STROZZI, Roberto
Nacque a Firenze nel 1515 dal banchiere fiorentino Filippo e Clarice de’ Medici.
Così come i fratelli Piero, Lorenzo e Leone, per volontà del padre, ricevette una formazione umanistica. Negli anni della seconda Repubblica fiorentina (1527-30) visse a Padova, che lasciò soltanto nel 1529 per raggiungere con i tre fratelli a Lucca il padre, proveniente da Genova. Con la restaurazione medicea gli Strozzi fecero ritorno a Firenze, ma presto i rapporti con il duca Alessandro si guastarono, e Filippo si avvicinò alle cerchie del fuoriuscitismo antimediceo, oltreché al cardinale Ippolito de’ Medici, rivale del duca. Roberto e il fratello Piero si trasferirono dunque a Roma, e nel 1536 furono colpiti entrambi, come il padre, dal bando di ribellione emanato dal duca.
Nel 1537, l’assassinio di quest’ultimo ravvivò le ambizioni dei fuoriusciti, che, disseminati in varie città italiane, organizzarono i primi tentativi di assalto a Firenze. Con il fratello Piero da Bologna Roberto allestì un intervento armato, osteggiato però dal padre Filippo, più cauto e desideroso di un accordo diplomatico con i Medici. Nell’occasione, Roberto si recò a Roma per sollecitare l’appoggio finanziario del cardinale Niccolò Ridolfi e per controllare l’operato dell’ambasciatore francese in Curia. Dopo il fallimento del tentativo di Piero in Toscana, Roberto raggiunse il fratello, lo distolse dall’organizzare ulteriori spedizioni e lo riportò a Roma. Nella casa romana degli Strozzi, sita non lontano da Castel Sant’Angelo, e presto trasformata in una sorta di museo di antichità e armature, Roberto perfezionò la propria formazione umanistica sotto la guida di Benedetto Varchi: il padre Filippo, infatti, aveva manifestato il desiderio che il figlio portasse a compimento gli studi in lettere e leggi greche in modo da poter intraprendere una carriera ecclesiastica. L’intemperanza e l’incostanza di Roberto, più incline «all’armi che alla chierica», non gli consentirono di intraprendere la via auspicata dal padre, che, per reazione, arrivò a minacciare la sospensione dei finanziamenti ai figli e la chiusura della loro casa romana.
Nel giugno 1537 Filippo chiese loro di raggiungerlo a Venezia; dopo aver fatto sosta a Ferrara, Roberto giunse in Laguna a metà mese dove incontrò l’ambasciatore francese, Georges d’Armagnac. Con l’appoggio del re Cristianissimo, gli Strozzi progettarono in quelle settimane un colpo di mano contro i Medici a Firenze. Lo stesso Roberto con 1500 uomini partecipò alle manovre belliche, occupando Montepulciano. In parallelo, però, Filippo non rinunciò a percorrere la via diplomatica, ma le trattative non ebbero seguito e la contesa si risolse sul campo di battaglia. A Montemurlo, nell’agosto 1537, le truppe di Filippo vennero sbaragliate e il banchiere catturato. Nel 1538, con l’appoggio di Caterina de’ Medici, moglie del delfino di Francia, Roberto e il fratello Leone tentarono, senza successo, di trattare alla corte imperiale la liberazione del padre, recandosi prima a Barcellona e poi a Aigues-Mortes e a Nizza in occasione dell’incontro tra Valois e Asburgo.
La morte in prigione del padre non fece che ravvivare l’ostilità antimedicea dei figli, che nel 1539 rinsaldarono ulteriormente il legame con il «Bruto toscano», Lorenzino de’ Medici, attraverso un doppio matrimonio con le due sorelle: Piero sposò Laudomia, mentre Roberto prese per moglie Maddalena de’ Medici. Potendo contare sul generoso sostegno economico di Roberto, le due spose Strozzi rimasero stabilmente a Venezia per quasi dieci anni, in compagnia della madre Maria Soderini e del fratello Lorenzino. Dall’unione con Maddalena nacquero sette figlie e un erede maschio; Roberto diede in spose le sue tre figlie più grandi per rinsaldare rapporti di alleanza con altri casati di esuli antimperiali, come i Fieschi e gli Orsini.
Negli anni successivi, per questioni lavorative oltreché familiari, fece regolarmente la spola tra Venezia, Ferrara e Roma. A Venezia frequentò la cerchia degli esuli antimedicei, tra cui Donato Giannotti e il cognato Lorenzino, con il quale stabilì un legame privilegiato di amicizia. A partire dalla cacciata degli Strozzi dai territori della Serenissima nel 1547, Roberto elesse come suo principale domicilio la città dei papi, dove la sua presenza al vertice della banca di famiglia era indispensabile. Rimasto in Italia rispetto ai fratelli, spesso alla corte o sui campi di battaglia – Roberto divenne uno dei principali esponenti e punti di riferimento del fuoriuscitismo fiorentino antimediceo, tenendosi informato sugli sviluppi e le iniziative dei vari gruppi di fuoriusciti sparsi nella penisola. Significativo fu il suo ruolo di intermediario finanziario oltreché politico tra gli esuli fiorentini e la corte di Francia: fu Roberto infatti a trasmettere per conto del fratello Piero somme di denaro destinate agli agenti e agli ambasciatori del re in Italia, come Jean de Monluc nel 1545, e fu sempre Roberto a gestire la ricerca di fondi tra i banchieri toscani a Lione nel 1546, volti al finanziamento, con la cospicua somma di 600.000 scudi, dell’alleanza antiasburgica tra Francesco I e i principi protestanti della Lega di Smalcalda. In ricompensa dei suoi servigi, il re gli offrì nel 1544 lettere di naturalizzazione e lo nominò cavaliere d’onore della delfina di Francia, Caterina de’ Medici.
