VARANO, Rodolfo II da
Primogenito di Berardo II e di Bellafiore Brunforti da San Ginesio, nacque in data imprecisata, attorno al 1320, probabilmente a Camerino. Dopo la morte precoce del padre (1341) e soprattutto del nonno Gentile II (1355), ebbe un ruolo di preminenza rispetto ai fratelli Venanzio, Giovanni e Gentile; restò tuttavia tra di loro indiviso il controllo di numerosi beni e castra del contado camerinese, a conferma della natura fondamentalmente consortile della signoria varanesca.
La sua prima moglie fu Paolina di Gualtiero da Mogliano; in seconde nozze, Rodolfo sposò Camilla di Pinuccio Chiavelli, nipote di Guido Napolitano (il capostirpe della casata che signoreggiava Fabriano).
La politica matrimoniale dei da Varano, e quella di Rodolfo in particolare, fu per lo più circoscritta alla Marca di Ancona e dintorni. Oltre che coi Chiavelli, Rodolfo strinse legami con gli Smeducci di Sanseverino (grazie al matrimonio delle sue sorelle Sofia e Leda con due figli di Smeduccio di Nuccio), e coi Malatesta (sue due figlie Gentilina ed Elisabetta sposarono rispettivamente Galeazzo di Pandolfo II e Malatesta da Pesaro). Un’eccezione fu costituita dai matrimoni con gli Orsini (Guglielma sorella di Rodolfo con Rinaldo di Orso Orsini del ramo dei conti di Tagliacozzo, Nicoletta nipotina di Rodolfo con Giovanni di Orso Orsini, e Berardo (morto nel 1361) figlio di Rodolfo con Perna di Giordano Orsini).
La sua attività politico-militare iniziò nei primi anni Quaranta; nel 1343 fu citato in curia, insieme col nonno Gentile II e col fratello Giovanni, per aver invaso i castelli di Tolentino e San Ginesio, e per aver occupato tirannice Camerino. Alcuni anni dopo (1351) Clemente VI gli ordinò di restituire Monte Santo, un castrum del ducato di Spoleto.
L’eccentrica ubicazione di questa fortificazione dimostra che i da Varano in questa congiuntura non ebbero come obiettivo il dominio di un territorio coerente e compatto, ma il controllo di località strategicamente importanti, suscettibili di porli in posizione di forza di fronte ai maggiori attori politici della regione. Tale controllo era politicamente e finanziariamente remunerativo, soprattutto se supportato – come era abitudine di tutte le élites militari dell’epoca – da pratiche di intimidazione, miranti a ottenere le magistrature locali, e di estorsione. Ad esempio, nel 1351-52 la comunità di Amandola sborsò a Rodolfo diverse centinaia di ducati per mantenere la propria autonomia.
È molto dubbio nello stesso periodo (1350) Rodolfo abbia preso parte a una spedizione a Smirne (Turchia) contra infideles, come vuole Varino Favorino nei suoi Elogia (un testo encomiastico steso attorno al 1510); ma che abbia allora preso parte a vicende politicamente significative è certo. Secondo Matteo Villani, si unì a Luigi I d’Angiò, re d’Ungheria, nell’impresa militare nel Meridione; e soprattutto, nel 1354 giurò fedeltà nelle mani del cardinale legato Egidio Albornoz, allora in cerca di appoggi locali per il ripristino dell’autorità papale nella Marca d’Ancona e in Romagna. In cambio della sottomissione, Rodolfo ricevette in feudo San Ginesio e Tolentino (sul quest’ultima, i da Varano, e in specie il ramo degli Accoramboni – o Accurimboni –, esercitavano una pesante tutela da decenni). La concessione aveva una durata di dodici anni, ma nei fatti il dominio dei da Varano sui due castra, essenziali basi d’appoggio per il controllo della regione, non cessò più.
Il 17 marzo 1355 Innocenzo VI nominò Rodolfo comandante dell’esercito papale nella provincia (in provintia Marchie Anconitane pro Sancta Romana Ecclesia vexillifer), carica che Rodolfo ricopriva ancora nel 1362. Si scontrò in particolare coi Malatesta, riuscendo a catturarne esponenti autorevoli. Per certi versi il suo impegno per la causa papale sembrò rinverdire l’appartenenza dei da Varano (che avevano partecipato agli scontri degli anni Venti contro i ghibellini, v. Varano, Gentile II da in questo Dizionario) alle vecchie reti guelfe; ma in realtà l’azione dell’Albornoz aveva modificato gli equilibri di potere nel centro Italia, e l’abile e opportunistico posizionamento in tale contesto offrì a Rodolfo la possibilità di accrescere durevolmente la sua influenza politica nell’area regionale. Anche se i rapporti tra il legato e Rodolfo non furono privi di asperità, visto che (come riferisce Villani) egli fu per breve tempo imprigionato per ordine dell’Albornoz (1360), non mancarono, per i da Varano, positivi risvolti anche sul piano economico.
