BOCCALINI, Rodolfo
Primogenito di Traiano, nacque dopo il 1584, anno del matrimonio del padre con Ersilia Ghislieri. Il B. era già adulto e, abbracciata la vita ecclesiastica, risiedeva a Roma, quando il padre si trasferì a Venezia ove morì 11 29 nov. 1613. In tale occasione il B. accorse da Roma e dai più intimi di Traiano apprese l'intenzione di far pubblicare anche i più imprudenti dei Ragguagli; lo incoraggiò a rispettare le disposizioni paterne il benedettino Angelo Grillo, che aveva introdotto Traiano nell'ambiente veneziano. Tuttavia la vagheggiata pubblicazione della Centuria postuma non venne mai realizzata.
Di nuovo a Roma, non sappiamo qual rango vi rivestisse e ne ignoriamo le precise mansioni: "parti" del Consiglio dei Dieci del 1627-29 lo dicono "don Ridolfo", "abate Ridolfo", mentre Gregorio Leti, disinvolto e spericolato manipolatore ed "inventore" delle "Lettere istoriche e politiche" di Traiano, nell'ammettere che tra queste "se ne trovano molte" del B., lo chiama, ancor più genericamente, "signor Ridolfo". Privo di saldi convincimenti e di scrupoli morali, si ha comunque l'impressione che la sua vita nella città papale trascorresse immeschinita e affannata dall'estenuante piccolo cabotaggio connesso con la sua certa veste di informatore venale a vantaggio di Venezia e, forse, della Francia, sempre a caccia di notizie e sempre pronto a trasmetterle, anche se di scarso rilievo e confinanti col pettegolezzo. Chiacchierone e pauroso, resta confinato nel petulante sottobosco dei piccoli spioni ed intriganti, i cui modesti compensi erano spesso amareggiati da improvvisi ordini d'incarcerazione. Come avvenne appunto pel B., il quale, con pudibonda reticenza, faceva più tardi notare al Consiglio dei Dieci quanto gli fosse costato il suo attaccamento alla Repubblica (è da presumere tutt'altro che gratuito) essendosi buscato ‟nelle turbolenze del Pontificato di Gregorio XV" il carcere "con l'intacco si puol dire della vita medesima".
Nel 1623 appare come confidente di Renier Zeno, ambasciatore veneto a Roma. Nel 1627, il fratello del B., Aurelio, presentava al Consiglio dei Dieci una lettera, sottoscritta da entrambi, in cui si proponeva la cessione alla Repubblica dell'originale paterno delle Osservazioni su Tacito, nella speranza che questa provvedesse a degnamente pubblicarle.
L'accenno al vivissimo interesse del re di Francia a promuoverne l'edizione rendeva ancor più prezioso il dono. In realtà di tale interesse è più che lecito dubitare: il più impudente bisogno di lucro spingeva i fratelli, non filiale culto dell'opera di Traiano, che autorizzavano a ritoccare in tutti i sensi: "aggiungere o diminuire ove più fosse stimato a proposito". E a tal fine avanzavano la tesi, data come certa, della morte del padre per veleno spagnolo: mettendo in luce come Traiano, col suo amore per la libertà veneta, avesse attirato le ire della Corona cattolica, e insistendo sulle conseguenze, per la loro famiglia, della sua fine repentina ("pose... con gravissimo danno della sua casa un non plus ultra alle fortune de' suoi figliuoli"), miravano a rendere finanziariamente fruttifera la consegna del codice. Qualcosa ottennero infatti, anche se meno di quanto speravano: un vitalizio di 12 ducati mensili. Quanto alle Osservazioni, non vennero pubblicate per ragioni di opportunità.Partito Aurelio, era stato il B. a seguire la pratica per tutto il 1628. Tutt'altro che limpido il suo soggiorno lagunare e non solo assorbito dal passare dalle richieste più esose ai cedimenti più umilianti e accondiscendenti di fronte alla fermezza del Consiglio dei Dieci, che escludeva risolutamente la stampa delle Osservazioni.
Dapprima si trattenne in casa del procuratore Zeno; ed è probabile sia il B., piuttosto che il fratello Aurelio, a tenere i contatti tra questo (che, con scarsa fortuna, voleva apparire devoto e filoromano) e il nunzio Agucchi, anche se il prelato parla di "frate Boccalini", come in genere si denominava Aurelio. Le manovre del B. non erano sfuggite agli Inquisitori di Stato che lo facevano sorvegliare; e l'Agucchi l'aveva messo in guardia "facendo anche avvisare il Zeno". Quando poi si tentò di assassinare l'influente patrizio, il B., dietro richiesta dello stesso Zeno, aveva messo per iscritto, deformandone la "sostanza", le parole pronunciategli dal nunzio non appena appresa la notizia; e la "relatione" girava per Venezia, ove al nunzio si faceva dire indispensabile "anche per servitio dell'istessa S. Sede" la nobile attività di Renier Zeno. I termini, generici, di rincrescimento in cui s'era espresso il nunzio divenivano in tal modo angoscia e condanna di uno "scelerato assassinamento", tentato ai danni di chi era "amato" dal nunzio, e quindi da Roma, "come figliolo". Ad evitare ulteriori distorsioni delle sue parole che facilitassero, al di là di quanto convenisse, le ambizioni politiche del patrizio, l'Agucchi, chiamato il B., gli fece una severa "riprensione".
