Vedi RODI dell'anno: 1965 - 1996
RODI (῾Ρόδος, Rhodus, Rhodos)
A) Storia, topografia, scavi. - B) Opere d'arte a Rodi (per la ceramica v. rodi, vasi; per la Scuola Rodia v. rodia, arte).
È la più grande delle Sporadi meridionali, situata di fronte alla costa anatolica, da cui la punta nordorientale, sulla quale sorge il capoluogo, dista solo 18 km. La posizione dell'isola sulla via del commercio tra la Grecia e l'Oriente procurò almeno fin dall'viii sec. a. C. ricchezza e potenza ai centri situati sui punti più vitali del traffico marittimo: Ialiso e Camiro sulla costa occidentale, Lindo sull'orientale. La fondazione della città di R. sul promontorio nord-orientale nel 408-7 a. C. diede enorme impulso all'attività commerciale dell'isola che consisteva soprattutto nel movimento di transito e di distribuzione. I vantaggi offerti dalla posizione naturale furono abilmente sfruttati dai Rodi che seppero tenacemente mantenere la loro indipendenza per quasi tutta la loro storia (salvo brevi periodi sotto i Persiani tra il 540 circa e il 479 a. C., e sotto i satrapi della Caria, tra il 354 e il 332 a. C.) fino all'età imperiale romana.
A) - storia, topografia, scavi. La ricognizione archeologica dell'isola fu iniziata nel 1843 e nel 1845 da L. Ross cui seguirono Ch. T. Newton nel 1853 e V. Guérin nel 1854; i primi scavi furono eseguiti, però senza metodo, da A. Salzmann e A. Biliotti tra il 1858 e il 1865 a Camiro e fecero conoscere per la prima volta l'arte rodia del periodo orientalizzante; nel 1868 e nel 1870-i il Biliotti scavò per incarico del British Museum quarantuno tombe a Ialiso che rivelarono una classe di vasi che solo nel 1877 il Newton riconobbe affini alle ceramiche che aveva cominciato a scoprire nel 1876 lo Schliemann a Micene. La prima missione archeologica fu quella danese di K. F. Kinch e di Chr. Blinkenberg che operò a Lindo e a Vroulià tra il 1902 e il 1914: l'esplorazione regolare della città e dell'isola di R. fu iniziata nel 1914 da A. Maiuri con la Missione Archeologica Italiana (divenuta dal 1924 Soprintendenza ai Monumenti e agli Scavi); dopo la seconda guerra mondiale le ricerche sono state riprese con successo dall'Eforo alle antichità I. Kondìs.
1. Miti e leggende. - Nella VII Ode Olimpica composta in onore di Diagora da Rodi, vincitore nel pugilato nel 464 a. C., Pindaro unisce per la prima volta le due leggende fondamentali dell'isola: l'una è quella degli Eliadi: dal Sole, Halios, e dalla ninfa Rodi, che è l'isola stessa, nacquero sette figli, uno dei quali, Kerkaphos, fu padre di Ialiso, Lindo e Camiro eponimi delle tre città storiche. L'altra leggenda narra di Tiepolemo di Tirinto, che, dopo aver ucciso il prozio Licimnio, per consiglio dell'oracolo fugge a R. dove diviene il signore delle tre città. La leggenda di Tlepolemo era già nota all'autore del Catalogo delle Navi (Il., ii, vv. 653-671); ma, secondo altri, l'eroe ecista sarebbe stato Althaimenes, talora argivo e nipote di Temenos, talora cretese, giunto a R. per volere di un oracolo. Si favoleggiava ancora dei Telchini, figli di Posidone ed inventori della civiltà tecnica, di maghi ed esseri malvagi, e dei Fenici venuti a Ialiso con Phalantos o con Cadmo; e di Danao che avrebbe dedicato a Lindo il primo simulacro aniconico di Atena. Gli scrittori rodi d'età ellenistica si preoccuparono di metter ordine fra tante tradizioni di diversa origine, patrimonio delle varie città e spesso contrastanti: uno di questi tentativi di sistemazione cronologica delle leggende, opera di Zenone di Rodi, è riportata da Diodoro (v, 55-59). Un altro esempio, per quello che riguardava Lindo in particolare, è la Cronaca del Tempio di Timachidas (v. lindos), per il periodo mitico.
2. Dalle origini al sinecismo (408-7 a. C.). - A prescindere dai pochi strumenti di pietra, forse eneolitici, trovati sull'acropoli di Lindo, la più antica documentazione della civiltà di R. è costituita dai resti dell'abitato venuto alla luce presso il villaggio di Trianda (nel territorio di Ialiso, v.): dalla ceramica recuperata negli strati si è riconosciuto un insediamento cretese, forse scalo commerciale, iniziatosi nel Tardo Minoico I (circa 1550 a. C.) e testimoniato fino al 1400 a. C. circa; l'area scavata è tuttavia troppo ristretta perché si possa supporre con sicurezza che il luogo sia stato abbandonato intorno al 1400 a. C., che è proprio l'epoca del fiorire e dell'espandersi della civiltà "micenea" di R., nota dalle necropoli sparse nell'isola e appartenenti all'ultimo periodo della tarda Età del Bronzo (1400-1100 circa a. C.). Quantunque siano state scavate regolarmente solo ottantotto tombe a camera dei sepolcreti di Ialiso (per opera di A. Maiuri nel 1916 e nel 1923 e di G. Iacopi nel 1927-28) e poche altre presso i villaggi di Villanova, Apollona (Lelos), Calavarda e Pilona, si conoscono almeno quaranta località nelle quali esistevano (e furono depredate clandestinamente) necropoli "micenee" talora assai estese, come quella di Vati, (Βάτοι) nella parte sud-Qrientale dell'isola. Pare certo perciò che R. abbia avuto in quei secoli una popolazione molto numerosa, distribuita Κατὰ κώμας cioè in abitati spesso di notevole consistenza. La ceramica restituita in gran copia dalle tombe rappresenta per le forme dei vasi e per lo stile degli ornati una varietà ben individuata nel complesso delle fabbriche micenee; specialmente appaiono peculiari di R. i vasi della fase III C (XII sec. circa a. C.) apparentati con la contemporanea ceramica tardo-minoica di Creta. La maggior parte dei numerosissimi frammenti di vasi trovati nella stazione appenninica dello Scoglio del Tonno presso Taranto è stata riconosciuta di fabbricazione rodia: dal che si suppone che R. abbia esercitato fin dal 1400 circa a. C. un attivo commercio nei mari occidentali: i trovamenti, che appartengono a tutte le tre fasi della ceramica rodio-micenea (III A-B-C), danno la prova di relazioni durate ininterrotte per tre secoli, nei quali i Rodi possono considerarsi i principali intermediari degli scambi tra il mondo egeo e l'Italia del N attraverso lo scalo di Taranto.
La diffusione della civiltà micenea, attribuita agli Achei, e l'esistenza di una ᾿Αχαία πόλις nel luogo di Ialiso han fatto sembrare probabile ad alcuni studiosi (Hrozny, Laurenzi, Pugliese-Carratelli) che l'isola di R. sia stata la sede del regno di Akhkhiyawa dei documenti hittiti.
