COLLOREDO, Rodolfo
Nato il 2 nov. 1585 a Budweiss (od. České Budějovice) in Boemia, il C. è uno dei nove figli maschi della contessa Paola di Polcenigo e di Ludovico, dell'anno del ramo d'Asquino della nobile famiglia dei Colloredo.
A Ludovico - congiuntamente ai fratelli Federico (cameriere di Ferdinando I, maggiordomo di Massimiliano II, inviato per conto di questo in Inghilterra: cfr. G. Braida, Un Colloredo in Inghilterra, in Mem. stor. forogiuliesi, X [1914], pp. 70-73) e Lelio (1544-1602: cavaliere di Malta combatte in Ungheria, in Fiandra ed è pure presente a Lepanto; nel 1592è "cameriere grandemente amato" dell'arciduca Ernesto, come scrive l'inviato veneto in Polonia Piero Duodo da Vienna il 30 maggio in Fontes rerum Polonicarum..., s. 2, I, Venetiis 1892-1902, p. 223) - Rodolfo II confermerà nel 1588 i privilegie i titoli dei Waldsee conferendogli, inoltre, nel 1591 il baronato ereditario dell'Impero ("iura baronis habet" si ricorderà in R. Coronini di Cronberg, Fastorum Goritiensium liber I..., Viennae 1772, p. 26)col predicato, appunto, di Waldsee e la connessa arma gentilizia. Riconoscimenti che sanciscono l'autorevole posizione di Ludovico, il quale, già scudiero del granduca di Toscana Cosimo I, divenne poi ministro imperiale nonché, per tre volte, deputato degli stati provinciali della contea goriziana. Una posizione, pertanto, che costituisce la miglior premessa per l'affermazione dei figli, tutti avvantaggiati da un'accurata educazione signorile. E tra, questi è il C. quello che più nettamente si distingue, anche se non sappiamo se sia egli quel "tal Colloredo" che, come scrive Sarpi a Castrino il 25 nov. 1609, l'imperatore invierebbe "a pigliare il ritratto della terzogenita di Savoia per trattar matrimonio" (Lettere ai protestanti, a cura di M. D. Busnelli, II, Bari 1931, p. 62).Certo, comunque, che già in quel torno di tempo la sua camera era brillantemente avviata: Rodolfo II, suo padrino di battesimo, l'ha insignito appena neonato d'una ricca commenda, quella di Grostinz, in Slesia e l'ha voluto ben presto presso di sé quale paggio, quindi scalco e infine coppiere. Presente nel 1608 nella schiera di cavalieri parteggianti per l'imperatore contrastato da Mattia, il C. ha l'onore di reggere lo stendardo cesareo; in tale veste s'incontra più volte col fratello Cristoforo, latore, invece, di quello del secondo, ed entrambi concorrono ad appianare, momentaneamente, la tensione tra i due Asburgo. A capo di cinque compagnie d'archibugieri nel ducato di Cleve quando è in corso la disputa per la successione, il C. nel 1611 è di nuovo a fianco di Rodolfo più pericolosamente minacciato dal fratello Mattia. Efficace, in tale occasione, il suo apporto: concorre, alla presa della natia Budweiss, di Tabor, della stessa Praga. Morto Rodolfo e subentratogli Mattia, rifiuta l'offerta del grado di colonnello col comando d'un reggimento e preferisce passare al servizio dell'arciduca Ferdinando, trasferendosi quindi ad Innsbruck per sovrintendervi, per conto di Massimiliano, all'arruolamento di truppe. Dopo un rapido soggiorno in Lombardia raggiunge Malta divenendovi cavaliere dell'Ordine assolvendo al faticoso obbligo delle "carovane" sopra le galee e combattendo, poi, contro i Turchi in Ungheria; d'ora in poi non disdegnerà di figurare (e così firma e' sottoscrive) come "fra Rodolfo da Coloredo". "Venturiere" nello Stato di Milano, vi perde due fratelli, Federico e Ferdinando pur essi militanti per la Spagna. Scoppiata la guerra di Gradisca, perora, per conto degli stati provinciali di Gorizia, alla corte di Graz la necessità d'un'intensificata difesa della disastrata contea; preposto ad oltre dieci compagnie "franche" e a 50 archibugieri, partecipa quindi, in prima persona, alle operazioni belliche segnalandosi, nel 1617, soprattutto in un fortunato attacco di sorpresa del 12 gennaio a Crauglio e in un vittorioso scontro, nel corso del quale viene ferito, del 15 marzo presso Gradisca. Sopravvenuta la pace, il C. è inviato dal plenipotenziario Karl von Harrach a Segna "perché, come confiscati, incamerasse nella regia camera tutti li beni che ritrovasse di ragione" dell'uscocco "Ferletich e degli altri suoi compagni". Suo compito inoltre restituire alcune località occupate e ricevere, a sua volta, vari "luochi" istriani quali "Moschenizze e Bersez".
