RODINÒ DI MIGLIONE, Gaetano
– Dei baroni Rodinò di Miglione, nacque a Catanzaro nel 1775 «o in quel torno» (Racconti, a cura di B. Maresca, 1881, p. 259) da Cesare e da Giovanna Cauzi (o Cavazzi) e nel locale collegio fece i primi studi. Nel 1794 si recò a Napoli per perfezionarsi nel campo delle lettere, segnalandosi nell’Accademia dei sinceri dell’Arcadia Reale con il nome di Meandro Berenicio. Ufficiale borbonico, fu in contatto con il mondo settario del periodo, aperto alla cultura francese e sensibile alle idee massoniche e costituzionali; a Catanzaro aderì alla loggia fondata dall’abate Antonio Jerocades. Partecipò alla cospirazione del 1794, maturata tra coloro che avevano avuto contatti con l’ammiraglio francese Louis-René-Madeleine Le Vassor de Latouche Tréville, presente nel golfo di Napoli dal 1792 al 29 gennaio 1793.
Nel 1798, arrestato, fu deferito alla Giunta di Stato, inviato a Gaeta e arruolato forzatamente come ufficiale del reggimento di fanteria Sannio. Fuggito nello Stato della Chiesa, in quel momento repubblica sotto l’influenza della Francia, venne catturato e rispedito a Gaeta, destinato a istruire le reclute. Nel novembre partecipò alla campagna contro i francesi nello Stato romano. Come aiutante portabandiera del colonnello Antonio Corné il 5 dicembre «si vantò di aver provocato la fuga dei Napoletani a Civita Castellana facendo suonare la ritirata» (Colletta, 1957, I, p. 370 n.). Nascose su di sé il vessillo per crearsi una via di salvezza sia nel caso avesse raggiunto il reggimento, sia nel caso fosse stato fatto prigioniero.
Imprigionato in Castel S. Angelo a Roma, presentò la bandiera al colonnello francese, che non giudicò positivamente la sua condotta. Per evitare la prigionia in Francia, fuggì e giunse a Procida il 23 gennaio 1799, quindi a Napoli, già occupata dal governo repubblicano di Jean-Étienne Championnet. Fervente repubblicano, amministratore generale delle gabelle durante la repubblica, aveva anche segretamente il compito di osservare lo spirito pubblico in Calabria. Ispettore della Sala patriottica fu, suo malgrado, tra coloro che diedero alle fiamme Ponticelli filoborbonica. Nominato giudice di un tribunale di guerra, evitò la condanna a morte di un detenuto realista.
Arrivate a Napoli le truppe sanfediste del cardinale Fabrizio Ruffo, si arruolò nella milizia civica e il 13 giugno combatté al ponte della Maddalena, come comandante delle guardie nazionali e di alcuni patrioti. Critico testimone degli eventi, arrestato e rinchiuso fino al 29 giugno in varie carceri, vi incontrò personaggi più o meno famosi coinvolti nella rivoluzione e ne tracciò rapidi ritratti.
Inserito fra i rei di Stato, condannato alla deportazione fuori del Regno, con pena di morte nel caso fosse tornato nei reali domini, si recò a Marsiglia, poi a Parigi per pochi mesi, a Genova come segretario della legazione cisalpina presso la Repubblica Ligure. A Milano pubblicò la traduzione delle Lettere di Lord Bolingbroke su la storia, contributo di riconoscenza al governo della Repubblica Cisalpina, ove aveva potuto proseguire il suo lavoro. Chiese una sovvenzione pubblica, ottenendo un mandato di 600 lire per 100 copie dell’opera, acquistata dal governo.
Nel giugno 1803 tornò a Catanzaro ma fu riconosciuto da un delatore e fu accusato dal preside, Costantino De Filippis, di essere l’organizzatore di una insurrezione per la sollevazione della città e delle marine della costa ionica e tirrenica. In seguito alla perquisizione della polizia, furono trovati nella sua abitazione libri proibiti, contro la religione e lo Stato, e alcune pagine manoscritte sulle cause della sconfitta del 1799, pregne di toni patriottici e di invettive contro la Corte. Nel luglio, senza alcun processo, Guglielmo Pepe e Rodinò furono condannati all’ergastolo nella Fossa del Marettimo e trasferiti all’isola di Favignana, quindi a Gaeta fino al 1806.
Per fuggire da Favignana organizzarono un’insurrezione dei galeotti senza prendervi parte, in modo da ottenere meriti in vista del trasferimento in un carcere sulla terraferma. Sedata la rivolta, i due (che tutti sapevano esserne stati gli artefici) furono ringraziati e trasferiti nella prigione di Trapani.
