DE ANGELIS (di Angelo, d'Angelo, d'Angelis), Rodolfo
Nacque ad Altamura (Bari) nel 1595 da Claudio e da Eleonora La Forza, in una famiglia tra le più influenti della città. Intraprese la carriera ecclesiastica; nel 1609 ottenne il beneficio di S. Giovanni. Mostrò subito però scarse inclinazioni pastorali: era solito girare armato ed indossare abiti civili. La sua condotta lo portò nel 1611 in carcere. Il vicario apostolico G. B. Massi lo difese con veemenza e minacciò di scomunica il membro dell'Udienza provinciale, Antonio Altomare, se non lo avesse rilasciato, in rispetto della giurisdizione ecclesiastica cui spettava giudicare il De Angelis. Uscito di prigione, questi riprese la sua vita libertina che non gli impedì però, ancora chierico, di essere nominato nel 1622 vicario generale dal vicario capitolare G. G. Mari, ritornato ad Altamura dopo ventidue anni di interdetto inflitti alla città. Alla morte del Mari, nel dicembre 1624, il D. fu eletto all'unanimità vicario capitolare.
Sin da giovane il D. era stato fra gli affiliati della "compagnia della morte", una banda di facinorosi che consumava i propri delitti soprattutto nell'ambiente ecclesiastico e che ammetteva nelle sue fila solo coloro che avessero all'attivo almeno quattro omicidi. Probabilmente proprio per prendere parte alle imprese della compagnia, quattro mesi dopo la sua elezione il D. rinunciò all'incarico e si allontanò definitivamente da Altamura. Ricercato per vari delitti, fu arrestato nel 1625 a Sorrento insieme con Antonino Donnorso.
La condizione di prelato del D. scatenò una serie di conflitti di competenza fra le autorità giudiziarie dal momento che Roma voleva avocare a sé la causa mentre il viceré duca d'Alba desiderava che il processo fosse celebrato davanti ad un tribunale civile. Le pressioni delle autorità civili non ebbero risultato; nel marzo 1627 fu inutilmente proposto che la causa venisse affidata al vescovo di Mottola, fra Serafino da Nocera, quale giudice territoriale competente, poiché l'arresto del D. era avvenuto a Sorrento. La causa iniziò nel luglio 1630 ma poco dopo il D. venne trasferito a Roma dove fu condannato a sette anni di confino a Viterbo, poi ridotti a due.
Tornato in libertà, nel 1636 il D. fu implicato nella congiura antispagnola dell'agostiniano Epifanio Fioravanti.
Il Fioravanti, elemosiniere del cardinale Maurizio di Savoia, scoperto a disegnare la carta delle fortificazioni di Taranto e arrestato, rivelò nei dettagli un progetto di sollevazione generale del Regno e di intervento militare contro gli Spagnoli, lungamente elaborato alle corti di Parigi, di Torino e di Roma. A seguito di queste rivelazioni fu arrestato, con molti altri, anche il D., cui sarebbe spettato di fiancheggiare l'impresa sollevando la popolazione in Puglia.
L'inchiesta e il processo, assai deficati per l'importanza di molti personaggi implicati, si trascinarono a lungo ed ebbero grande risonanza. Ma poiché gli imputati di maggior prestigio in un modo o nell'altro riuscirono a sottrarsi alla cattura o alla condanna, fu il D. a subire le conseguenze peggiori: il tribunale speciale nominato dal viceré Medina de Las Torres lo condannò all'impiccagione. La sentenza fu eseguita nella piazza del Mercato di Napoli il 4 genn. 1640.
Fonti e Bibl.: F. Capecelatro, Degli ann. della città di Napoli, Napoli 1849, pp. 60, 126, 164; S. Volpicella, D. Giovanni Orefice principe di Sanz decapitato in Napoli nel 1640, in Arch. stor. per le prov. napol., III (1878), p. 734; Id., Relazione diretta. al sig. duca di Medina de Las Torres, ibid., IV (1879), p. 236; G. Carignani, Tentativi di Tommaso di Savoia per impadronirsi del Regno di Napoli, ibid., VI (1881), pp. 665 ss.; L. Amabile, Fra Tommaso Pignatelli. La sua congiura e la sua morte, Napoli 1887, pp. 171 ss.; Appendice, pp. 96, 140, 142 s., 150 s., 162-70, 173-78, 191 s., 198; O. Serena, R. D., in Rass. pugliese di scienze lettere ed arti, XXI (1904-1905), pp. 65-68, 129-32, 257-62; A. Bulifon, Giornali di Napoli dal MDXLVII al MDCCVI, Napoli 1932, I, p. 174; R. Villari, La rivolta antispagnola a Napoli, Roma-Bari 1976, p. 133.