Rocky
(USA 1976, colore, 119m); regia: John G. Avildsen; produzione: Irwin Winkler, Robert Chartoff per United Artists; sceneggiatura: Sylvester Stallone; fotografia: James Crabe; montaggio: Richard Halsey, Scott Conrad; scenografia: William J. Cassidy, James H. Spencer; costumi: Joanne Hutchinson; musica: Bill Conti, Carol Connors.
Rocky Balboa, aitante ventottenne di Filadelfia, vive riscuotendo i crediti di un usuraio italoamericano e vincendo ogni tanto qualche modesto incontro di boxe, la sua grande passione. Divide il proprio appartamento con due tartarughe, un pesce rosso e un cane. Timido e chiuso, Rocky è innamorato di Adriana, una ragazza introversa, sorella dell'amico alcolizzato Paulie. Finalmente una sera Adriana e Rocky si dichiarano reciprocamente i loro sentimenti e iniziano una relazione. Nel frattempo, il campione afroamericano del mondo dei pesi massimi Apollo Creed, a cui viene a mancare uno sfidante degno del suo calibro quando le scommesse sono già avviate, decide di cercare un avversario anche tra i pugili non professionisti. Cavalcando il mito americano della 'terra delle opportunità', propone quindi un match con un pugile bianco alle prime armi. La scelta cade su Rocky, che si fa chiamare lo 'stallone italiano'. Il giovane dilettante, a cui viene promesso un premio di centocinquantamila dollari, accetta la sfida e inizia un'estenuante preparazione, con l'aiuto dell'amico Paulie e del vecchio allenatore del quartiere, Mickey. Così il giovane pugile, in tuta e scarpe da ginnastica, passa le giornate in una modesta palestra e, alle prime luci dell'alba, attraversa di corsa la città, mentre il temuto Apollo si serve della migliore tecnologia e di trainers famosi. Rocky ripete continuamente a se stesso che l'importante è partecipare a un incontro con il campione. L'agognato giorno del match arriva: Balboa riesce subito a sferrare un pugno ad Apollo, mandandolo al tappeto, ma la furia dell'avversario si abbatte poi sullo 'stallone italiano', che comunque resiste per tutti i quindici round. Apollo ha la meglio ai punti, ma Rocky viene salutato dall'America come il vero vincitore. Ridotto a una maschera di sangue, lo 'stallone italiano' non fa che invocare il nome di Adriana, che corre ad abbracciarlo mentre il pubblico impazzito si stringe intorno a loro e si scatena negli applausi.
Nel marzo del 1975, Sylvester Stallone è testimone dell'incontro di boxe tra Muhammad Ali e Chuck Wepner. Ali, reduce dalla vittoria contro George Foreman, nelle previsioni avrebbe dovuto stendere l'avversario con facilità, ma Wepner riuscì addirittura a mandare al tappeto il campione, prima di perdere per ko tecnico alla quindicesima ripresa, tra gli elogi del pubblico. Questa storia diede a Stallone la spinta per scrivere il soggetto e la sceneggiatura di Rocky. Il giovane attore, diplomato all'accademia, aveva fatto molta gavetta (dopo l'esordio nel 1970 con un film soft-core, The Party at Kitty and Stud's di Morton Lewis) e aveva colto la sua prima vera opportunità nel 1974 con The Lords of Flatbush (Happy Days ‒ La banda dei fiori di pesco, di Stephen F. Verona e Martin Davidson), nostalgica commedia sulle bande giovanili, che l'aveva visto anche collaborare ai dialoghi. Per Stallone, però, la svolta della carriera arrivò con Rocky: da quel momento, il suo nome venne iscritto nel firmamento delle star hollywoodiane, diventando sinonimo del cinema muscolare (su tutto la serie di Rambo, aperta da First Blood ‒ Rambo di Ted Kotcheff nel 1982) trionfante negli anni Ottanta.
Film girato in quattro settimane a budget ridotto e senza star, Rocky ha conosciuto un successo di pubblico mirabolante. Dopo aver collezionato una carrellata di nominations (comprese quelle per il miglior attore e la miglior attrice protagonista), si aggiudicò tre Oscar: miglior regia, miglior film, miglior montaggio. A ciò vanno aggiunti, tra i vari premi conseguiti, il Golden Globe per il miglior film e il David di Donatello a Stallone come miglior attore straniero. Il successo del personaggio, che diede vita a un fenomeno di costume, portò in seguito alla realizzazione di ben quattro sequels, di gran lunga inferiori all'originale: Rocky II (1979), Rocky III (1982) e Rocky IV (1985) con la regia di Stallone, mentre per Rocky V (1990) tornò dietro la macchina da presa John G. Avildsen. Quasi tutta la squadra di attori è riproposta in ognuno dei cinque lungometraggi: nel gruppo, Carl Weathers nei panni di Apollo diventa amico e allenatore di Rocky (prima di essere ucciso sul ring dal comunista Ivan Drago), mentre la brava Talia Shire sposa il granitico italoamericano. La struttura sulla quale gioca il primo Rocky ‒ la sfida, l'allenamento, la storia d'amore, l'incontro e la vittoria ‒ si ripete con qualche variante di film in film, riprendendo peraltro uno schema di riscatto molto sfruttato nella tradizione del cinema sportivo (a partire almeno da The Champ ‒ Il campione, King Vidor 1931). Allo stesso modo, immancabile è la sequenza in cui i due sfidanti si allenano gagliardamente in montaggio alternato (con l'accompagnamento, nella prima prova, della canzone Gonna Fly Now di Bill Conti, che divenne famosissima).
Rocky rappresenta magnificamente il sogno americano, il riscatto possibile del piccolo eroe metropolitano, a cui viene offerta la chance della vittoria, della scalata sociale, dell'ascesa professionale, in una combinazione tra fatiche proletarie girate in ambienti reali e scioglimenti fiabeschi. Eroe buono e generoso, uomo mite, marito devoto, Balboa è capace di servirsi della sua aggressività solo sul ring, non per uccidere, ma per mettere al tappeto il suo sfidante e recuperare il rispetto per se stesso. La saga di Rocky sfiora anche il discorso politico: se tra le righe del primo e del terzo episodio emerge la questione razziale, nel quarto lo sfidante è il sovietico Ivan Drago e lo scontro non coinvolge solo due pugili, ma si carica di motivi ideologici da Guerra Fredda, anche se quasi fuori tempo massimo. Negli anni Settanta e Ottanta i film dedicati allo sport hanno avuto, soprattutto negli Stati Uniti, un largo successo, a cui Rocky ha contribuito in modo determinante. La risposta allo 'stallone italiano' arrivò qualche anno dopo per mano di Martin Scorsese con Raging Bull, il più bel film sul pugilato della storia del cinema, che però non riscosse altrettanto successo. Robert De Niro vinse l'Oscar come miglior attore protagonista, ma nell'immaginario collettivo non solo americano il pugile numero uno è rimasto l'indimenticato Rocky Balboa.
Interpreti e personaggi: Sylvester Stallone (Rocky Balboa), Talia Shire (Adriana), Burt Young (Paulie), Carl Weathers (Apollo Creed), Burgess Meredith (Mickey), Thayer David (Jergens), Jimmy Gambina (Mike), Joe Spinell (Gazzo), Don Sherman (barista), Lloyd Kaufman (ubriaco), Joe Frazier (se stesso).
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