RODINÒ DI MIGLIONE, Giulio
– Nacque a Napoli il 10 gennaio 1875 da Gianfrancesco e da Giuseppina Sanseverino, secondogenito di tre figli: Luigi, Giulio e Pio.
Appartenente a una nobile famiglia, il nonno materno, Luigi Sanseverino principe di Bisignano, era stato dal 1878 al 1886 primo presidente del Comitato campano dell’Opera dei congressi cattolici. A esso, assieme al consuocero Luigi Rodinò di Miglione, nonno paterno di Giulio, aveva contribuito a dare uno spirito legittimistico e filoborbonico. Il padre Gianfrancesco, barone di Miglione e marchese di Sangineto, fu a sua volta nel 1891 fondatore e primo presidente del Circolo cattolico per gli interessi di Napoli.
Giulio Rodinò frequentò a Napoli il collegio gesuita della Conocchia, si laureò in giurisprudenza nel 1897 e dal 1899 esercitò la professione di avvocato nel capoluogo campano. Sposatosi con Nerina Sergio ebbe otto figli, sei maschi (Mario, Guido, Ugo, Marcello, Diego e Riccardo) e due femmine (Giuseppina ed Elisa). Nel Circolo cattolico presieduto dal padre maturò la sua prima formazione politica, mostrando interesse per l’opera di Giuseppe Toniolo, per il programma dei giovani democristiani e per le moderate aperture verso lo Stato unitario avanzate da Filippo Meda e dai cattolici del Nord Italia.
Nel 1901 fu eletto consigliere comunale a Napoli grazie a un accordo raggiunto tra le forze clericomoderate, e tenne la carica fino al 1913, ricoprendo più volte nel corso degli anni l’incarico di assessore e assessore delegato. Contemporaneamente prese parte alle varie Unioni cattoliche che sostituirono l’Opera dei congressi sciolta da papa Pio X nel 1904. Favorevole alla partecipazione elettorale dei cattolici italiani, ma comunque rispettoso del non expedit pontificio, a seguito della sua attenuazione si candidò alle elezioni politiche del 1903 e del 1909. Solo in quelle del 1913 riuscì infine eletto, entrando alla Camera dei deputati con la pattuglia di cattolici-deputati per la XXIV legislatura del Regno.
Per lealismo monarchico e per patriottismo fu favorevole all’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale e, in dissenso con larga parte dei cattolici e dei ceti dirigenti napoletani, si impegnò per dare visibilità pubblica al sostegno cattolico allo sforzo bellico.
Il 20 febbraio 1918 svolse alla Camera l’ordine del giorno «La Camera riafferma il dovere della concordia nazionale» in cui dichiarò «i sentimenti vibranti di fede e di devozione» patriottica dei cattolici italiani e i «doveri che c’impone la concordia nazionale [...] nel nome santo della Patria» (Atti del Parlamento italiano. Camera dei deputati, Legislatura XXIV, Discussioni, XV, Roma 1918, pp. 15909-15911, tornata del 20 febbraio 1918).
Nel dopoguerra fu tra gli aderenti alla cosiddetta Piccola costituente del PPI (Partito Popolare Italiano), del quale Rodinò sottoscrisse l’Appello al Paese del 18 gennaio 1919 rivolto ai «liberi e forti». Divenuto il punto di riferimento del PPI campano, presiedette le sedute del Consiglio nazionale del Partito (Roma, 19-20 agosto 1919) e, capolista a Napoli per le elezioni politiche del 1919, fu rieletto deputato nella XXV legislatura, durante la quale divenne questore e poi, dal 1° luglio 1920 al 2 aprile 1921, vicepresidente della Camera.
Profondamente legato a Luigi Sturzo e sostenitore della sua concezione riformista, democratica e centrista del Partito, intese la modernità del popolarismo come elemento di rottura delle vecchie formule politiche clientelari e personalistiche vive nel Mezzogiorno. Per queste caratteristiche Rodinò venne prescelto a presiedere il II Congresso del PPI tenutosi a Napoli dall’8 all’11 aprile 1920, ove svolse una non facile opera di mediazione fra la destra clericale e la sinistra, rimarcando la natura antimoderata, laica e interclassista del partito.
Dal 22 maggio al 15 giugno 1920 Rodinò venne chiamato da Francesco Saverio Nitti a ricoprire la carica di ministro della Guerra nel suo secondo, brevissimo gabinetto. Durante il successivo ministero Giolitti, il 31 luglio 1920, fu nominato membro e poi presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sulle spese di guerra, per poi tornare a guidare il dicastero della Guerra dal 2 aprile al 4 luglio 1921. La sua attenzione fu assorbita dalla smobilitazione e dalla riorganizzazione postbellica dell’esercito, da attuare riducendo le spese per gli armamenti, i corpi speciali e la durata della ferma, e mediante la riforma del settore aeronautico, dell’ordinamento territoriale e del trattamento economico degli ufficiali.