La fine della civiltà micenea a R., a giudicare dall'ultima fase della ceramica, è posta intorno al 1100 a. C. o poco dopo; manca la fase sub-micenea: i primi trovamenti dell'età successiva sono costituiti da tre tombe di Marmaro (presso Ialiso) e da alcune della necropoli di Patelle presso Camiro che contengono vasi del tardo stile protogeometrico, probabilmente degli ultimi decenni del sec. X a. C. Vi è perciò una lacuna di più di 150 anni nella conoscenza dell'archeologia dell'isola dopo la fine dell'Età del Bronzo, lacuna che è da imputare con ogni verosimiglianza alla mancata scoperta di resti delle prime fasi protogeometriche. Pare certo che almeno fin dal IX sec., se non prima, siano esistiti luoghi di culto sulla vetta delle acropoli delle tre città storiche, Lindo, Ialiso (Monte Fileremo) e Camiro (v. le singole voci): a tale epoca risalgono i materiali più antichi rinvenuti nei depositi di ex voto scoperti nei santuarî di Atena (Ialysìa, Lindìa e Kameiràs). Le acropoli costituivano il centro sacro e l'eventuale rifugio delle tre città situate praticamente sul mare. Le tombe circondavano le alture, raggruppate in estese necropoli: quelle di Ialiso e Camiro, largamente esplorate, vanno dalla fine del X sec. all'età classica; di Lindo è nota finora la necropoli di Exochi, presso il villaggio di Lardos (VIII-VII sec. a. C.). Nelle tombe più antiche è in uso l'incinerazione per gli adulti e il seppellimento in doli o vasi grezzi per i fanciulli; a mano a mano però diviene più frequente l'uso dell'inumazione che predomina già nel VI sec., per lo più entro casse di lastroni di pietra o sarcofagi, mentre sono caratteristiche di Camiro per il VII e VI sec. le tombe a camera con dròmos scavate nella roccia delle pendici.
Da quanto è stato scoperto finora si possono far risalire alla fine del X sec. a. C. le più antiche tracce dell'esistenza delle tre città, la cui origine si suole attribuire alla colonizzazione dorica dell'isola, e ne sarebbe l'eco la leggenda di Tlepolemo riportata dal Catalogo delle navi e da Pindaro (v. sopra). Della storia politica di R. fino a tutto il VI sec. a. C. si conosce ben poco: l'unica colonia sicuramente rodia è Gela, fondata nel 688 circa a. C.; Ialiso, Lindo e Camiro formarono con Alicarnasso, Coo e Cnido l'esapoli dorica (poi pentapoli senza Alicarnasso) con centro religioso al promontorio Triopion. L'alto grado di benessere raggiunto dall'isola tra l'VIII e il VI sec. è testimoniato dalla ricchezza dei corredi recuperati nelle necropoli, e l'attività del commercio rodio è dimostrata dalla gran copia di oggetti importati da Cipro e dall'Egitto (statuette cipriote di pietra e di terracotta, vasetti di vetro, statuine, amuleti e ornamenti di faïence, scarabei), dalla Ionia e dalla penisola greca (ceramiche ioniche, protocorinzie e poi corinzie, e attiche dal 570-550 a. C.). Dell'attività artistica di R. la ceramica offre i documenti più antichi, con materiali tuttavia scarsi per il tardo periodo Protogeometrico (X-IX sec.) e per le prime fasi del Geometrico, mentre è ben rappresentato (nella necropoli lindia di Exochì) l'ultimo stile geometrico e quello di transizione all'orientalizzante (VIII-VII sec.); probabilmente di fabbricazione rodia sono gli esemplari trovati nell'isola dello stile detto di Camiro (VII sec.): dalla fine del VII sec. a gran parte del VI dura la produzione dei grandi pìthoi decorati a stampo, spesso con fregi di figure animali od umane; al VI sec. appartengono i vasi detti di Fikellura (v.). Le oreficerie di fabbrica rodia ripetono nel periodo più antico (VIII sec.) i motivi della coeva ceramica geometrica (sono lavori in lamina stampata, diademi, brattee, pendagli), a cui succedono nel secolo successivo i motivi orientalizzanti: nella seconda metà del secolo compaiono i caratteristici pendagli a metopa, lamine a sbalzo ornate con figurazioni di origine orientale (centauro, pòtnia theròn, melissa, sfinge, pròtomi femminili) e arricchite nella fase più evoluta da finissimi ornati a granulazione. Nello stile delle oreficerie sono lavorate le terrecotte della fine del VII sec. (da Camiro), mentre appartiene all'arte ionica l'abbondante produzione coroplastica del VI secolo. Pure di arte ionica o ionico-insulare sono le due teste e i due torsi marmorei di koùroi trovati a Camiro e datati fra il 550 e il 520 a. C. La più antica emissione monetale di Lindo si attribuisce a circa il 550 a. C. e alla seconda metà del secolo l'inizio della monetazione di Ialiso e Camiro.
Il V sec. (che vede nei corredi delle tombe ormai a inumazione l'esclusivo predominio della ceramica attica) sembra sia stato un periodo meno felice, almeno politicamente, per R. dapprima soggetta alla Persia (navi rodie erano nella flotta persiana a Salamina: Diod., xi, 3, 8) poi entrata nella lega delio-attica; nelle liste dei tributi conservate per gli anni dal 454-3 al 415-4 compaiono non solo le tre pòleis ma anche altri distretti dell'isola, per l'evidente interesse degli Ateniesi a tenere suddivisi i Rodî; ma durante la guerra del Peloponneso, in cui R. partecipò alla spedizione di Sicilia, l'aristocrazia commerciale filospartana colse l'occasione della battaglia di Syme del 411 a. C. (Thucyd., viii, 42) per ribellarsi ad Atene ed unificare l'isola in un solo stato che ebbe per capitale una nuova città, costruita sul promontorio nord-occidentale e che si chiamò R.: abitanti delle tre città vi si trasferirono nel 408-7 a. C. (Diod., xiii, 75).
3. La città di Rodi: topografia. - La tradizione raccolta da Strabone (xiv, 654) secondo la quale R. sarebbe stata opera dello stesso architetto che aveva costruito il Pireo (cioè Ippodamo di Mileto) non è comunemente accettata perché in contrasto con quanto si sa sulla cronologia di Ippodamo (v.). Le ricerche iniziate dal 1952 da J. Kondìs hanno rivelato una pianta rigorosamente ortogonale che corrisponde con singolare esattezza all'impianto descritto da Diodoro (xii, 10, 7) per la colonia panellenica di Turi alla cui fondazione nel 444-3 a. C. aveva partecipato Ippodamo. Il sito di R., una conca naturale che dalla cresta del Monte S. Stefano a occidente digrada con ondulazioni irregolari del terreno verso il mare ad oriente, è stato adattato a ricevere l'impianto regolare delle strade mediante una vasta opera di terrazzamenti artificiali, che vanno attribuiti al piano originario. Questo è impostato su una partizione dell'area della città in grandi quadrati fondamentali risultanti dall'incrocio delle strade principali orientate quasi esattamente da N a S e da E a O (con una leggera deviazione di due o tre gradi verso E dal N astronomico), e distanti una dall'altra m 201, corrispondenti ad uno stadio rodio (cioè seicento piedi di cm 33,5); altre strade potevano scompartire ogni quadrato in quattro minori di circa cento metri di lato, pari a mezzo stadio. Queste strade, delimitanti in un senso e nell'altro i quadrati maggiori e le loro suddivisioni, sono le πλαστεῖαι e la loro larghezza varia da m 8,20 a 16,10: essendo le arterie di maggior traffico se ne è conservato il tracciato attraverso il Medioevo e l'età moderna (per esempio la via dei Cavalieri entro la città medievale e il suo prolungamento fuori della cinta delle mura verso l'acropoli). Le strade intermedie, gli στενωποί, sono larghe m 5,15 circa e delimitano isolati rettangolari di piedi 150 × 100 (m So × 33,50). Oltre che alla regolarità dell'impianto stradale, la città doveva il suo aspetto caratteristico alla sistemazione a terrazze digradanti (forse questo è il senso del ϑεατροειδής datole da Diodoro: xix, 45, 3; xx, 83, 2) evidente effetto scenografico; aspetto confermato per l'età romana dalla descrizione dello pseudo-Aristide (xliii, 799). Al di sotto di parecchie strade antiche si è scoperto un imponente sistema di canalizzazioni sotterranee: le pareti dei canali sono fatte di grandi conci di pòros e la copertura in quelli più antichi è di piattabande dello stesso materiale (per esempio in quello sotto la strada P 31 rifatto in età romana); ma esistono coperture a vòlta di conci, oppure a doppio spiovente; nella strada summenzionata il canale ha una luce di m 1,85 × 1,05.