Non tutto scorre liscio ché, per quanto munito di "patenti" che lo qualificano diffusamente "libero barone di Valsa, comendador di S. Giovanni, cameriere della... maestà di Boemia et luogotenente collonello", il provveditore della cavalleria in Istria Alvise Zorzi non ritiene queste implichino l'"auttorità" necessaria "per renontiar" nelle sue mani "la piazza di Zimino". Donde l'attesa - mentre il C. a sua volta rallenta, per ritorsione, la "partita" degli uscocchi - d'una "scrittura più ampla et authentica", che ritarda la consegna sino al 13 apr. 1618. Quanto alla "nota di 120 uscocchi" cui fu ingiunto d'abbandonare Segna, il C. si mostra accondiscendente: essendo parso "imperfetto" ai commissari veneziani "l'editto formato per il bando", rivede e allunga la lista sulla base dei loro desideri. In merito, poi, alle "barche da abbrugiarsi alcune vengono distrutte, altre - "quelle del re" - vendute; "et, circa il capitano di Segna et il stipendio del presidio, fu promesso" dal C. "quanto", da parte veneziana, "si desiderava". Ed è quindi, il C. a ricevere dai Veneziani, il 25 luglio, "Bersez e Moschienizze", e il 28 Antignana.
Divenuto imperatore Ferdinando, il C. e tra i più apprezzati colonnelli imperiali; arduo però distinguere, sulla base dei resoconti del tempo che spesso omettono il nome, il suo operato da quello di un altro, se non, addirittura, di altri due suoi fratelli - in tal caso entrambi, così almeno risulta dalle ricerche genealogiche del Crollalanza, di nome Girolamo (uno sarebbe caduto combattendo nel 1638. l'altro sarebbe morto nel 1657; da un altro genealogista coevo, l'Antonini, pare, invece, ci sia un solo Girolamo; e ciò è, forse, più probabile) - pur essi attivi alti ufficiali dell'Impero. Presente, comunque, nei vari teatri d'operazione - Ungheria Boemia Valtellina Danimarca Slesia Alsazia -, il suo prestigio è formalmente rassodato dal titolo di "Wohlgebom" (illustre) conferitogli il 12 maggio 1623, da Ferdinando, cui s'aggiunge, il 10 maggio 1624, quello di conte di Waldsee e di signore d'Opočno (confiscata questa al nobile ribelle Adamo Trocza) e Dobra. E il fatto che Wallenstein l'includa, nel vagheggiare una personale spedizione orientale, tra gli otto "cavalieri di commando" che gli devono essere "compagni", significa che il C., se non altro sotto il profilo professionale, ne godeva la stima. Ma la realtà scompagina i fantasiosi disegni del grande condottiero e immette il C. nel pieno del molto meno glorioso assedio di Mantova.
È a capo d'un formidabile reggimento di 4.200 fanti e di 400 cavalieri scelti che scende, rovinoso al pari delle altre "male bande di uomini micidiali", in Lombardia nel settembre del 1629; il 24 è a Bellano ove concede all'atterrito letterato Sigismondo Boldoni "una guardia tedesca" per evitare il saccheggio alla sua casa. Ed evidentemente in vena d'eruditi conversari - momentanea pausa delle marziali fatiche -, il C. si reca, il 26, a trovarlo: "postomi a discorrere con lui - così Boldoni - di storia, degli antichi costumi e confini de' Germani, di repente svenni e per mezz'ora perdetti i sensi con gran dolore di quello".
Decisa, a Lodi, il 15 ottobre, in una riunione presieduta dal Collalto alla quale il C. partecipa, l'avanzata nel ducato, il C. è tra i principali responsabili dei successivi avvenimenti non sempre per lui fortunati ché, alla fine del 1629, le sue truppe sono respinte dal conte d'Arco ed egli stesso rimane leggermente ferito.
