BELENZANI, Rodolfo
Appartenente a un nobile casato di Trento che aveva costruito la sua fortuna economica amministrando e sfruttando i feudi del vescovo-principe (un suo ascendente, Guglielmo, era stato vicario e giudice di curia al tempo dello splendido episcopato di Bartolomeo Querini), il B. nacque nella seconda metà del sec. XIV, proprio quarido, in seguito alle "compattate" concluse il 18 sett. 1363, il principato si consegnava nelle mani dell'avvocato ereditario Rodolfo IV duca d'Austria, conte del Tirolo, e iniziava quindi l'infiltrazione della feudalità transalpina. Per maggior esattezza, dato che nel 1391 il B. era ancora "pupillo", mentre nel 1407 già appare al vertice del potere cittadino, si potrebbe fissare l'anno di nascita intorno al 1372.
Inizialmente, per quanto rimasto orfano di padre, non risentì della mutata situazione politica. Era ancora in giovanissima età (1385-87), quando - tutore il giurisperito Bonaventura de Calapini - il vescovo Alberto de Ortenburg lo investì di alcuni possessi siti in Pressano (già di competenza paterna), di una decima a Covelo, nella pieve di Calavino, della metà del dazio di Rio Malo di Lavarone, oltre che di altri benefici. Le investiture furono rinnovate il 5. maggio 1391 dal nuovo vescovo di Trento, il moravo Giorgio I di Liechtenstein. Il B. godeva anche di cospicui beni allodiali, come il castello di Pietrapiana, nonché di altre terre e case.
Il buon patrimonio e una certa inclinazione agli studi fecero di lui un giovane discretamente istruito (conosceva il latino e il tedesco, e la sua scrittura, quale risulta da un autografo, tradisce una mano tutt'altro che rozza), cui non mancava la confidenza con gli ambienti culturali del tempo.
Il B. era legato a un non ignoto umanista, il dottore in arti Pietro Tommasi; altri amici aveva a Padova, non si sa se perché giuristi patavini si trapiantarono a Trento, dove - è il caso di Giovanni Ludovico Lambertacci e di Alessandro dei Dottori divennero vicari nella curia del vescovo, o se perché egli stesso talora dimorò a Padova, frequentandovi lo Studio. Certo, di conoscenze giuridiche - come le sue future vicende proveranno - era tutt'altro che privo; e, del resto, dove mai avrebbe potuto stringere amicizia con maestri come Giovannino e Gaio se non a Padova? A costoro, e, a Pietro Tommasi, in una lettera scritta, dal castello di Pietrapiana per mano dell'amico Nicolò de Murlini e da lui firmata (25 luglio di non si sa quale anno) il B. manifesta l'augurio cordiale di averli ospiti a Trento, nella sua bella terra, dove (e la notazione è preziosa perché intrisa di gusti cavallereschi appena sfiorati dall'umanesimo) l'abbondanza dei beni, le eccellenti annerie (per chi aspira al diletto delle armi) e le biblioteche (per chi ama l'ozio dei libri) offriranno pause di vita gioiosa.
Ben presto, tuttavia, su queste i gnu di lieta giovinezza calò la minaccia di una grave crisi politica. La denuncia delle "compattate", con la quale il vescovo Giorgio si era ribellato al conte del Tirolo, pregiudicò radicalmente la posizione della feudalità locale. Al suo seguito il vescovo aveva portato un contingente nutrito di fedeli slavi e tedeschi che s'insediarono sui beni del principato, abbandonandosi inoltre a. violenze di ogni sorta. Allora la. nobikà trentina, facendo anche leva sul ribellismo endemico degli strati popolari, non trovò altra via di difesa che la lotta aperta. Guidata da Negro de' Negri di San Pietro, al grido di "Viva el popolo e el signore e mora y traditori", la sera del 2 febbr. 1407 assaltò il palazzo vescovile, saccheggiando anche la casa e i beni dell'odiatissimo vicario del vescovo, Franceschino di Sarnonico, e di suo fratello Giacomo. Colto alla sprovvista, scosso per giunta da rivolte scoppiate altrove (come in Val di Non e nelle Giudicarie), il vescovo Giorgio si piegò a confermare antichi privilegi e a concederne di nuovi: il "Comune di Popolo" s'affermava in pieno, strappando l'autogoverno e. avocando quindi nelle mani dei suoi rappresentanti - il "magister civium", o referendario, o capitano, e i membri dei "consilia" - il controllo delle forze militari e della politica tributaria.