Rieletto deputato nel 1921 per il PPI, durante il primo governo Bonomi, dal 4 luglio 1921 al 26 febbraio 1922, fu ministro di Grazia e Giustizia per gli affari di culto. In questo incarico Rodinò si distinse per un’organica riforma dell’ordinamento giudiziario, che ridusse il numero dei magistrati e degli uffici giudiziari. Avviò un progetto di pensione per gli avvocati e istituì una commissione di studio per la riforma della procedura civile. Il suo profilo di cattolico suscitò accese polemiche laiciste, rinfocolate dalla scelta di recarsi in forma ufficiale in Vaticano per presentare le condoglianze del governo in occasione della morte di papa Benedetto XV (22 gennaio 1922). Impotente fu invece di fronte alle dilaganti illegalità e violenze dello squadrismo fascista, tanto che Antonio Gramsci ne denunciò le gravi responsabilità di fronte al Paese (Giovana, 1987, pp. 216 s.).
Tornato sui banchi di Montecitorio durante i governi Facta, era assente da Roma il giorno in cui Benito Mussolini si presentò alla Camera per chiedere la fiducia al suo primo governo. Nella seduta successiva tuttavia, seguendo la linea del suo gruppo parlamentare, fece una dichiarazione di voto favorevole.
Il 12-13 aprile 1923, nei giorni in cui veniva esaurendosi la collaborazione ministeriale fra popolari e fascisti, Rodinò presiedette a Torino il IV Congresso del PPI. Lo scontro politico che ne seguì provocò le dimissioni dei ministri popolari e, il 10 luglio 1923, dello stesso segretario politico Sturzo. Rodinò fu così eletto dalla direzione del PPI alla presidenza del triumvirato (assieme a Giuseppe Spataro e Giovanni Gronchi) che dal 10 luglio 1923 al 20 maggio 1924 esercitò le funzioni della segreteria politica. Egli dovette dunque guidare il Partito nei giorni della drammatica spaccatura sulla votazione della legge Acerbo, della scissione dal gruppo parlamentare della destra clericofascista, dell’asperrima campagna elettorale del 1924.
In questa fase, pur rifiutando ogni cedimento al fascismo, operò con moderazione; mantenne contatti cordiali con alcuni clericofascisti espulsi, tentando di riassorbire il dissenso della destra cattolica (‘revisionismo’). La ferma condanna dei metodi del fascismo non si tradusse in un’automatica opposizione al governo, poiché Rodinò si tenne su una posizione di ‘né opposizione né collaborazione’ che gli procurò critiche anche interne al suo Partito.
Rieletto deputato per il PPI nel 1924, fu vicepresidente della Camera all’inizio della XXVII legislatura. Partecipò, assieme al gruppo popolare, alla secessione aventiniana e fu presidente dell’assemblea delle opposizioni parlamentari. Per il suo profilo moderato venne indicato come una delle personalità più dialoganti delle opposizioni. La svolta autoritaria del regime precluse tuttavia ogni possibilità di confronto, al punto che egli presentò le sue clamorose dimissioni da vicepresidente della Camera il 18 novembre 1925. Nel 1926 fu tra gli esponenti del PPI che tentarono di riprendere il loro posto nell’aula di Montecitorio, venendone cacciati con la violenza dai fascisti. Il 9 novembre 1926, assieme a tutti gli altri deputati aventiniani, venne infine dichiarato decaduto dalla carica.
Dal 1926 cominciò per Rodinò un lungo periodo di silenzio e di ritiro a vita privata, durante il quale tornò a dedicarsi all’attività forense e ad animare le residue forze del movimento cattolico napoletano. Alla caduta del fascismo tornò a essere il naturale punto di riferimento dei cattolici napoletani e tra le figure di maggior spicco della rinata DC (Democrazia Cristiana), che egli stesso rappresentò al congresso dei Comitati di liberazione tenutosi a Bari il 29 gennaio 1944.
La sua azione politica fu in quei mesi protesa al superamento delle divergenze e alla collaborazione fra i partiti. Pur essendo favorevole a una soluzione moderata della questione istituzionale, rimarcò l’opportunità di rinviare ogni definitiva decisione all’indomani della Liberazione, rafforzando al contempo il profilo istituzionale dei governi del Sud con la partecipazione delle forze politiche del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale).