Di rilievo, nel luglio del 1630, il suo ruolo nella presa e nel primo saccheggio della città: sbarca alla Porta del Voltoscuro il 17, ne passa a fil di spada il corpo di guardia, irrompe coi suoi nel cortile del castello. A Mantova si insedia, tenace occupante anche dopo la "partita" del feroce Aldringen. Illusione se ne vada presto anch'egli si che restino, come scrive, il 9 giugno 1631, il Testi, "svanite e morte per sempre le pretensioni di cavar danari da questi stati". Purtroppo, avido e spietato, il C. "è ristato", in ottemperanza a quanto disposto dal commissario generale e pienipotenziario imperiale Galasso il quale, ancora il 31 maggio, gli aveva scritto da Cherasco che, in esecuzione del "concertato... in Cherasco in conseguenza del capitolato di Ratisbona", spetta a lui provvedere "sia... consignato al... Gonzaga... il possesso di tutte le terre luoghi del Mantovano, eccetto che di Mantova Porto e Canetto, affine che restino a libera dispositione del medesimo duca". In merito "alle fortificazioni fatte da noi - aveva aggiunto Galasso - farà Vostra Signoria... demolire tutta quella parte che potrà", a partire dalla data della "ricevuta" dell'ordine sino a quella della "remissione del possesso". E il C., il 9 giugno, concorda, in un incontro col marchese di Pomaro Annibale Gonzaga, le modalità dello sgombero e del reintegro. Operazioni comunque che si prolungano sino al 4 settembre, quando "cominciarono... a marciare fuori di Porta Pradella andando sul Cremonese li reggimenti Colloredo Kinik Sassonia e Piccolomini, li quali erano diminuiti cotanto che in tutto non ascendevano a 2.000 soldati. In mezzo ad essi andavano moltissimi carriaggi pieni di ricco bottino". Almeno 50 grossi carri colmi del frutto delle ultime razzie, la cui responsabilità grava in parte anche sul Colloredo. È certo, infatti, che su questo piano s'era ben distinto addirittura esagerando rispetto agli altri se lo scomparso Collalto, in una lettera, non datata ma comunque anteriore all'ottobre del 1630, a Aldringen, oltre a minacciare castighi per quanti avevano svaligiato il Monte di pietà, aveva ordinato d'indagare se il C. ne aveva avuto un particolare tornaconto. Certo altresì che, lasciando Mantova, il C. - che, nel firattempo, ha pure cercato d'estorcere al duca di Modena, pur esentato dallo imperatore, un contributo di 36 mila talleri, accompagnando (così il duca per bocca di Testi) "questa sua richiesta con termini che haverebbe forse vinta la pazienza d'ogni altro fuorché la nostra" - non può più setacciarla per ulteriori ruberie. Ad ogni modo, quando, il 12 ottobre, transita per Coira, il suo bagaglio è cospicuo, ed egli è, per di più, forte della promozione a sergente generale di battaglia.
Di spicco la sua partecipazione, al comando della fanteria, alla battaglia di Lützen - che, peraltro, di contro al parere di Wallenstein e di altri generali, aveva consigliato di evitare - del 16 nov. 1632: non solo blocca lo scompaginamento delle schiere vacillanti, ma riesce a ributtare gli assalti delle truppe scelte di Gustavo Adolfo. Privo di soccorsi deve, tuttavia, arretrare sino a Lipsia donde tenta un vigoroso rilancio. Ma deve, suo malgrado, desistere quasi dissanguato per le ferite (pare siano state sette); e a fatica i medici lo sottraggono alla morte. Promosso generale dell'artiglieria, a lui si deve la fusione di molti cannoni su nuovi modelli, che, marcati colla sua insegna, saranno adoperati a lungo. Ulteriore avanzamento di carriera "la collatione in sua persona - come informa il residente veneto a Vienna Antonio Antelmi il 15 ott. 1633 - del marascialato del campo". Nel novembre tenta, "con alcuni reggimenti d'infanteria et cavalleria", di soccorrere Ratisbona; caduta questa, Wallenstein l'invia "con cinque reggimenti d'infanteria nella... provincia di Slesia" alla fine di dicembre. Qui, una volta emerso alla luce del sole e ormai incomponibile il contrasto tra Wallenstein e Ferdinando II, il C. è, all'inizio del 1634, tra i più decisi fautori del secondo: a lui il compito "di trattenere quanto può le genti" di Johann Hans Georg von Arnim Boitzenburg sì che non possano soccorrere il condottiero ribelle. Nel novero dei generali lealisti cui l'imperatore fa appello nel denunciare il tradimento di questi, non solo controlla gli accenni di connivenza serpeggianti all'interno dei 12 reggimenti a lui sottoposti, ma riesce a imprigionare Schaffgotsch, un colonnello tra i "congiurati in Slesia" che, per ordine di Wallenstein, aveva tentato, a sua volta, d'"arrestarlo".
Giunto - racconterà il 4 marzo Antelmi - "Sciocfus" al suo "quartiere", il C., "condotolo in stanza, in disparte con segno di profondamente ubedirlo, fece da una porta segreta avanzare le proprie guardie che s'assicurarono del Sciocfus, communicandogli il commando di Sua Maestà, che di ragione doveva prevalere a quello di un già reprebato ministro". E il C. opera pure altri arresti: "ora ò messo in aresto" Heinrich Kustos, scrive egli stesso a Galasso il 2 marzo.