L'estensione della città è indicata dai pochi tratti delle mura di cinta scoperti dal 1916 ad oggi, che non possono darci tuttavia un'idea delle fortificazioni celebrate da Strabone (xiv, 652) e da Pausania (iv, 31, 5) che cingevano come un diadema la città (Ps.-Arist., xliii, 799) rinforzate a distanze regolari dalle torri (su una lunghezza di 4 stadi investita da Demetrio nel 304 a. C. esistevano 7 torri: Diod., XX, 91,3). Pare che le mura seguissero a occidente la cresta del Monte S. Stefano, e a S l'altura e la sponda settentrionale del fossato di Rodini (ove furono trovate una porta e una torre di difesa da A. Maiuri nel 1916), mentre a N lasciavano al di fuori tutta la bassura verso il promontorio detto della Sabbia e ad oriente circondavano, escludendoli, i porti: il tratto più notevole di circa 90 m è stato scoperto nel 1953-4 dal Kondìs proprio a S del Porto del Commercio (il μέγας λινήν di Diodoro) con una porta ed una torre; le mura hanno uno spessore di m 4,10. Si può ricordare, a proposito delle opere fortificatorie, la scoperta fatta nel 1936 dal Laurenzi di un deposito di 353 palle di pietra presso il tratto di mura scoperto a N-E della città: sono proiettili di artiglieria antica di calibro vario da 5 mine a 10 talenti (kg 270): il Laurenzi li mette in relazione con l'assedio di Demetrio: in quell'occasione i Rodi stupirono il Poliorcete per il numero e il calibro dei proiettili lanciati. Diodoro nel racconto degli attacchi di Demetrio nel 305 a. C. parla di due porti, un μέγας λιμήν e un μικρὸς λινήν (quest'ultimo si poteva chiudere con catene, cfr. Appian., Mithrid., 26) corrispondenti ai porti attuali (che nell'epoca dei Cavalieri si chiamavano Porto del Commercio e Porto delle Galere): sono due insenature naturali, aperte a N, protette dai venti di S-E da scogliere che erano state rinforzate con gettate artificiali e fortificate (secondo uno scrittore di poliorcetica di età incerta, Ateneo, la sistemazione dei moli con grandi blocchi era stata opera molto ammirata di un architetto Apollonios; i resti delle costruzioni antiche sono tuttora visibili sotto le odierne banchine). Non si sa però se sia stata adattata a porto nell'antichità anche l'insenatura più a S-E, la baia di Acandia, peraltro poco profonda; di un porto interno, che avrebbe messo in comunicazione il porto grande con quello piccolo gli antichi non parlano, ma se ne può sospettare l'esistenza dalla situazione (a S del porto piccolo) degli alloggiamenti o scivoli per le navi di cui furono scoperti i resti dal Bartoccini nel 1940-41; essi facevano parte degli arsenali, che erano per R. di vitale importanza (Strabone, xiv, 652, riferisce che ne era vietato l'accesso, forse a quelli militari, sotto pena di morte); danneggiati dal terremoto del 227-6 a. C. (Polyb., v, 88) gli arsenali (ναύσταϑμα o νεώρια) erano ancora in efficienza all'epoca dello pseudo-Aristide. Altrettanto incerta è l'esistenza di un altro porto, a N della città, nella bassura dove è sorto il moderno quartiere di Neochori o Neomàris, presso la punta detta della Sabbia (Kumburnù): sulla riva occidentale il Newton osservò nel 1853 (Travels and Discoveries in the Levant, i, p. 174 s.) avanzi di costruzioni grandiose che attribul a opere portuali: il porto si sarebbe aperto con un canale verso N-O (secondo lo Schramm e il Laurenzi esso sarebbe stato il porto scavato dal Poliorcete, che avrebbe perciò posto il campo a N della città).
Nell'interno della città la parte meglio conosciuta è l'acropoli (la parte alta, che non ebbe però mai funzione difensiva) cioè l'altura del Monte S. Stefano, che segue con la sua cresta la costa nord-occidentale: sul rialzo settentrionale furono ritrovati in saggi di scavo tra il 1924 e il 1927 resti delle fondazioni, grandi tamburi di colonne e frammenti di trabeazioni di un tempio periptero dorico, in pòros, di età ellenistica, identificato per mezzo di iscrizioni con il tempio di Atena Poliàs e di Zeus Polièns (secondo Polibio i Rodi avevano decretato di innalzarvi una statua colossale del popolo romano); esso era al centro di un complesso monumentale a cui appartenevano i resti probabilmente di porticato scavati dal Kondìs nel 1951-52. Più a S, al centro della spianata, una terrazza rettangolare sostenuta da un alto muraglione costituiva il recinto del tempio di Apollo Pỳthios (il più grande finora scoperto a R.) anch'esso identificato da iscrizioni: oltre alla platea di fondazione si sono trovati rocchi di colonne ed altri elementi di architettura in pòros, che erano rivestiti di intonaco dipinto: il tempio era dorico, esastilo, di periodo ellenistico: nell'angolo di N-E del grande recinto si apre, a un livello più basso, un altro recinto con i resti di un tempio d'ordine corinzio, pure in pòros, forse di Artemide, a giudicare dalle statuine di terracotta di un deposito di ex voto. A S del Pythion e sempre sul pianoro è stato messo in luce dal Kondis nel 1954 un santuario rupestre: altri tagli nella roccia e tracce di terrazze fanno pensare all'esistenza di altri santuarî. Non è stato identificato, ma si trovava probabilmente all'estremità meridionale dell'altura, il santuario di Zeus Atabỳrios, presso il quale secondo Appiano (Mithrid., 26) avvenne l'attacco di Mitridate nell'88 a. C. Luoghi di culto pare che fossero anche i cosiddetti ninfei, cavità sotterranee in parte artificiali, scoperti nella zona attorno al tempio di Atena e di Zeus: erano ornati di absidi o nicchioni, bacini e incassi per rilievi votivi; vi si accedeva per mezzo di scale ed erano connessi con gallerie sotterranee forse di acquedotti: non è da escludere che si riferissero a divinità delle acque. È verosimile perciò che le terrazze più alte dell'acropoli fossero sistemate a santuarî, e ciò concorderebbe con quanto dice lo pseudo-Aristide (xliii, 799) secondo il quale l'acropoli era piena di πεδία (cioè terrazze) e di ἄλση (boschetti sacri); quantunque non siano affiorati resti anteriori all'età ellenistica, è probabile che tale sistemazione fosse prevista dal piano originario della città, allo stesso modo che pare evidente la preoccupazione di collocare fuori delle vie di traffico gli edifici di maggiori dimensioni: tale è il caso dello Stadio e della Palestra del Ginnasio scoperti su ampie terrazze sottostanti, verso oriente, a quella del Pythion: dello Stadio si conservano la sphendòne fino al primo ripiano e gran parte dei sedili della proedrìa del lato occidentale: la pista è lunga m 201, cioè 6oo piedi della misura rodia di cm 33,5; allo xystòn della Palestra potrebbe riferirsi la fondazione di portico trovata a E dello Stadio per una lunghezza di circa 40 m sul lato meridionale di un'ampia spianata dalla quale provengono iscrizioni agonistiche che hanno fatto localizzare in quel sito il Ginnasio. In relazione con i due edifici era forse l'Odeion, scavato immediatamente a N dello Stadio (al disotto, a oriente del Pythion), unico edificio d'età ellenistica in cui si sia riconosciuto finora l'impiego del marmo.