Rimasto quindi "per alcuni pochi mesi" nel "monasterio delli minori conventuali" - sono gli stessi Inquisitori di Stato a ricostruirne le vicende veneziane dietro richiesta dell'ambasciatore a Roma Angelo Contarini -, il B. si trasferì successivamente in un "casino", predispostogli dallo Zeno in calle del Forno a S. Geremia, convivendovi con "una meretrice" solita frequentare una casa prossima al palazzo dell'ambasciatore spagnolo. Ultima dimora veneziana del B. fu la residenza della contessa Isabella di Collalto, vedova di Antonio. Certi erano comunque per gli Inquisitori di Stato i contatti del B. col rappresentante spagnolo e altri "ministri de' principi"; e l'ambasciatore Contarini riferiva per di più che era, con tutta probabilità, il B. ad avvisare "il cardinal Borgia qui [a Roma] di molte cose segrete del Senato".
Il B. partì infine da Venezia "con poco gusto" dello Zeno, "per causa di robbe" prestate e non restituite. Il 10 nov. 1629 Angelo Contarini, avvisando il Senato del passaggio per Roma della "duchessa di Roano" - Margherita de Béthune, figlia del Sully, moglie di Henri de Rohan - accompagnata dalla "contessa di Collalto" (che ospitò il B. a Venezia), aggiungeva che faceva parte del seguito pure il B. "essendo stato da per tutto fino qua suo [della duchessa] procuratore o paraninfo"; il quale, "ristato" a Roma "dopo lei", chera proseguita per Napoli, era stato "carcerato", senza che se ne sapesse "la certa cagione". Varie le ipotesi fatte in seguito, ritenendo "puro pretesto" la "colpa addossatagli di materia d'inquisitione", tutte testimonianti, nella loro varietà e diversità, la serie di intrighi in cui il B. si era cacciato o comunque in cui lo si pensava coinvolto: "vien detto ch'egli habbia in Venetia parlato male del governo qui di Roma e del papa medesimo" o "che tenesse pratica col duca di Urbino nociva a gli interessi ecclesiastici".
Dell'arresto s'interessò persino, parlandone in udienza al papa, l'ambasciatore francese Filippo de Béthune, zio della duchessa di Rohan; di questa peraltro il B. "haveva orecchini et diamanti, per farne denari di valore di 7 mila scudi". Ammalatosi gravemente, il B., il 1º dic. 1629, fu dimesso dal carcere e trasferito a casa, comunque sotto rigida sorveglianza e di lì a pochi giorni, il 6 dicembre, morì "accorato per la sua disgratia".
La lettera del 23 febbr. 1630 di Giovanni Pesaro, successore del Contarini, agli Inquisitori di Stato rimane la più attendibile spiegazione della triste vicissitudine finale del B.: pretesto della sua prigionia fu l'"essersi accompagnato con la duchessa di Rolian", manifestando il proposito "di passar con essa in Holanda". Ma il vero motivo, "l'intention", della inaspettata reclusione "fu per ritrovargli scritture, con il concetto che ne havesse molte di momento et d'interesse di stato, et di corrispondenze diverse. L'ordine della captura della sua persona fu esseguito prematuramente", per cui, col B., non si riuscirono a "pigliare le scritture", che vennero così o sottratte o distrutte; e pare che il B. - lo aveva scritto il Contarini ancora il 29 novembre dell'anno precedente - fosse riuscito a far bruciare quelle rimaste a Venezia. D'altronde a Roma aveva potuto contare sul cognato Filippo Figliucci, cui arrivava la corrispondenza a lui destinata. Eliminato, o celato quanto poteva esserci di compromettente, svanirono i motivi della reclusione del B., "il che cagionò che fu cavato dall'inquisitione inocente di essa et di colpa di ragion di stato. Et morì per indisposition naturale, senza imaginabile arte o violenza". Altre "scritture", con tutta probabilità di Traiano, "furono consignate all'ambasciator di Toscana", che "si crede", concludeva il Pesaro, "le haver mandate al gran duca".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Inquisitori di Stato, 165, nn. 98-100, 106, 108; 471, lett. dello Zeno da Roma del 3 ott. 1623; 472, lett. da Roma del Contarini del 10 e 24 novembre e 8 dic. 1629, lett. da Roma del Pesaro del 9 e 23 febbr. 1629 (m. v.); Ibid., Senato. Dispacci Roma, f. 89 n. 499; f. 101 nn. 557, 569, 572; Arch. Segreto Vat., Dispacci del nunzio a Venezia alla Segreteria di Stato, 50, cc. 36v, 50r-52r; T. Boccalini, La Bilancia politica di tutte le opere, Castellana 1678, I, a cura di L. Dumay, in "Lo Stampatore a chi legge", III, a cura di G. Leti in "Risposta" del Leti a Widerhold; Id., Ragguagli di Parnaso e scritti minori, a cura di L. Firpo, III, Bari 1948, pp. 529, 552-553; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, pp. 1376-77; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, IV, Venezia 1834, pp. 356, 359-360, 363-365, 368-372; C. Teoli, in T. Boccalini, Pietra del Paragone Politico, Milano 1863, pp. VII, X, XVIII-XXVI; F. Beneducci, Lettere del Boccalini, in Racc. di studii critici dedicata ad A. D'Ancona, Firenze 1901, p. 69; G. Nascimbeni, Sulla morte di Traiano B., in Giorn. stor. della lett. ital., LII (1908), pp. 71-79, 92; A. Rinaldi, Traiano B. e la sua critica letteraria, Venezia 1933, p. 7; L. Firpo, T. Boccalini ed il suo pseudo epistolario, in Giorn. stor. della lett. ital., CXIX (1942), p. 109; G. Cozzi, Il doge Nicolò Contarini. Ric. sul patriziato veneziano agli inizi del Seicento, Venezia-Roma 1958, pp. 253-254 n. 3.