Qualche anno più tardi, con la salita al trono di Enrico II, Roberto con i fratelli e la moglie si recò a corte per omaggiare con gioielli e opere d’arte il nuovo sovrano e rinsaldare il legame con la regina di Francia, destinata a diventare un significativo punto di riferimento per gli antimedicei d’Oltralpe. Nell’occasione Roberto ottenne il titolo di cavaliere del re e due delle sue figlie divennero damigelle di Caterina. Nel 1548 ottenne pure la commenda dell’abbazia di Saint-Victor a Marsiglia (poi ceduta a Giuliano de’ Medici, fratello di Lorenzino), chiesta per lui dal cardinale Jean Du Bellay in cambio dei prestiti concessi e del suo ruolo di consigliere e di mediatore tra gli agenti del re e i Farnese. Anche negli anni successivi, nonostante la taglia di 5000 scudi messa sul suo capo da Cosimo e reiterati tentativi falliti di imboscata e di assassinio ai suoi danni, Roberto rimase uno dei principali esponenti della nazione fiorentina a Roma, compattamente schierata su posizioni antimedicee.
Per conto del fratello Piero raccolse fondi per finanziare la campagna militare in Toscana nel 1553-54 volta al recupero di Firenze e alla cacciata di Cosimo. Oltre a garantire protezione e sostegno a vari esuli come Bartolomeo Cavalcanti, Roberto si impegnò per far ottenere la porpora cardinalizia al fratello Lorenzo e tenne i rapporti con il fratello Leone, disgraziato a corte e per alcuni anni allontanato dal servizio del re: nel dicembre 1553 fu proprio il banchiere di famiglia a convincere Leone a ritornare con la Francia e ad appoggiare con la propria flotta il tentativo di Piero a Siena. Dietro a tutte le operazioni militari di Piero, infatti, si trovavano sistematicamente la mano e i soldi di Roberto, figura cardine del fuoriuscitismo fiorentino in Italia.
Nonostante momenti di tensione con Giulio III, Strozzi rimase un intermediario privilegiato per gli ambasciatori francesi, che era solito accompagnare al cospetto del pontefice. Dopo aver raccolto i fondi necessari a Ferrara, nel dicembre 1553 accompagnò Piero a Siena e partecipò direttamente alle operazioni militari contro il ducato di Cosimo, fino al tragico esito della battaglia di Marciano il 2 agosto 1554. Sotto il pontificato di Paolo IV, Roberto non cessò di progettare con Ottavio Farnese nuove spedizioni contro il ducato mediceo potendo contare sul sostegno incondizionato del potente cardinal nipote Carlo Carafa, che accompagnò alla corte di Francia nel 1556 e per conto del quale si adoperò nella primavera del 1557 in Italia. La scomparsa del fratello Piero nel 1558 e il tramonto di ogni prospettiva concreta di rovesciare il potere mediceo spinsero nel 1561 Roberto a negoziare un accomodamento e una riconciliazione con Cosimo, culminata con il rientro a Firenze.
Nella città natia Roberto morì nel 1566.
Egli fu anche un grande mecenate, committente e mediatore di opere artistiche, come attestano l’invio dei due Prigioni di Michelangelo al Montmorency nel 1550 come regalo per il re (le due statue erano state offerte a Strozzi dallo stesso artista in cambio dell’ospitalità ricevuta negli anni precedenti), oltreché «una prospettiva» commissionata a Bastiano Sangallo (detto Aristotile) nella sua dimora romana in occasione del carnevale del 1546. Il banchiere di casa Strozzi intrattenne rapporti anche con Iacopino Del Conte, che lo ritrasse due volte, con Francesco Salviati di cui, anche, esiste un ritratto e con Tiziano, al quale commissionò il ritratto della figlia Clarice. Nel 1559 per conto di Caterina de’ Medici Roberto si rivolse a Michelangelo e poi a Daniello Ricciarelli da Volterra per onorare il defunto Enrico II con una statua equestre in bronzo. Intensi furono anche i rapporti con letterati di fama: lo si ritrova sotto la penna dei madrigalisti Girolamo Parabosco e Cipriano de Rore, del musicista Silvestro di Ganassi, che gli dedicò il suo trattato la Regola Rubertina, di Antonio Brucioli, che lo introdusse come personaggio nei suoi Dialogi pubblicati negli anni Trenta a Venezia, nonché di Pietro Aretino, che non risparmiò critiche a «Roberto chiave degli erari gallici».
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