Fu così, in rappresentanza della DC, uno dei quattro ministri senza portafoglio del secondo governo Badoglio (22 aprile-18 giugno 1944) nato all’indomani della ‘svolta di Salerno’. Chiamato nel luglio dello stesso anno a presiedere il I Congresso nazionale della DC, entrò nel Consiglio nazionale del Partito. Successivamente fu nominato, assieme a Palmiro Togliatti, vicepresidente del Consiglio nel secondo governo Bonomi (12 dicembre 1944-19 giugno 1945). Anche in questa fase carica di tensioni egli operò per una reale pacificazione nazionale e difese presso le gerarchie vaticane e le forze alleate l’esperienza dei governi di unità nazionale, auspicandone la durata almeno fino all’elezione dell’Assemblea costituente. Dopo la Liberazione, a partire dal 22 settembre 1945, fu membro della Consulta nazionale. Restò in carica fino al giorno della sua morte, sopraggiunta a Roma dopo una breve malattia il 16 febbraio 1946.
Opere. Sul problema della municipalizzazione del pane. Relazione della Commissione consiliare, Napoli 1904; L’opera dell’Amministrazione comunale, 7 marzo 1907-21 novembre 1909. Discorso, Napoli 1909; Documenti parlamentari (discorsi degli onorevoli Rodinò, Bertini, Miglioli, Tovini), in Politica nazionale, 25 marzo 1918, pp. 11-14; Per la concordia nazionale, Napoli 1918; Un grande precursore: Monsignor Geremia Bonomelli. Discorso pronunziato a Torino addì 22 settembre 1918, Napoli 1918; Discorso tenuto a Napoli nel salone S. Tommaso D’Aquino il 23 marzo in occasione delle elezioni politiche indette per il 6 aprile 1924, Napoli 1924; Discorso tenuto a Torino il 16 novembre 1924 in occasione del congresso provinciale del Partito popolare italiano, Napoli 1924; Dopo il delitto Matteotti: discorsi pronunziati da Giulio Rodinò, Napoli 1943; Il pensiero politico della Democrazia cristiana: discorso tenuto a Napoli il 28 maggio 1944, Napoli 1944.
Fonti e Bibl.: L’archivio di Giulio Rodinò è conservato presso l’Archivio storico dell’Istituto Luigi Sturzo di Roma: è costituito da sei serie e 77 fascicoli.
Fra i repertori bio-bibliografici si segnalano: Enciclopedia biografica e bibliografica italiana, a cura di A. Malatesta, s. XLIII, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, III, Roma 1941, p. 70; A. Cestaro, R., G., in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia. 1860-1980, a cura di G. Campanini - F. Traniello, II, Casale Monferrato 1982, pp. 549-552; M. Giovana, R., Giulio di Miglione, in Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, a cura di P. Secchia - E. Nizza, V, Milano 1987, pp. 216 s.; A. Carbone, Materiali per una biografia di Giulio Rodinò, in Bollettino dell’archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia, XXIV (1989), 3, pp. 247-265. Pochi gli studi specifici su Giulio Rodinò: G. Deuringer - E. Fiore - M. Rodinò, Un uomo e un’idea. Documentazione della vita politica di Giulio Rodinò, Napoli 1956; A. Cestaro, R., Sturzo e il partito popolare a Napoli, in Luigi Sturzo nella storia d’Italia. Atti del Convegno internazionale di studi promosso dall’Assemblea regionale siciliana, Palermo-Caltagirone... 1971, II, Roma 1973, pp. 133-153. Fra le opere di carattere generale si vedano G. De Rosa, Il Partito popolare italiano, Roma-Bari 1958, pp. 43, 183 s., 394, 431 s., 502 s.; R. Colapietra, Napoli tra dopoguerra e fascismo, Milano 1962, pp. 23-88, 277; G. De Rossi, Il PPI nella XXVI Legislatura, Napoli 1967, pp. 90, 102, 200-201, 270; G. De Antonellis, I popolari a Napoli, in Il Partito popolare: validità di un’esperienza, Milano 1969, pp. 294-306; Gli atti dei congressi del Partito popolare italiano, a cura di F. Malgeri, Brescia 1969, pp. 37-40, 98, 118, 393, 435, 552, 717 s.; M.G. Melchionni, Dal diario del Conte Sforza: il periodo post-fascista (25 luglio 1943 - 2 febbraio 1947), in Rivista di studi politici internazionali, 1977, vol. 44, n. 3, pp. 401-493.