Più scarsi sono stati i trovamenti nella parte bassa della città antica occupata dalla città medievale e dalle fortificazioni e dai fossati del periodo dei Cavalieri (1308-1522) che per quanto costituiscano un complesso di singolare e imponente suggestione hanno però profondamente alterato la fisionomia del sito. Se si eccettuano pochi resti di mura di terrazzamento o di difesa visibili sotto la Torre dell'Orologio presso la Suleimanie Giami, il monumento più cospicuo è la platea di fondazione di un tempio dorico identificato con quello di Afrodite per mezzo di due iscrizioni votive e di alcune statuette di terracotta, e situato tra il porto grande a oriente e i resti degli arsenali a occidente, presso la cinta delle mura; per i particolari dell'architettura in pòros (restano pochi elementi di colonne e di trabeazioni) il tempio risale al III-II sec. a. C. Notevoli sono anche gli avanzi di una fondazione di una stoà ellenistica venuti in luce presso la via Pitagora (salendo verso la porta medievale di S. Giovanni o di Koskinoù): si conservano, riadoperati in una tarda ricostruzione, numerosi rocchi di colonne doriche in pòros, rivestiti di intonaco.
Ma la tradizione letteraria ricorda templi e monumenti situati nella parte bassa della città, dei quali non si sono ancora scoperte le vestigia. Oltre il celebre Colosso (v.) il cui sito è ignoto, in primo luogo è da menzionare lo "Αλειον, il santuario di Halios, la divinità ufficiale dello stato rodio (in esso era collocata la quadriga di Lisippo, unica opera d'arte lasciata ai Rodi da Cassio dopo il saccheggio del 43 a. C.) che si suppone, per il trovamento di iscrizioni votive, non lontano dal sito della moschea di Solimano. Il δεῖγμα ricordato da Diodoro (xix, 45) e da Polibio (v, 88) è da situare presso le mura che cingevano il porto grande, perché in esso si raccolsero le acque della grande alluvione del 316 a. C.: è probabile che esso fosse tra le strade P 5, P 12 e P 31 della pianta del Kondìs; non lontano dal porto era anche l'agorà (già nota per gli avvenimenti del 395 a. C.: Hellen. Oxyrrh., x, 2) ma il sito è ignoto. In basso era anche il santuario di Dioniso (minacciato dall'alluvione del 316 a. C.) celebre fino in età romana per i suoi porticati, le pitture che l'adornavano, i tripodi coregici e le statue votive che lo riempivano al pari del Ginnasio (Strab., xiv, 652; cfr. Lucian., Amores; 8, ps.-Aristid., xliii, 841); d'altra parte esso era vicino al teatro perché si trovava nella zona investita da Demetrio nel 304 a. C. e perciò nella parte meridionale della città se l'attacco avvenne da Sud. Dell'Asklepieion ci dà notizia un'iscrizione (Annuario, xxx-xxxii, 1952-54, p. 247 ss.) forse ancora del III sec. a. C., trovata nel fossato presso la Porta di S. Atanasio: il santuario occupava almeno due terrazze, e i suoi porticati, περίπατοι, erano già pieni di statue e di ex voto: il sito era forse prossimo a quello del trovamento dell'iscrizione. Ignota è l'ubicazione del Πτολεμαῖον, il grande santuario eretto in onore di Tolomeo I dai Rodi dopo l'assedio del 305-4 a. C.: esso era circondato su ogni lato da portici della lunghezza di uno stadio: occupava perciò uno dei quadrati maggiori in cui era scompartita la città. Altrettanto sconosciuto è il sito dell'àbaton di cui ha lasciato notizia Vitruvio (ii, 8, 14-15): era il trofeo della vittoria di Artemisia (351 a. C.), monumento ingiurioso per R., che però i Rodi non vollero distruggere, perché debitamente consacrato, ma si limitarono ad occultare alla vista. Si può solo supporre nel lato meridionale della città il tempio di Iside, presso il quale sferrò l'attacco Mitridate nell'88 a. C. (Appian., Mithrid., 27), e pure a S, ma fuori dalle mura, vanno posti i sobborghi, che già esistevano nel 304 a. C. (Plutarco, Demetr., 24 e Apophth., Dem., i, racconta l'episodio di Protogenes di Cauno che vi aveva il suo studio di pittore) e che vennero distrutti dai cittadini stessi per non avvantaggiare il nemico durante la guerra mitridatica. Immediatamente fuori dalle porte era il sacello di Artemide Aristoboùle (ἕδος ᾿Αριστοβούλης) luogo di esecuzione di un condannato nelle feste di Kronos (Porphyr., De abstin., ii, 54). Esiste però ancora, a S-E della città, sul fossato di Rodini, proprio al di fuori della linea di difesa, un ponte antico, a due arcate e pilone centrale, di bella costruzione con blocchi bugnati: è probabilmente di periodo tardo ellenistico. Infine una singolare opera di tecnica idraulica dell'ellenismo è rappresentata dalla rete dei cunicoli sotterranei per l'approvvigionamento d'acqua alla città, che solcano tutto l'altipiano a monte della città a mezzogiorno (Mangavli e il Kizil-tepé) raggiungendo la profondità di 50-80 m: le gallerie principali e le loro diramazioni sono scavate nella roccia o rivestite di conci regolari e coperte con piattabande o a doppio spiovente o a vòlta: sono alti in media m 1,60 e muniti di frequenti pozzi di aerazione e di discesa; alcuni rami che passavano sotto la città antica sono stati tagliati dai fossati della cinta medievale e sono tuttora praticabili.
Notevoli sono perciò le lacune nelle nostre conoscenze sull'antica R., tanto più perché non si sono identificati resti coevi al primo impianto (però Diodoro, xix, 45, i, dice che al tempo della prima alluvione la città era scarsamente abitata e perciò non era tutta costruita); i monumenti scoperti non paiono risalire oltre il periodo ellenistico. È da ricordare inoltre che i templi e le altre costruzioni scoperte sono in pietra calcarea o pòros e che le colonne, le trabeazioni e le murature a vista erano rivestite di intonaco finissimo e dipinte: molti frammenti superstiti di modanature architettoniche in stucco sono di mirabile fattura. Finora si è riconosciuto l'impiego del marmo solo nell' Odeon sull'acropoli. Eppure gli antichi ricordano la πολυτέλεια, il lusso della costruzione (Stratonico, ap. Plut., Mor., 525 b) e particolarmente prodighi di lodi per la bellezza della città sono gli scrittori di età romana (Strab., xiv, 652 ss.; Lucian., Amores, 8; Dio Chrysost., nel ῾Ροδιακός e lo ps.-Aristid., Or., xliii Dind.).