Una fedeltà che l'imperatore ricompensa: da un altro dispaccio, del 29 aprile, d'Antelmi risulta, infatti, che pure al C. tocca una parte dei "beni già del Waldstein". Al "commando dell'armata in Slesia", il C. allarga il raggio dei suoi interventi con sorti alterne: nel maggio è battuto presso Liegnitz da Arnim e Heinrich Mathias Thurn, pur disponendo d'ingenti forze (82 compagnie di fanti e 4 reggimenti di cavalleria, a detta di Gualdo Priorato); "qui corre voce - scrive da Roma il 19 agosto Fulvio Testi, al quale già il 21 giugno era giunta notizia d'un duro colpo inflitto dal C. ad Arnim - che il Maradas" e il C. "habbiano dato una grandissima rotta alle genti di Sassonia vicino a Praga". Ora si batte contro Johan Gustafsson Baner, ora fronteggia Lennart Torstenson. E si sa che nel dicembre del 1635 tenta invano d'impadronirsi di Porrentruy (ove ha delle connivenze tra i gesuiti) e che nel 1636, incautamente penetrato in profondità al di là della Mosella, è severamente battuto dal maresciallo Armand Nompar de Caumont La Force presso Baccarat e costretto ad una temporanea e, peraltro, riguardosissima prigionia in mano francese. Momentanea disavventura che non scalza la sua posizione, come, d'altronde, non l'hanno precedentemente insidiata "delle lamentatione fatte di quelli di Boemia" contro di lui, cui s'accenna, in una lettera del 10 febbr. 1635, ad Ottavio Piccolomini nella quale si prevede per il C. "qualche fastidio". Il C. è sempre, come annotano nella relazione del 18 febbr. 1638 gli inviati veneti Renier Zeno e Angelo Contarini, tra i "cinque... marescialli generali di campo" dell'Impero. Ed è altresì membro del Consiglio di guerra. Personaggio di gran credito, quindi, cui, il 13 ag. 1636, è stato conferito il titolo di "Hoch und Wohlgeborn" (molto illustre) e che, nel 1637, è, anche, eletto gran priore dell'Ordine di Malta, alla sua "autorità" si raccomanda, il 22 dic. 1644, il duca Francesco d'Este perché protegga il domenicano Spirito da Rivalta allora a Vienna.
Trasferitosi a Praga a soprintendervi le armi del regno di Boemia, nel quale detiene, pure, il gran priorato del suo Ordine, il C. subisce, il 26 luglio 1648, il cocente smacco d'un audacissimo colpo di mano svedese, l'"impresa la più ardita, la più importante", commenta ammirato l'ambasciatore veneziano Nicolò Sagredo.
Con appena "due mille o poco più huomini" Hans Christofer Königsmarck irrompe senza trovare "resistenza" ed occupa la piccola città con il castello. Di tutta la "famiglia del C., "composta d'oltre cento persone solo egli riesce a sfuggire, precisa Sagredo il 7 agosto: tra i catturati figurano ben due Colloredo, un "conte Nicolò" e Curzio fratello questi del poeta Ermes. Anche se i profili elogiativi dedicati al C. insistono sull'energia con la quale egli organizzò la difesa della città impedendone l'occupazione completa, resta il fatto che la "sorpresa" fu addebitata alla sua imprevidenza. Scartata l'ipotesi di "intelligenza" tra gli abitanti, "in universale - così Sagredo - s'accusa di transcuragine il... Colloredo general del regno e comandante in essa" Praga.
Sopravvenuta la pace ed effettuato lo sgombero degli occupanti, in questa egli rimane con il prestigio, però, scosso anche per l'età ormai avanzata. Col passare degli anni le sue capacità s'appannano, la sua figura si ridimensiona. È ormai un sopravvissuto; gli onori e i titoli accumulati non bastano a sottrarlo all'avvilimento dell'emarginazione. Crudamente lo rileva la relazione, del 25 febbr. 1655, del diplomatico veneziano Girolamo Giustinian: "due sono in Praga" i consiglieri "segreti", osserva questi; uno, il burgravio Maximilian Valentin Martinic, è "intelligente, applicato, capace, dotto, virtuoso, uno de' migliori di questa corte" di Vienna, della cui presenza nella capitale boema l'imperatore "ha bisogno"; l'altro, il C., "pur resta in Praga, seben l'imperator non ne ha bisogno né là né alla corte". Sull'impotente senilità del devoto servitore asburgico non poteva calare epigrafe più impietosa. Ormai accantonato a Praga il C. si spegne all'inizio del 1657.
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