Nel 1806, ottenuta la grazia da Ferdinando IV, rifugiato in Sicilia, tornò a Napoli, dove pubblicò Le avventure di Areta Atlio scritte da lui medesimo, su un giovane viaggiatore e una contrastata storia d’amore, recensite positivamente sul Corriere di Napoli del 1806 da Vincenzo Cuoco. Nel marzo fu nelle Puglie al seguito di Giuseppe Lechi e con l’esercito di Andrea Massena, che aveva occupato il Regno in nome di Giuseppe Bonaparte. Nominato, il 13 agosto 1806, segretario generale dell’intendenza di Calabria Ultra, fu incaricato di svolgere le funzioni di intendente dall’ottobre 1806 all’aprile 1807 in sostituzione del titolare Francesco Saverio De Rogatis; entrò in conflitto con gli amministratori locali e fu oggetto di un ricorso anonimo al ministero dell’Interno, a nome di tutta la provincia (libello diffamatorio, probabilmente scritto a Napoli), ma non gli fu difficile smontare le accuse. Operò nell’amministrazione civile sempre come sottintendente: a Castrovillari (22 aprile 1807), a Matera (23 maggio 1808), a Mesagne/ Brindisi, capoluogo di distretto dal 2 aprile 1813 (3 dicembre 1812), dove rimase fino alla Restaurazione.
A Matera ricoprì la dignità di maestro venerabile della loggia di rito riformato Perseveranza (approvazione 21 luglio 1813), dipendente dal Grande Oriente di Napoli. Si prodigò inoltre nella lotta contro il brigantaggio a sostegno dell’autorità militare e, nell’estate del 1810, organizzò 50 grandi proprietari lucani e un certo numero di soldati per ricacciare e disperdere varie bande. Chiese perciò a Gioacchino Murat la decorazione dell’Ordine delle Due Sicilie.
Arruolatosi nel contingente napoletano, partì per la campagna del 1813, partecipando alla battaglia di Lipsia (16-19 ottobre), alla campagna d’Italia del 1814 con il grado di generale e promosse una sottoscrizione per ottenere da Murat la costituzione; nel 1815 combatté valorosamente contro gli austriaci (Di Castiglione, 2013, p. 216).
Nella seconda Restaurazione fu sottintendente di Bovino (1816) e organizzò le milizie provinciali per liberare dai briganti le province di Avellino e Foggia. Fu tra i maggiori protagonisti della carboneria napoletana, soggetta a grande diffusione durante il Decennio francese; nel 1817 organizzò simultanee richieste al governo per la concessione della costituzione, anche attraverso la diffusione di manifestini stampati clandestinamente, affissi in vari paesi delle province di Avellino, Foggia e Lecce. Come risposta fu inviato a Foggia l’intendente Nicola Intonti, avverso alla setta, la provincia fu riempita di spie borboniche e il territorio fu rigidamente controllato. Nel 1819, trasferito alla sottintendenza di San Severo, fondò la vendita carbonara Valore. A Foggia rivestì la funzione di grande oratore della Suprema magistratura carbonara della Daunia Riunita.
Scoppiati i moti del 1820, il 5 luglio circondò a Foggia il Palazzo dell’intendenza, dichiarando Intonti decaduto dalla carica e il 6 luglio fu nominato intendente. Ne propugnò l’uccisione, accusandolo di aver tentato di avvelenarlo qualche tempo prima; tuttavia Intonti, rifugiatosi in casa di un nobile foggiano, riuscì a convincerlo del contrario. Tornato a Napoli, ebbe l’incarico di amministratore generale dei dazi indiretti ma stette in disparte per tutto il periodo costituzionale e nei mesi successivi alla conclusione della rivoluzione.
Dopo l’occupazione austriaca del Regno (23 marzo 1821) fu arrestato nel maggio. Condannato a 25 anni di ‘ferri’, vide la pena mutata da Francesco I nella relegazione per dieci anni nell’isola di Pantelleria. Nuovamente esiliato, per la clemenza di Ferdinando II rientrò nel 1840 a Napoli e riprese il suo posto nella direzione generale dell’ufficio dei dazi indiretti.
Morì nel gennaio 1848 (ma altri – tra cui Caldora, 1960, p. 69 – indicano la fine del 1847), lasciando in miseria la vedova, Maria Giuseppa Maurizio Colonna, da cui aveva avuto quattro figli: Aristide, Cesare, Luigi ed Emilia (a Matera, nel 1812, erano morte due gemelle, tumulate nella locale cattedrale).
L’elogio funebre fu proferito da Mariano D’Ayala, «suo amico e parente», che lo ricordò come «liberale del 99, e condannato per opinione due volte a morte. E quell’accompagnamento e quelle parole […] erano una vera dimostrazione politica» (Michitelli, 1849).
