BENEVENTANI, Rocco
Figlio di Francesco, nacque il 21 maggio 1777 a Sasso di Castalda (Potenza). Studiò diritto ed economia a Napoli, ove conobbe M. Pagano, F. Conforti, D. Cirillo. Ufficiale dei militi della Repubblica partenopea, andò in esilio alla sua caduta, e rientrò a Napoli solo quando la città venne occupata dalle truppe francesi. Nel novembre 1806 venne dal re Giuseppe Bonaparte nominato segretario generale dei Demani: posto particolarmente impegnativo in quanto la soppressione della feudalità, decretata con legge del 2 agosto, portava di conseguenza alla rivendicazione e ripartizione delle terre demaniali.
Si doveva assegnare ai comuni una porzione di terra equivalente al diritto rappresentato dalle popolazioni, e dividerla in quota fra gli abitanti (legge del 1º sett. 1806, integrata dal decreto 8 giugno 1807, e regolata poi dal decreto murattiano del 3 dic. 1808, che ne fissò il procedimento). Comuni, feudatari, ecclesiastici erano coinvolti nella questione demaniale: sicché dffficilissimo risultava dirimere le innumerevoli liti e discussioni che rampollavano dall'attuazione della legge, per le quali erano arbitri i commissari ripartitori, cioè i membri della Commissione nominata per la ripartizione delle terre demaniali. Contro il deliberato dei commissari gli interessati potevano ricorrere al Consiglio di Stato: e l'esser stato il B. chiamato in seguito proprio alla segreteria generale dei Consiglio di Stato mostra quale stima di dottrina e di imparzialità egli godesse nell'amministrazione dei Demani.
Apprezzato anche quale giurista, il B. venne poi chiamato al ministero di Grazia e Giustizia, come capo divisione: carica anch'essa a quei tempi particolarmente difficile ed onerosa, perché ferveva il lavoro per adattare ed estendere al Regno di Napoli i codici di Francia, e per rinnovare interamente i quadri della magistratura. Nel 1809 passò al ministero dell'Intemo, collaboratore di G. Zurlo, del quale meritò la fiducia e l'amicizia. Con lo Zurlo fu nel 1810 in Calabria al seguito di Gioacchino Murat, in quella spedizione di Sicilia, che, se non raggiunse lo scopo di sottrarre l'isola agli Inglesi e ai Borboni, fu pur sempre onorevole per i soldati e per i consiglieri meridionali del re. Ancora al seguito di Gioacchino, anzi incaricato di redigeme la corrispondenza, il B. fu nel viaggio in Puglia nella primavera del 1813: in quella occasione verme nominato grande referendario dei Consiglio di Stato e ottenne l'Ordine delle Due Sicilie.
Sempre al seguito del re negli ultimi anni della fortunosa carriera, contrasse amicizia con molti personaggi del suo seguito, tra i quali Pellegrino Rossi. Come quasi tutti i murattiani, e come lo Zurlo stesso, entrò a far parte della massoneria, della quale nel 1813 era maestro, come risulta dalle carte della polizia borbonica. Che fosse poi sempre fra i più attivi e capaci murattiani ci dice la sua nomina a posti particolarmente delicati e difficili: la presidenza della Commissione per la riforma dell'anuninistrazione dei dipartimenti dell'Ombrone, del Reno, del Rubicone, del Metauro e del Musone, testé annessi al Regno di Napoli (27 marzo 1813), e la Intendenza provvisoria di Teramo, quando negli Abruzzi serpeggiava la minaccia di guerra civile promossa dai carbonari e dalla propaganda borbonica (28 apr. 1814).
Restaurata a Napoli la dinastia dei Borboni, il B. patrocinò, quale capo divisione dei ministero dell'Intemo, quella legge che il 12 dic. 1816 ribadì l'eversione della feudalità, asserendo che la sua necessità era stata avvertita fin dai secoli lontani, e che d'altra parte tomare indietro non era possibile senza scompaginare e rovinare irrimediabilmente l'assetto finanziario del Regno.
Nel 1817 il B. sposò Silvia Albanese dei Castrioti, orfana di Giuseppe Albanese, martire del 1799: dalle nozze ebbe cinque figliuoli, fra i quali Valerio, che fu deputato del Regno d'Italia.
Nel 1820, probabilmente per consiglio dello Zurlo, il B. fu scelto dal principe ereditario e reggente Francesco quale intermediario presso Guglielmo Pepe, capo dei carbonari; e il 7 luglio presenziò insieme al barone Nanni alla redazione della "Istituzione della Giunta provvisoria di Govemo e dichiarazione aggiunta". Poi, disgustato dall'atteggiamento tanto dei rivoluzionari quanto dei governanti, chiese e ottenne un congedo illimitato dal posto di capo del dipartimento del ministero dell'Interno, rifiutando l'assegno dei due terzi dello stipendio, che gli veniva offerto. L'anno seguente, al tempo della reazione, fu licenziato, né gli venne concessa pensione alcuna: sorte che toccò nel '24 anche al padre di lui Francesco, che, quale giudice della Gran Corte criminale, aveva osato sostenere la tesi assolutoria nella causa contro i rei di Stato di Monteforte.
Nel 1831 Ferdinando II di Borbone, che iniziava una nuova politica riformista utilizzando anche uomini provenienti dalle file murattiane, offrì al B., che rifiutò, l'intendenza di una provincia; egli accettò invece la nomina, senza emolumentp, a membro della Commissione per l'ordinamento amministrativo di Napoli. Nel '47, rinverdendosi le fortune liberali, venne dal sovrano nominato consultore di Stato. Il 13 maggio 1848 Carlo Troya gli comunicò la nomina a pari del Regno, dignità alla quale egli ebbe poi a rinunciare, quale protesta contro la repressione antiliberale.
Morì a Napoli il 21 luglio 1852.
Fonti e Bibl.: Oltre a documenti del B., conservati presso la famiglia Beneventani in Napoli, vedi Arch. di Stato di Napoli, Carte del Ministero di polizia, fascio 451, fascicolo 1920, anno 1823; C. De Nicola, Diario napoletano 1780-1825, Napoli 1906, II, p. 809; III, p. 99; Cat. della mostra dei ricordi storici del Mezzogiorno d'Italia tenutasi nel 1911 a Napoli, Napoli 1912, p. 250; Atti del Parlam. delle Due Sicilie, I, Bologna 1926, pp. 17-20; F. Pignatelli di Strongoli, Memorie di un generale, a cura di N. Cortese, Bari 1927, II, p. 285; S. Cagnazzi, La mia vita, a cura di A. Cutolo, Milano 1944, passim; Giornale delle Due Sicilie, 2 ag. 1852; G. Marracino, in Poliorama Pittoresco, XIV,1852-53, p. 76; C.S.E., AR.B., Napoli 1852; D. Vestini, Not. biogr. del cav. R. B., in G. Sterlich, Necrologie napoletane, I, Napoli 1870, pp. 1-12; M. D'Ayala, Vita degli Italiani benemeriti della libertà e della patria, Napoli 1883, pp. 7-16; B. Morelli, Un giudice dissidente nella causa di Monteforte, in Studi di storia napol. in onore di M. Schipa, Napoli 1926, pp. 709 ss.; G. Savarese. Fra rivoluzioni e reazioni…, a cura di A. Romano, Torino 1941, pp. 32. 35; A. Valente, Gioacchino Murat e l'Italia meridionale, Torino 1965, p. 259.