Nel 1362 ad esempio Rodolfo ottenne dal papa l’autorizzazione a importare vino, orzo e farro nelle sue terre, e un lasciapassare del 1363 dall’Albornoz attesta che Venanzio, fratello di Rodolfo, trasportava a sua volta cereali da Montecchio a Camerino.
Nel complesso, comunque, il ruolo dei da Varano rimase imperniato sulla difesa della provincia: partecipazione alla fortificazione di castelli nel territorio della Marca, e alla creazione di un sistema di segnalazione dei nemici (1366), e soprattutto condotte militari (al di fuori delle quali essi non ebbero a disposizione un esercito proprio di qualche consistenza). Rendendosi utile all’amministrazione pontificia, di cui era un importante partner, Rodolfo poté sfruttare al meglio la rete di relazioni tessute al servizio del Papato, anche su scala della penisola italiana.
Nel 1368, un suo delegato fu raccomandato da Urbano V a Giovanna I di Napoli ‘per certe questioni’. Cinque anni dopo, fu Gregorio XI a raccomandare Rodolfo alla regina per i suoi servigi militari. Nel frattempo, Rodolfo vide riconosciute le sue doti all’interno dello stesso tessuto di alleanze da quando fu eletto capitano di guerra di Firenze (1369).
Inevitabilmente, il maggiore impegno sul versante del funzionariato papale comportò un qualche allentamento, da parte di Rodolfo e dei da Varano, del controllo su Camerino. Negli anni 1350-1360, Rodolfo e i suoi fratelli non possono infatti essere definiti legittimi signori della città, che era governata da un comune popolare molto geloso delle sue prerogative.
Il proemio degli statuti riformati nel 1355 non segnala alcun predominio formale dei da Varano. Inoltre, nel 1369, quando fece trascrivere su pergamena parecchi privilegi antichi, il comune camerte non rinunciò a menzionare castra e terre di sua giurisdizione, anche se i da Varano li tenevano talvolta sotto la loro influenza.
Grazie alle loro reti diplomatiche e militari, alla loro posizione economica – il patrimonio fondiario, ma anche mulini da carta, gualchiere, e titoli del debito pubblico – e ad altri diritti (il patronato sulle chiese, talvolta indiviso come per la pieve di Favera), e infine grazie alla difesa del territorio che essi assicuravano, su Camerino Rodolfo e i da Varano esercitavano comunque un dominio di fatto. La Descriptio Marchiae dell’Albornoz, compilata tra il 1363 e il 1365, può dunque affermare che «dominus Rulphus e fratres» tenevano la città come tiranni («sine titulo, tirampnice») e che si erano impadroniti illegalmente di diversi castra (Sernano, Belforte, Penne San Giovanni) e rocche, mentre di altri castelli essi (o talvolta il solo Rodolfo) condividono il controllo coi comuni di Camerino o Tolentino. Il testo aggiunge infine che Rodolfo possedeva Castel Gismondo (in diocesi di Fermo) e governava legittimamente, «sub titulo et vicariatu», Tolentino, San Ginesio e Castel Manardo. Quello dei da Varano restava dunque un dominio eterogeneo (di fatto, di diritto), discontinuo, disperso su un ampio territorio, e coinvolgeva diversi attori.
Alcuni anni più tardi (1371) Anglic Grimoard, vicario generale del papa in Italia, soffermò la sua attenzione su Camerino: i fratelli da Varano pagano la taglia e rispondono alle convocazioni «ad parlamentum et ad exercitus», ma fra di loro «non sunt bene concordes», e anche la società cittadina è divisa. Il potere ampio, ma non assoluto, dei da Varano, e l’autonomia mantenuta dalle istituzioni popolari sono comunque confermate, nello stesso anno, da un procedimento che Rodolfo intentò di fronte al rettore della Marca contro il comune di Camerino che non gli aveva rimborsato un prestito concesso per allontanare la minaccia di una compagnia di mercenari.
A partire da quegli anni, anche Rodolfo e i da Varano poterono usufruire dell’istituto del vicariato in temporalibus, il sistema di delega adottato dall’Albornoz per confermare e mediatizzare, nello stesso tempo, l’autorità papale nelle province (come afferma Armand Jamme); esso rafforzò la legittimità del dominio varanesco e permise di istituzionalizzare la trasmissione (sempre subordinata al placet papale) del potere all’interno della famiglia, senza peraltro sopire le forti rivalità familiari. Nel 1371 Rodolfo fu menzionato nelle Praecepta di Grimoard come vicario di San Ginesio e Tolentino, e l’anno successivo Gregorio XI autorizzò la trasmissione dell’ufficio ai fratelli, per 5 anni, in caso di morte. Nel 1373 e poi di nuovo nel 1375 Rodolfo fu nominato vicario di Camerino; la città era affidata «ad gubernationem, statum, prehemientiam domini Rodolfi et fratrum».
Negli stessi anni Rodolfo esercitò la podesteria in diverse piccole località: a Camporotondo nel 1373, a Penne San Giovanni, Belforte, Sarnano nel 1374.