In tale contesto di eventi comincia a emergere la personalità del Belenzani. Se anteriormente ben di rado il suo nome appariva in pubblici uffici (ma nel 1399 era membro di una giunta che trattava col vicario del vescovo l'ordinainento del mercato dei pesci e il problema del salario ai viticoltori, e nel 1406 era capitano del vescovo nel castello di Tenno), ora, pur non risultando presente al tumulto del 2 febbraio, viene fatto "capitano generale dei cittadin i e del popolo di Trento", e, quindi, investito di una notevole somma di poteri.
Era ancora relativamente giovane - intorno ai 35 anni -, ma doveva sapersi muovere in un gioco di forze eccezionalmente complesso: il vescovo Giorgio, nel tentativo di riacquistare il predominio sulla città, tradiva i patti giurati il 28 febbraio, cercando l'appoggio del condottiero Ottobono da Parma; il conte del Tirolo e duca d'Austria, Federico Tascavuota, offriva al B. appoggio in odio al vescovo; i nobili, i veri protagonisti della rivolta premevano per consolidarsi al potere, al di sotto, si agitavano le forze popolari e contadine ormai soffocate dalla recessione economica e dall'insostenibile peso fiscale.
Il B. cercò innanzitutto di liberarsi dal vescovo, prima imponendogli la consegna del castello del Buonconsiglio, e quindi, al suo drastico rifiuto, facendolo prigioniero. Contemporaneamente, forse timoroso, che le conquiste dei nobili fossero travolte dalla persistente volontà rivoluzionaria di forze popolari ora (10 aprile) di nuovo tumultuanti e sfrenate nel saccheggio dei beni vescovili, invocò l'aiuto del conte del Tirolo. Egli stesào andò a incontrare quest'ultimo a borgo San Michele; il conte, per premiarne i "fidelia servicia", gli promise in feudo il castello di Tenno, non appena l'avesse occupato, oppure il castello di Selva, con giurisdizione sulle "ville" di Selva e Levico, nonché un sussidio di 100 marche dì denari meranesi. Mentre il 16 aprile il duca Federico occupava Trento, il B. indugiava nell'assedio di Castel Pergine, che era in mano a un fedele del vescovo, Nicolò Trachter (la notizia viene da una lettera scritta di suo pugno a Nicolò Vintler, un ricco banchiere, per trattare un prestito al Comune).
Nel frattempo, tuttavia, stava maturando alle spalle del B. una svolta inattesa. Il duca Federico, dopo essersi appoggiato in un primo tempo alle forze locafi (è del 22 aprile una generosa conferma, presente anche in B., di varie "libertates" agli uomini e "università" delle valli di Non e di Sole), per umiliare ferocemente il vescovo Giorgio, si fece ben presto ostile, accentrando nelle mani sue e dei suoi fidi il controllo della città. Così, terminata la lotta contro la feudalità del vescovo, i nobili trentini si trovarono oppressi dalla feudalità dei duca. E il contrasto si riaccese violento.
Il 6 ott. 1407 il B. fu arrestato dal capitani del duca, e il suo arresto segnò la soppressione dell'ufficio di referendario. Egli evitò la prigione solo perché un amico, Pietro di Sporo, versò in cauzione 25.000 ducati. Allora, tornato libero, invece di presentarsi al duca il 6 genn. 1408, com'era nei patti, abbracciò il partito della lotta a oltranza. Così, mentre il suo mallevadore finiva in carcere con il figlio Giorgio, egli, nel territorio di Rovereto, arruolava armati contro il duca. Ma gli restavano scarse possibilità di successo o per interesse o per forza, non pochi nobili lo abbandonarono, o si schierarono addirittura contro di lui. Alla ricerca disperata di un areato, il B. si rivolse allora a Venezia, che nel corso della sua espansione in terraferma ormai si allungava, tramite l'amicizia con i Castelbarco di Val Lagarina, verso le terre del principato. Ma Venezia tergiversava: non si fidava del ribelle. Neppure si fidò quando, con un colpo fortunato, il B. si impadronì di Trento e le offri la città in dedizione. La Repubblica sperava l'annessione dalle mani dello stesso, duca. L'alternativa sfumò quando la città cadde per il ritorno dei ducali, e il B. fu ferito a morte: 5 luglio 1409.