4. Il periodo romano e protocristiano. - Secondo Pausania (viii, 43, 4) l'imperatore Antonino Pio avrebbe aiutato i Rodî a ricostruire la città devastata dal terremoto del 142 d. C. Veramente i resti di età imperiale a R. si limitano finora al rifacimento di una strada (la P 31 del Kondìs) almeno nel suo tratto settentrionale: la πλατεῖα, larga m 10,30 venne pavimentata con lastroni di pietra di Lartos e fiancheggiata da portici con colonne di granito, capitelli e trabeazioni di marmo: all'estremità N un sontuoso tetrapilo pure di marmo era impostato sul sito degli arsenali già in rovina: la ricostruzione appartiene probabilmente agli inizî del III sec. d. C. Anche i trovamenti della prima età cristiana sono scarsi: esistono finora solo notevoli avanzi di un complesso paleocristiano scoperto nel 1960 dal Kondìs presso le pendici orientali dell'acropoli (tra cui un ambiente absidato con mosaico); mentre nel 1934 G. Jacopi aveva trovato le tracce di una basilica fuori la Porta di S. Giovanni, sul posto dello stadio moderno (ne rimaneva un pavimento a mosaico ora nel cortile del museo). Questi resti, databili nel V-VI sec., sono tutti al difuori della cinta medievale della città ridotta alla zona più vicina al porto grande. Quando sia avvenuto l'abbandono della maggior parte della città antica è ignoto: si pensa al 515 d. C. (anno in cui R. fu colpita da un terremoto) se non ancor prima, al terremoto del 345 circa d. C. Probabilmente la mancanza di vestigia di edifici romani e cristiani si spiega (oltre che con le lacune della ricerca archeologica) soprattutto con la vasta depredazione cui furono sottoposte le rovine per la costruzione delle fortificazioni medievali: specialmente imponenti furono le opere di rafforzamento della cinta effettuate dopo l'assedio del 1480, sotto i Granmaestri gerosolimitani P. d'Aubusson, E. d'Amboise e F. del Carretto: è verosimile pensare che per la spoliazione abbiano maggiormente sofferto le rovine delle ultime fasi costruttive.
5. Le necropoli. - Le necropoli si estendono, a gruppi, a mezzogiorno della città. Nel gruppo occidentale, sull'altura del Kizil-tepé (a S del Monte S. Stefano) si sono scoperte le deposizioni più antiche, tombe a cassa scavate nella roccia o costruite di lastroni di pietra oppure fosse contenenti urne o vasi cinerarî (nelle necropoli di R. dopo il sinecismo inumazioni e incinerazioni si incontrano sempre commiste). Queste tombe sono del IV sec. a. C.: nell'età ellenistica sotto l'influsso dell'architettura funeraria dell'Asia Minore si diffonde l'uso delle grandi camere sepolcrali scavate nella roccia, con prospetti architettonici, o completamente sotterranee. La roccia tenera del luogo (calcare oolitico) favoriva lo scavo degli ipogei.
Le pendici meridionali del Kizil-tepé, attraversate dalla strada chiamata Makrỳ Stenò (nel sobborgo moderno di S. Giovanni) e tutti i rialzi del terreno a S della strada sono ricchi di ipogei (di cui solo pochi trovati intatti), cioè camere sepolcrali nelle quali si penetrava dall'alto attraverso un pozzo o lucernaio quadrato o rettangolare chiuso da grandi lastroni: lungo i lati delle camere sepolcrali si aprivano loculi per le inumazioni e nicchiette per i cinerarî. In una di queste camere i loculi sono racchiusi entro ricchi letti ricavati nella pietra e rivestiti di intonaco dipinto. La zona però è stata devastata da lunghe gallerie sotterranee, cave di pietra di epoca, a quel che pare, recente. Si sono trovati anche recinti funerarî all'aperto, con fosse a forma di cassa, sormontate da basamenti con stele o are, e vi sono anche tombe monumentali, tra cui notevole l'ipogeo scavato nel 1917, in cui le camere a vòlta e i piccoli loculi sono sormontati da un grande basamento ornato da un fregio di metope e triglifi.
Le stesse forme di sepoltura si ripetono nella vasta necropoli sud-orientale detta di Acandia, che si stende lungo la strada che porta al villaggio di Koskinoù: vi sono ipogei a vòlta sormontati da un heròon o da una semplice esedra; camere con prospetti architettonici e porte incorniciate; un prospetto è ornato da un colossale rilievo rupestre con figure, a grandezza naturale, di Dioniso, satiri e menadi (forse del 100 circa a. C.).
Il monumento più notevole, noto come la Tomba dei Tolomei, è situato sulla via di Asgourou e di Kallithiès (Calitea) verso l'interno, oltre il fossato di Rodini: è un mausoleo che constava di un basamento quadrato, ricavato dalla roccia, ornato su ogni faccia da semicolonne con base e trabeazione (conservate solo quelle del lato settentrionale) che sosteneva in origine una piramide, forse a gradoni, parte in roccia e completata da blocchi di pietra. La camera sepolcrale, che si apriva nell'angolo di N-E, ha soffitto a doppio spiovente ed è preceduta da un'anticamera con loculi sui lati; la pareti e il soffitto erano rivestiti di fine intonaco dipinto. Dalle necropoli provengono notevoli pezzi di scultura (tra cui la stele di Calliarista, del IV sec. a. C. dal Kizil-tepé, il trofeo d'armi da un'edicola di Makrỳ Stenò, ecc.) semplici stele iscritte (taluna con figure in rilievo) e un gran numero di altari sepolcrali, per lo più circolari, talora rettangolari, ornati con teste di torello e con ghirlande (un altare di Acandia è invece sormontato da una prora di nave); i cinerarî o sono cassette di marmo con coperchio a tetto, con il nome del defunto, oppure idrie grezze con coperchio, oppure olle globulari con quattro manichi, decorate con fasce rosse; numerosissime sono le iscrizioni.
6. L'isola dopo il sinecismo. - Con la fondazione dello stato unitario lo sviluppo dei traffici marittimi nella nuova capitale e l'accresciuta potenza economica e politica significarono un maggior benessere di cui beneficiarono anche le antiche pòleis che erano divenute le ϕυλαί del nuovo stato. La fisionomia edilizia delle tre città, Lindo, Ialiso e Camiro ci è nota solo a cominciare dal IV sec. a. C., epoca a cui risale la ricostruzione del tempio di Atena Lindia dopo l'incendio del 392 a. C. che aveva distrutto il tempio di Cleobulo della seconda metà del VI sec.; probabilmente coevo è l'impianto scenografico dei propilei. Alla seconda metà del IV sec. sembrano appartenere i resti del tempio di Atena Ialysìa e della fontana monumentale del Fileremo (v. ialiso) e quelli del tempio di Apollo Eretimio a Tholòs in territorio ialisio. Più recente (III sec. a. C.) è la grande stoà che chiude in alto l'acropoli di Camiro, e dello stesso periodo possono essere il tempio inferiore, la fontana, gli altari della zona sacra e le case più antiche della città. La storia edilizia delle tre città appare perciò svolgersi parallela a quella di R. probabilmente sotto l'influsso dell'architettura scenografica della capitale. Eccezionale è l'uso del marmo per le costruzioni (ad esempio la fontana dorica di Camiro): ovunque è impiegata la pietra rivestita di intonaco dipinto. Un indizio della partecipazione dei centri anche minori all'attività commerciale dell'isola può esser dato dalla scoperta di una fabbrica, presso il villaggio di Villanova in territorio di Ialiso, delle caratteristiche anfore vinarie munite del timbro col nome del sacerdote eponimo di Halios, diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo.