In questa prima metà degli anni Settanta, dunque, Rodolfo mantenne stretti rapporti con papa Gregorio, che probabilmente incontrò ad Avignone. Si impegnò al suo fianco sia finanziariamente, attraverso prestiti (almeno 9.000 fiorini), sia militarmente: fu chiamato a sostenere il pontefice contro i Visconti e si recò, con i fratelli, in Romagna (1373). Non riuscì tuttavia a far nominare vescovo di Camerino uno dei suoi nipoti; Gregorio XI si rifiutò di concedere la dispensa necessaria per la giovane età dell’aspirante.
La guerra degli Otto Santi (1375-1378) fra il papato e Firenze mise in estrema difficoltà Rodolfo, che era ancora al servizio della repubblica come capitano. All’inizio del conflitto mantenne i suoi impegni e rimase di stanza a Bologna, che si era a sua volta ribellata al papa; e ottenne da diverse terre marchigiane bisognose di protezione militare che lo riconoscessero come il loro dominus. Ovviamente Gregorio XI gli tolse (gennaio 1377) i vicariati di Tolentino e San Ginesio, peraltro a beneficio dei suoi stessi fratelli Giovanni e Gentile (che in quell’anno chiese e ottenne, d’intesa col comune, la concessione dello Studium generale in città). Vedendo minacciate le basi stesse del suo potere, Rodolfo abbandonò allora Firenze e passò nel campo papale prendendo il comando di diverse compagnie di mercenari bretoni (tra le quali quella di Sylvestre Bude); nell’ottobre fu sconfitto dall’esercito della città toscana, che lo aveva nel frattempo privato della cittadinanza e raffigurato in modo infamante su alcuni edifici pubblici.
Secondo un diario fiorentino anonimo, Rodolfo nel 1377 scampò anche a un tentativo di avvelenamento da parte del fratello Venanzio.
Altri problemi di schieramento furono posti a Rodolfo dal Grande Scisma; optò per il campo francese, e fu presente a Fondi, nel 1378, all’elezione di Clemente VII. Dalla primavera 1379, appare dunque come vicario in temporalibus del papa avignonese. Alcuni anni dopo (1382) offrì il suo supporto logistico a Luigi d’Angiò, pretendente al trono, in occasione della sua discesa in Italia. Gli Smeducci, a Sanseverino, si schierarono dalla parte di Carlo di Durazzo, e anche all’interno della famiglia da Varano non mancarono divergenze: la crisi aumentò dunque le tensioni locali ma offrì a Rodolfo occasioni per ampliare e rafforzare la sua presenza nella regione, ove continuò a svolgere un ruolo ambiguo di protettore e padrino.
I da Varano controllavano ancora (con la forza, o in conseguenza dell’indebitamento) numerosi castelli, strategici per la sicurezza del territorio camerte, e d’intesa col comune cittadino mossero guerra a Fabriano e Matelica; la pace fu stipulata nel 1383. Con Fermo, Ancona, Recanati e Perugia Rodolfo mantenne invece (dal 1380) accordi e alleanze personali; coi fratelli e nipoti negoziò inoltre (1380-1382) con le compagnie di mercenari legate all’una o all’altra obbedienza che devastavano la provincia, pretendendo dalle comunità il pagamento di forti somme per risparmiarle dal saccheggio. Assai numerosi – dispersi e disparati – furono i centri della Marca anconitana o del ducato di Spoleto che chiesero la protezione dei da Varano (nella Marca, secondo un elenco del 6 giugno 1380: le città di Camerino, Numana e Macerata, 7 terre, 12 castra e altri luoghi). Rodolfo in più casi anticipò parzialmente le somme versate ai mercenari (poi rimborsate con gli interessi), e collocò suoi fedeli in quei luoghi (ove talvolta mantenne, passato il pericolo, la sua influenza, come ad Amandola ove nel 1384 elesse il podestà).
Rodolfo risiedette spesso a Tolentino, saldamente controllata. In questa città fondò un ospedale, come risulta dal testamento (posteriore al 1377), e chiese di essere sepolto lì nel caso fosse morto in un luogo diverso da Camerino: di Camerino egli era cittadino, e nella cattedrale i da Varano possedevano una cappella da lui abbellita e scelta come luogo di sepoltura (un precedente testamento, nel 1373, previde solo una sepoltura in cattedrale, qualunque fosse stato il luogo della morte).
Rodolfo da Varano morì nel 1384.
A partire dalla fine del Trecento Rodolfo divenne un personaggio letterario: il tipo del signore alla buona, amante delle battute e dei bei conversari. Franco Sacchetti, che lo conobbe, lo mise in scena nel Trecentonovelle (nn. 7, 38-41, 90, 104, 182); diversi episodi furono ripresi da Poggio Bracciolini nelle Confabulationes (nn. 51-54, 75-76, 235, 255) e poi, nel Cinquecento, da Lodovico Domenichi nei suoi Detti et fatti di diversi signori et persone private. Anche gli umanisti mantennero viva la memoria di Rodolfo: il Platina lo annovera tra i tiranni che occuparono i territori papali, e ricorda l’aiuto dato ai bolognesi per ordine di Firenze (Vitae Pontificum Romanorum).
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