Così fini il B.: "Et fuit - nota un cronista (Antiche cronache...) - nobilis et magnanimus civis tridentinus". Nel fatto di essere nobile, cioè esponente di quel ceto vassallatico che doveva il suo successo e avanzamento alla debolezza della feudalità maggiore dei duchi e vescovi - e non, come credette il Pincio (un cortigiano dei vescovi Clesio e Madruzzo), in un sacrilego slancio libertario in odio al clero; e neppure, come immaginò il Reich, in un'affermazione di patriottismo contro lo straniero stà il significato della sua azione. Egli non fu tanto contro il vescovo o il duca, quanto contro le loro rispettive feudalità; neppure fu dalla parte dei popolo cittadino e dei campi, dei cui ribellismi comunque si valse. Fosse vissuto fino al 1423, quando la condotta filo-contadina di Federico Tascavuota si affermò alla dieta di Merano, egli sarebbe stato, forse, come i Lodron e gli Starkenberg, dalla parte di quella nobiltà che si mostrava profondamente ostile a un più articolato assetto sociale.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Trento, Archivio Principesco Vescovile. Libri feudali, II, CC. 244r-245v; IV, cc. 177v-178v (può interessare per la storia del castello dì Pietrapiana anche VII, cc. 32v-33r); ibid., Sezione latina, capsula 16, n. 11; capsula 9, n. 11, eanche, per quanto riferito al 1424, capsula 57, n. 77; Trento, Bibi. Comunale, Archivio Consolare, n. 3261; Ibid., Documenti diversi trentini, n. 2668, fasc. 19. Utili per la conoscenza dell'ambiente le due Vite del vescovo Giorgio per opera di G. Ippoliti e A.. Giovannelli (Ibid., mss. 223, 319); cfr. inoltre Antiche cronache veronesi, a cura di C. Cipolla, in Monumenti storici pubbl. dalla R. Dep. Veneta di storia patria, s. 3, II, Venezia, 890, p. 477. Altre fonti sono utilizzate in D. Reich, R. de' B. e lerivoluzioni trentine (1407-1409) (Tradizione e storia), in Tridentum, X(1907), pp. 1-38, il maggiore (anche se non troppo felice) studio sul Belenzani.
Per la bibliogr., oltre al succitato Reich, ricordiamo: F. F. Degli Alberti, Annali del Principato ecclesiastico di Trento dal 1022 al 1540 compilati su documenti... reintegrati da T. Gar, Trento 1860, pp. 277 s.; C. Thalmann, Giorgio di Liechtenstein principe vescovo di Trento e R. de' B.,Trento 1874, pp. 7-15; P. Orsi, Un nuovo doc. sul B., in Arch. stor. per Trieste, l'Istria e il Trentino, III (1884), pp. 83-98; F. Ambrosi, Commentari della storia trentina, Rovereto 1887, I, pp. 17318 5; C. Festi, Mem. genealog. della nobile famiglia trentina de' Belenzani, Verona 1896; A. Segarizzi, Bricciche trentine.VII. Copia securitatis ser Nicolai de' Belenzanis extracta ab originali ex imbreviaturis ser Franceschini notarii de Avolano, in Tridentum, IX(1906), pp. 472-476; R. B. ricordato nella "Cronaca di Mantova" di Bonamente Aliprandi, in Arch. trentino,XXV(1910), pp. 77 s.; C. Ausserer, Un elenco di beni e di affitti della famiglia Belenzani nel secolo XIII, in Studi trentini di scienze storiche, VII(1926), pp. 222-247. Su un piano più generale, ma non meno importanti per capire il B., si vedano: J. Egger, Geschichte, Tirols..., I, Innsbruck 1872, pp. 457-467; R. Cessi, La giovinezza di Pietro Tomasi, erudito del sec., XV, in Athenaeum, I (1913), pp. 129 ss.; A. Zieger, Storia del Trentino e dell'Alto Adige, Trento 1925, pp. 87-93; A. Cetto, Castel Selva e Levico nella storia del Principato vescovile di Trento, Trento s. d. [ma 1952], v. Indice; F. Seneca, Problemi economici e demografici del Trentino nei secoli XIII e XIV, in Studi e ricerche sulla regione trentina, Padova 1953, pp. 25 s.