Resti dell'età imperiale romana sono assai scarsi nell'isola, mentre è possibile riconoscere una nuova fioritura architettonica nel periodo cristiano (il Cristianesimo era già diffuso nell'isola nel II sec. d. C.; un vescovo di R. è al Concilio di Nicea nel 325; alla fine del IV sec. la città è sede di un metropolita); resti di basiliche paleocristiane sono stati scoperti in diverse località: a Ialiso, ove la basilica con il battistero si è sovrapposta alle rovine del tempio di Atena; a Salaco, nella baia di Coprià (presso il villaggio di Castello), a Siana, a Monolito ed Arnita sul versante occidentale dell'isola; a Cattavia sul versante meridionale; ad Afando, Colymbi, al Gadurà, Lardo, Iannadi, Messanagrò e Plimmyri sul versante orientale: pare che queste costruzioni si possano datare quasi esclusivamente nel V-VI secolo. Dalla diffusione dei resti paleocristiani sembra che l'isola non si possa considerare spopolata alla fine del mondo antico, quantunque devastata da incursioni barbariche (quella dei Goti nel 269 e degli Isauri nel 470) e da terremoti (l'uno di circa il 345, l'altro sotto Anastasio I nel 515). Nel 538 R. divenne la capitale della provincia delle isole con a capo un hegemòn.
Bibl.: Per la geografia e geologia: G. Jaja, L'Isola di Rodi, in Bollett. della Soc. Geografica Italiana, XLIX, 1912; A. Philippson, Die griechischen Landschaften, IV: Das aegaeische Meer und seine Inseln (a cura di E. Kirsten), Francoforte s. M. 1959, pp. 329-352. Per la storia: A. Momigliano, in Enc. It., XXIX, 1936, c. 552-555, s. v.; H. van Gelder, Geschichte der alten Rhodier, L'Aia 1900, pp. 63-177 (per la storia); pp. 178-288 (per la costituzione); Fr. Hiller v. Gaertringen, in Pauly-Wissowa, Suppl. V, 1931, c. 731-840, s. v. Rhodos; M. Rostovtzeff, Rhodes, in Cambr. Ancient Hist., VIII, 1930, pp. 619-642; cfr. la raccolta delle fonti in F. Jacoby, Die Fragmente der griechischen Historiker, Leida 1950, III B, pp. 489-519 (i testi: cfr. III b, pp. 424-455 per il commentario e, nel volume delle note, le pp. 253-268). Per le iscrizioni, indispensabili per ogni studio su R., dopo la raccolta delle I. G., XII, i (Hiller v. Gaertringen), del 1895, si vedano principalmente: A. Maiuri, Nuova Silloge Epigrafica di Rodi e Cos, Firenze 1925; G. Pugliese Carratelli, in Annuario, XXX-XXXII, 1952-1954 (1955), pp. 247-316, con bibliografia; XXXIII-XXXIV, 1955-56 (1957), pp. 157-181; per le iscrizioni di Lindo: v. lindo; pr quelle di Camiro (v.), si aggiunga: G. Pugliese Carratelli, Tituli Camirenses, Supplementum, in Annuario, XXX-XXII, 1952-54 (1955). Per la storia economica e il commercio di R. nel periodo ellenistico si veda: M. Rostovtzeff, Social and Economic History of the Hellenistic World, Oxford 1941, voll. I-III (v. indici). Indispensabili per la storia del commercio rodio sono i timbri anforari; V. Grace, The Eponyms Named on Rhodian Amphora Stamps, in Hesperia, XXII, 1953, pp. 116-128; cfr. da ultimo: H. Dunscombe Colt, Excavations at Nessana, I, Londra 1962, pp. 106 ss. (V. Grace) con bibliogr. a pp. 110-111. Per le anfore trovate a R., v.: A. Maiuri, Una fabbrica di Anfore Rodie, in Annuario, IV-V, 1921-22 (1924), pp. 249-269 (per il deposito di Villanova) e cfr. Bull. Corr. Hell., LXXXV, 1961, p. 862, fig. 5 (per quello nella città di R.). Per la religione e la mitologia: H. van Gelder, op. cit., passim; M. P. Nilsson, Griechische Feste, Lipsia 1906 (v. ind. I, s. v. Rhodos, p. 478); D. Morelli, I culti in Rodi, in Studi Classici e Orientali, VIII, 1959, pp. 1-184. Per le ricerche archeologiche e gli scavi: L. Ross, Reisen auf den grichischen Inseln des aegaeischen Meeres, Stoccarda 1845, III, pp. 70-91; C. T. Newton, Travels and Discoveries in the Levant, I, Londra 1865; V. Guérin, Voyage dans l'île de Rhodes, Parigi 1856. Cfr. anche i viaggiatori e disegnatori dell'Ottocento, tra cui merita un posto a parte A. Berg, Die Insel Rhodus, Braunschweig 1861; il manoscritto (con i disegni) del medico svedese J. Hedenborg (Geschichte der Insel Rhodos, 1854), in quattro voll., è conservato nella Biblioteca dell'ex istituto Fert di Rodi. Per gli scavi italiani in R. fatti tra il 1912 e il 1927; Annuario della Scuola Arch. Ital. di Atene, voll. I, 1914; II, 1916; III, 1921: VI-VII, 1926; XIII-XIV, 1933: relazioni preliminari nel Bollettino d'Arte del 1914 (L. Pernier); 1915 (G. G. Porro); 1916 (B. Pace); 1923-24 e 1924-25 (A. Maiuri); 1926-27 e 1927-28. Per il periodo successivo al 1928 v. Clara Rhodos, voll. II-X, 1929-1941, e le Memorie dell'Istituto storico-archeologico Fert di Rodi, voll. II-II, 1938. Indispensabile è la Carta Archeologica dell'Isola di Rodi, (Firenze 1936), a cura di R. U. Inglieri. Per gli scavi greci condotti da J. D. Kondis e tuttora in corso si vedano: Πρακτικά, Atne 1951 e ss.; Τὸ ῎Εργον, 1955 ss.