Opere. Lettere di lord Bolingbroke su la storia tradotte in italiano da G. R., I-II, Milano, anno IX (1800-1801) (sul cui valore v. A. De Francesco, Vincenzo Cuoco, Una vita politica, Roma-Bari 1997, p. 167); Le avventure di Areta Atlio scritte da lui medesimo, e pubblicate da G. R., Napoli 1806 (opera dello stesso Rodinò, sulla quale v. V. Cuoco, Pagine giornalistiche, a cura di F. Tessitore, Roma-Bari 2010, pp. 582 s.); Per la morte del suo amico Antonio Zuccarelli ode di G. R. sotto-intendente di Sansevero, s.n.t. [1818]; Racconti storici di G. R. ad Aristide suo figlio, a cura di B. Maresca, in Archivio storico per le province napoletane, VI (1881), pp. 259-312, 462-507, 629-662 (scritti negli anni Quaranta del XIX secolo, a notevole distanza di tempo dagli eventi, dovevano essere suddivisi in tre parti: 1794-1800, 1801-20, e vicende successive, ma ne rimane solo la prima; ricchi di pathos e dei giovanili ideali repubblicani, sono giudicati in parecchi punti poco esatti da Croce, 1998, p. 141).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Ministero degli Esteri, Rei di Stato, f. 4272; Ministero dell’Interno, II inv., f. 2250; Società napoletana di storia patria, Fondo Ruggiero, XXVI, A.8, cc. 224-232v: Stato in cui si dimostra nomi, cognomi, età, patria, gradi, sì in mano al Re, che nella repubblica con le loro circostanze; cc. 212-213v: Nota de’ patrioti venuti da Napoli in una delle tre polacche, s.d.; M. D’Ayala, Le vite de’ più celebri capitani e soldati napoletani dalla giornata di Bitonto fino a’ dì nostri, Napoli 1843; Memorie del generale Guglielmo Pepe intorno alla sua vita e ai recenti casi d’Italia scritte da lui medesimo, I, Paris 1847, pp. 40, 72-80, 83, 227, 233 (dove Rodinò è indicato con una X e definito «abilissimo in tessere cospirazioni [...] infaticabile nell’operare, e d’un patriottismo quasi febbrile», p. 72); M. D’Ayala, Memorie di Mariano d’Ayala e del suo tempo (1808-1877), Napoli 1886, p. 416.
F. Michitelli, Storia degli ultimi fatti di Napoli fino a tutto il 15 maggio 1848, Napoli 1849, pp. 93 s.; J. Rambaud, Naples sous Joseph Bonaparte 1806-1808, Paris 1911, p. 273; P. Pieri, Il Regno di Napoli dal luglio 1799 al marzo 1806, in Archivio storico per le province napoletane, 1927, pp. 215-222; A. Lucarelli, Il moto liberale del 1817 e carbonari e briganti nella Terra d’Otranto, in Rinascenza salentina, 1938, p. 355; Id., I moti carbonari della Daunia alla luce di nuovi documenti, Foggia 1939, ad ind.; G. Cingari, Giacobini e sanfedisti in Calabria nel 1799, Messina 1957, pp. 142, 275 s.; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, I-III, a cura di N. Cortese, Napoli 1957, ad ind.; U. Caldora, Calabria napoleonica (1806-1815), Napoli 1960, pp. 11, 29, 69; A. Valente, Gioacchino Murat e l’Italia meridionale, Torino 1965, p. 187; G. Civile, Appunti per una ricerca sull’amministrazione civile nelle province napoletane, in Quaderni storici, 1978, pp. 228-263; F. Bramato, Le logge massoniche in Terra di Bari nell’età murattiana, in Atti del secondo Convegno di studi sul Risorgimento in Puglia, Bari 1981, pp. 225-233; A.M. Rao, Esuli. L’emigrazione politica italiana in Francia, 1792-1802, Napoli 1992, p. 337; A. Simioni, Le origini del Risorgimento politico nell’Italia meridionale, I-II, Napoli 1995, ad ind.; B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799, Napoli 1998, ad ind.; Famiglia Rodinò di Miglione, http://www.nobili-napoletani. it/Rodino.htm, 2007 (4 febbraio 2017); F. Barra, Il Decennio francese nel Regno di Napoli (1806-1815), II, Salerno 2010, p. 62; R. Di Castiglione, La Massoneria nelle due Sicilie e i fratelli meridionali del ’700, IV, Roma 2013, pp. 214-216 (cui si rimanda anche per la bibliografia); V. Sani, 1799, Napoli la rivoluzione, Venosa 2013, pp. 45, 105; V. Ferrari Amministrare e punire: le Calabrie nel Decennio francese tra modernizzazione e reazione (1806-1815), Soveria Mannelli 2016.