi della storiografia del secondo Novecento di una tradizione civilistica di origine bolognese, ma divergente rispetto a quella dominante, rappresentata dalla Glossa accursiana, una linea dottrinale caratterizzata da un’attitudine all’ascolto delle voci giuridiche non giustinianee, del diritto feudale, canonico, statutario, all’osservazione attenta, soprattutto, delle concrete situazioni di vita che l’antico legislatore non poteva conoscere. Questa scuola giuridica, dissenziente dall’ortodossia della linea Azzone-Accursio, trovò a Bologna il suo massimo interprete in Odofredo, ma diede luogo anche a una fecondissima diaspora, sia nel mondo transalpino, fra Orléans, Tolosa e Montpellier, sia nell’Italia centrale e meridionale (Santini, 1996, pp. 75-78). Precisamente questo era l’orizzonte culturale di Roffredo, che si era formato sì alla scuola di Azzone, ma aveva recepito soprattutto la lezione di Ugolino Presbiteri, assimilando una concezione del diritto che, attraverso Pillio e Piacentino, si poteva ricondurre fino all’età postirneriana e in particolare all’attenzione di Martino Gosia verso il contenuto etico e la funzione sociale della legge, contrapposta all’assolutismo autoritativo di Bulgaro. Ebbene, nella trasmissione alla scuola romana e a quella napoletana di questa linea dottrinale, alternativa all’ortodossia giustinianea, nella diffusione di una particolare sensibilità verso altre fonti giuridiche, ebbero un ruolo non secondario le opere di Roffredo e in particolare i manoscritti da lui e dai suoi allievi utilizzati e glossati, affiorati di recente da varie biblioteche europee (Bellomo, 1985, 1998, pp. 8-19; Id., 1994, pp. 89 s.).
Il suo capolavoro viene unanimemente individuato nell’opera sui Libelli processuali (Cortese, 2013, p. 1713), in cui il vecchio modello dell’ordo iudiciorum veniva armonizzato con il nuovo genere di procedura, avviato a Bologna dall’allievo di Azzone, Bernard Dorne. Lo strumento elaborato da Roffredo risultò la trattazione più completa e autorevole dei suoi tempi: strutturata in otto sezioni ed elaborata nel corso degli anni, esprimeva le diverse esperienze scientifiche e professionali vissute dall’autore, recuperando gli usi processuali incontrati nelle fasi successive della sua vita, a Bologna e in Toscana, a Napoli, Roma e Benevento; alcune parti del De libellis, come la VI de bonorum possessionibus, furono anche pubblicate separatamente come trattati monografici. Dell’attività svolta presso la Curia papale sono espressione, invece, i Libelli de iure canonico, frutto dell’insegnamento romano e della conoscenza diretta di quella prassi giudiziaria, mentre una profonda dimestichezza, sia teorica sia pratica, con il diritto longobardo Roffredo dimostra nella IV parte dei Libelli civilistici, ma anche nel trattato De pugna, dedicato alla prassi del duello giudiziario, descritto come elemento probatorio tipico di quella cultura.
D’altra parte, nominato da Onorio III giudice a Benevento fin dal 1222, è probabile che Roffredo tenesse anche corsi specifici su quella prassi, come sembrano indicare i commenti ai capitolari carolingi inseriti nei Libelli (Cortese, 2013, p. 1714). Un’importanza particolare, infine, nel delineare le due fasi ideologiche di Roffredo, espressione, la prima, del suo insegnamento a Napoli, la seconda di quello romano, ma più in generale del suo mutato atteggiamento rispetto al conflitto fra Federico II e il Papato, ha avuto l’affiorare delle glosse frutto delle sue lezioni sul Codex, illustrate magistralmente da Manlio Bellomo nell’ultimo quarantennio (1985, 1998, pp. 42-54).
Fonti e Bibl.: Corpus glossatorum juris civilis, VI, Torino 1968 (ed. or. Avignone 1500): alle pp. 3-332 i Libelli iuris civilis, alle pp. 333-343 i Libelli iuris canonici, alle pp. 433-483 le Quaestiones Sabbatinae; Summula de pugna, a cura di F. Patetta, in Scripta anecdota antiquissimorum glossatorum, Bologna 1892, pp. 76-83; Riccardo da San Germano, Chronica, a cura di C.A. Garufi, in RIS2, VII, 2, Bologna 1936-1938.
F.K. von Savigny, Geschichte des romischen Rechto im Mittelalter, II, Heidelberg 1816 (trad. it. Torino 1857, pp. 330-347); M. Sarti - M. Fattorini, De claris Archigymnasii Bononiensis professoribus a saeculo XI usque ad saeculum XIV, I-II, Bologna 1888-18962; G. Ferretti, R. Epifanio di Benevento, in Studi medievali, III (1908-1911), pp. 230-287; E. Besta, Il primo secolo della scuola giuridica napoletana, in Nuovi studi medievali, III (1926-1927), pp. 7-28; G. Arnaldi, Fondazione e rifondazione dello Studio di Napoli in età sveva, in Università e società nel secoli XII-XVI, Pistoia 1982, pp. 81-105; M. Bellomo, Intorno a R. Beneventano: professore a Roma? [1985], rist. in Id., Medioevo edito e inedito, III, Profili di giuristi, Roma 1998, pp. 7-54; Id., La scienza del diritto al tempo di Federico II, in Federico II e le scienze, a cura di P. Toubert - A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 86-106; A. Paravicini Bagliani, Federico II e la Curia romana: rapporti culturali e scientifici, ibid., pp. 439-458; G. Santini, I ‘domini legum’ di Bologna dell’età di Federico II, in Federico II e Bologna, Bologna 1996, pp. 61-81; E. Cortese, R. Epifani (Epifanius, Epifanides) da Benevento, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), II, Bologna 2013, pp. 1712-1715.