Per il periodo miceneo v. ialiso; cfr. R. U. Inglieri, Carta archeologica dell'is. di Rodi, 1936 (passim, per le località di rinvenimenti nell'isola); L. Laurenzi, Note sulla civiltà micenea in Rodi, in Memorie Fert, II, 1938, pp. 49-54. Per la ceramica di altre località dell'isola (Apollakià, Vati, Ascilipiò, Siana, ecc.) v. Corpus Vasorum Antiq., Danemark, fasc. 1-2, tavv. 39-63. In generale: A. Furumark, The Mycenaean Pottery, Analysis and Classification, Stoccolma 1941; Chronology, ibid., 1941; id., The Myc. III C Pottery and its Relation to Cypriote fabric, in Opusc. Arch., III, 1944, pp. 194-265. Per la ceramica trovata allo Scoglio del Tonno: W. Taylour, Mycenaean Pottery in Italy, Cambridge 1958, pp. 81 ss., specialm. pp. 128 ss. (cfr. F. Biancoforte, La ceramica micenea dello Scoglio del Tonno, ecc., in Riv. Ist. Arch. e St. dell'Arte, VII, 1958, pp. 5-44). Per l'identificazione di Ahhijava con R.: B. Hrozny, in Archiv Orientální, III, 1931, pp. 292-295; L. Laurenzi, in Memorie Fert, II, 1938, pp.52 ss.; G. Pugliese Carratelli, in Jahrb. für kleinasiat. Forschung, II, 1950, pp. 156-163 e bibl.; cfr. F. Schachermeyr, Zur Frage der Lokalisierung von Achiawa, in Minoica (Fest. Sundwall), Berlino 1958, pp. 365-380. Per la ceramica protogeometrica: V. Desborough, Protogeometric Pottery, Oxford 1952, pp. 225-233, e cronol. p. 294 s. Per la ceramica geometrica: Ch. Dugas, Les vases "rhodiens géometriques", in Bull. Corr. Hell., XXXVI, 1912, pp. 595-522; A. Rumpf, Handbuch d. Archäol., IV, i, Monaco 1953, p. 22, nota 9; K. Frijs Johansen, Exochì, in Acta Archaeologica, XXVIII, 1958; per il sub-geometrico: A. Rumpf, Zu den klazomenischen Denkmälern, in Jahrb., LXVIII, 1933, p. 69, Excurs I i. Per i pìthoi a rilievo: D. Feytmans, Les pithoi à reliefs de l'île de Rhodes, in Bull. Corr. Hell., LXXIV, 1950, pp. 135-180 (tavv. XX-XXIX). Per le oreficerie: G. Becatti, Oreficerie Antiche, Roma 1955, pp. 44 ss. Per la coroplastica: R. J. H. Jenkins, Dedalica, Cambridge 1936, pp. 34, 44, 48 s., 54, 57, 89-92; R. A. Higgins, Brit. Mus., Catal. of Terracottas, I, Londra 1954, p. 19 ss.; II, 1959, p. 9 ss. Per le sculture arcaiche di Camiro: G. M. A. Richter, Kouroi, Londra 160, nn. 124-126, pp. 109 ss.; n. 154, p. 125. Per la prima monetazione: H. A. Cahn, in Charites, 1957, p. 23 ss.
Per la città di R. le fonti principali per la conoscenza della topografia sono: Diodoro, XIX, 45 per la grande alluvione del 316 a. C., e XX, 82 ss., per l'assedio del 305-4 a. C.; Polibio, V, 88, per il terremoto del 227-6 a. C.; Appiano, Mithridat., 94 ss., per l'assedio dell'88 a. C.; Strabone, XIV, 652 ss.; Pseudo-Aristide, Or., XLIII Dind. La discussione delle fonti in M. Erdmann, Hippodamos von Milet und die symmetrische städtebaukunst der Griechen, in Philologus, XLIII, 1844, pp. 219-227; H. van Gelder, Geschichte der alten Rhodier, pp. i ss.; cfr. H. v. Gaertringen, art. cit., c. 731 ss. Per gli scavi italiani: A. Maiuri, Note sulla topografia antica di Rodi, in Annuario, III, 1921, pp. 259-262; id., Rodi, Roma 1921, pp. 29-40; id., in Clara Rhodos, I, 1928, pp. 44 ss.; G. Iacopi, in Historia, V, Milano 1931, pp. 476-479; L. Laurenzi, in Boll. d'Arte, 1936-37, pp. 129 ss.; id., in Enc. Italiana, App. II, 1949, p. 726, s. v. Per gli scavi greci, si vedano i Πρακτικὰ τῆς Αρχαιολοηικῆς ῎Εταιρείας dal 1951 in poi, e Τὸ ἔργον τῆς ᾿Αρχαιολογ. ᾿Εταιρείας dal 1955 (cfr. i notiziarî, s. v. nel Bull. Corr. Hell. e negli Archaeological Reports). Per la topografia della città, fondamentali gli studî di J. D. Kondis, Συμβολὴς εἰς τῆν μελέτην τῆς ῥυμοτομίας τῆς ῾Ρόδου in ῾Ρόδος, 1954 e Zum antiken Stadtbauplan von Rhodos, in Ath. Mitt., 73, 1958, pp. 146-158, Beil. 119-132 e tavv. III-IV (cfr. J. Bradford, Fieldwork on Aerial Discoveries in Attica and Rhodes, in The Antiquaries Journal, XXXVI, 1956, pp. 57-69). Per le fortificazioni, v. Clara Rhodos, I, 1928, p. 44 ss.; Boll. d'Arte, 1936-7, pp. 129 ss.; Πρακτικὰ, 1953 (1956), pp. 275 ss. e tav. I, 1954 (1057), pp. 354 ss.; Ath. Mitt., 73, 1958, Beil. 131, 2 (cfr. L. Laurenzi, Proiettili dell'artiglia antica scoperti a Rodi, in Memorie Fert, II, 1938, pp. 33 ss.). Per i porti: L. Laurenzi, in Boll. d'Arte, 1936-7, p. 130; J. D. Kondis, in Ath. Mitt., 73, 1958, p. 154, Beil. 131, i e cfr. le vedute aeree Beil. 122 e 123. (Il passo di Athenaios su Apollonio, in R. Schneider, Griechische Poliorketiker, in Abhandlungen Göttingen, XII, 1912, fasc. 5, p. 12). Per l'acropoli, v. la veduta aerea, in Ath. Mitt., 73, 1958, Beil. 125; per il portico a S del tèmenos di Zeus Polièus: Πρακτικὰ, 1952 (1955), pp. 553 ss.; tav. i; per il santuario rupestre a S del Pythion: ibid., 1954 (1957), pp. 347-352, figg. 5-6; per i ninfei, v. Historia, V, 1931, p. 476; Boll. d'Arte, 1936-7, p. 133; Carta Archeol., n. 17, pp. 16 s. Lo stadio: Clara Rhodos, I, 1928, p. 49, fig. 31; Ath. Mitt., 73, 1958, Beil. 126. Il Ginnasio, in Historia, V, 1931, p. 478 (cfr. per le iscrizioi Clara Rhodos, II, 1932, pp. 190-198, nn. 19-29); Πρακτικὰ, 1952 (1955), pp. 563 ss. L'Odeon, in Memorie Fert, II, 1938, pp. 25-29. Dei monumenti della città bassa, il tempio di Afrodite, in Clara Rhodos, I, 1928, p. 46, fig. 28; il portico di via Pitagora, in Πρακτικὰ, 1951 (1952), pp. 225-234 e tav. IV. Per la supposta ubicazione del tempo di Halios, v. L. Morricone, in Annuario, XXVII-XXIX, 1949-1951 (1952), nota i a p. 360. Per il Ponte di Rodiní: A. Maiuri, Rodi, Roma 1921, p. 35; Ath. Mitt., 73, 1958, Beil. 132; per gli acquedotti: Clara Rhodos, I, 1928, pp. 50 ss., fig. 33; Ath. Mitt.., 73, 1958, p. 154 e fig. i. Sugli intonaci di rivestimento: J. D. Kondis, in Πρακτικὰ, 1952 (1955), pp. 579-584. Per la via porticata d'età romana (P 31): Ath. Mitt., 73, 1958, Beil. 119. Per i resti paleocristiani: Historia, V, 1931, p. 479; Bull. Corr. Hell., LXXXV, 1961, p. 862, fig. 6. Cfr. A. K. Orlandos, ὰ καὶ Βυζαντινὰ Μνημεσῖα τῆς ῾Ρόδου, in ᾿Αρχετον τῶν Βυζαντινῶν Μνημείων τῆς ῾Ελλάδος, Atene 1948, VI. Si tenga presente, per il periodo cavalleresco: A. Gabriel, La Cité de Rhodes, MCCCX-MDXXII, 2 voll., Parigi 1921; per il periodo turco: H. Balducci, Architettura Turca in Rodi, Milano 1932. Per le necropoli: Biliotti-Cottret, L'île de Rhodes, Rodi 1881, pp. 459-462; B. Pace, in Annuario, I, 1914, p. 370; A. Maiuri, Rodi, Roma 1921, pp. 37-40; Clara Rhodos, I, 1928, pp. 53-55; G. Jacopi, in Boll. d'Arte, 1926-7, p. 332; 1927-8, p. 517; id., in Clara Rhodos, VI-VII, 1932, pp. 445-467; L. Laurenzi, in Boll. d'Arte, 1936-7, pp. 132 s.; R. U. Inglieri, Carta Archeol., 1936, pp. 20-24; Th. French, in Journ. Hell. St., LXV, 1945, p. 101; L. Laurenzi, in Enc. It., App. II, 1949, p. 726 s., s. v. Per sepolture sommarie trovate immediatamente al di fuori delle mura, a S della città: Bull. Corr. Hell., LXXXVI, 1962, p. 885, fig. 16. Per l'architettura delle città dell'isola, v. le voci camiro; ialiso; lindo; cfr. L. Shoe, Greek Mouldings of Kos and Rhodes, in Hesperia, XIX, 1950, pp. 339 ss.; J. D. Kondis, in Gnomon, 1963, p. 392 ss. Per i monumenti paleocristiani dell'isola: A. K. Orlandos, op. cit.; P. Lojacono, Ruderi di Chiese paleocristiane nell'isola di Rodi, in Palladio, II, N. S., 1952, pp. 103 ss.; A. K. Orlandos, Les Baptistères du Dodécanèse, in Actes du Ve Congrès internat. d'archéol. Chrétienne, Aix-en-Provence 1954, Roma 1957, da cui A. Khatchatrian, Les Baptistères paleochrétiens, Parigi 1962, p. 121; cfr. E. Dyggve, Lindos, III, 2, pp. 520 ss.
(L. Morricone)
B) - Opere d'arte a Rodi (Per la ceramica v. Rodi, Vasi). - L'arte in R. assume particolare fisionomia e rilievo a partire dal IV secolo. L'arte di questo tempo è legata ad un pittore, Protogenes, e a uno scultore, Chares di Lindo, che fu l'autore del Colosso (v.). Non abbiamo informazioni maggiori sulla pittura durante il primo secolo di vita della città e possiamo pensare che la scultura fosse considerata soprattutto come bronzistica, in quanto l'isola manca di marmo statuario. L'afflusso di questa materia deve essere avvenuto dopo la fine degli sconvolgimenti politici, ossia dopo il 190 a. C., che portarono Pergamo, R. e Coo ad un benessere notevole, con l'apertura di cave di marmo, soprattutto nella vicina Coo (v.), attraverso le quali si affermarono a R. officine di scultori. Da questa età noi possiamo trattare di una produzione rodia di scultura in marmo, inesistente prima del II sec. a. C. Alcune opere dimostrano che oltre alla piccola plastica, prevalente, si è trattata anche la grande scultura.
Fra le opere di grande scultura si ricorda la cosiddetta Venere marina, che non si può datare nel IV sec., come è stato scritto, perché ha un panneggiamento manieristico, con una rigida piega centrale ed altre pieghe a festone. Certo la corrosione data dalla secolare immersione, in quanto la statua è stata trovata nel porto di R., rende difficile una datazione stilistica, ma i caratteri classicistici dell'abito e della impostazione, congiunti con la ricchezza delle forme del volto e della chioma, farebbero pensare ad un'arte ancora coloristica del gusto pergameno, ma già avviata al neoclassicismo, ossia della seconda metà del II sec. a. C.
Non diversamente si potrebbe datare un grande supporto di tripode alto m 2,50, che è stato chiamato un Ecateo, mentre non ha nessun carattere proprio di questo tipo. Si tratta di tre Kòrai della tipologia caratteristica delle fanciulle sacre ad Atena, trovate negli scavi del tempio di Atena Poliàs sorreggenti un tripode, vestite di chitone ed himàtion a tracolla, con la destra porta a sorreggere la patera. Non sono neoattiche perché hanno la corporeità propria delle opere neoclassiche dell'Oriente greco.
Di un'età precedente sono certamente un Helios trovato in scavi nella città, vicino alla zona dove sorgeva il tempio del dio, che per l'espressione patetica rientra nella tradizione istituita da Lisippo per questa divinità e nell'iconografia, per i fori attraverso i quali si può ricostruire una raggiera. Questa scultura è significativa per riconoscere una sequenza dell'arte rodia da quella pergamena.
Un'altra opera, che rientra in un gruppo ancora patetico e forse con accenni più legati al IV sec., è una testa colossale di giovane, che viene riferita ad un atleta. Date le sue dimensioni si potrebbe pensare anche ad una divinità. L'arte è eclettica, ma non stupisce ravvisare un eclettismo nella scultura, specialmente in marmo, della R. del tardo ellenismo, perché si trova anche nella coroplastica.
Fra le altre opere di grande scultura trovate a R. va ricordato un tronco loricato con decorazioni di Arimaspi con grifoni, di guerrieri in duello, di una Medusa, di eccezionale tecnica che ricorda quella di derivazione metallica delle balaustre del portico di Atena Poliàs a Pergamo. Esso si allinea con molti altri torsi locati che erano conservati entro edicole, di carattere nettamente ellenistico, a R., e quindi potrebbe essere anche il più antico della serie delle corazze marmoree istoriate.
Le sculture trovate nella città di R. sono circa cinquecento di cui la maggior parte molto piccole e riferentisi a tipi di divinità, che si offrivano in dono; soprattutto Afrodite. Una serie importante riguarda un tipo di dea vestita di tunica con un mantello, che si ripiega sul grembo e scende manieristicamente senza essere sorretto dalla mano. Per questo manierismo e per il ritmo centrifugo l'archetipo può essere posto nel tardo ellenismo e può essere identificato con la figura di una Artemide Ecate, in quanto piccole terrecotte del genere furono trovate nel tèmenos di Apollo Pỳthios sull'acropoli di R. e perché il tipo si è stilizzato sino a diventare un bassorilievo in esemplari trovati in nicchie rupestri della grande necropoli ellenistica della città. Si trattava dunque di una divinità funeraria che, per il sicuro collegamento con Apollo, si deve ritenere essere una Artemide Ecate.
La notissima Venere rodia rappresentata nel bagno in una iconografia che deriva dalla Afrodite accovacciata di Doidalsas (v.) è probabilmente di arte alessandrina.
L'età romana imperiale è rappresentata soprattutto da alcuni ritratti.
Bibl.: A. Maiuri, Afrodite al bagno, in Bollettino d'Arte, III, 1923-1924, p. 385 s.; id., Sculture del Museo Archeologico di Rodi, in Annuario della Scuola Archeologica di Rodi, vol. IV-V, 1924, p. 233 s.; G. Jacopich, Clara Rhodos, Studi e materiali pubblicati dall'Istituto Storico Archeologico Fert di Rodi, vol. I, 1928, p. 21 s.; A. Maiuri, Monumenti di scultura del Museo Archeologico di Rodi, in Clara Rhodos, II, 1932; G. Jacopi, Monumenti di scultura del Museo Archeologico di Rodi, III, in Clara Rhodos, V, i, 1931; L. Laurenzi, Monumenti di scultura del Museo Archeologico di Rodi, IV, in Clara Rhodos, IX, 1938.
(L. Laurenzi)