RUFFILLI, Roberto
RUFFILLI, Roberto. – Nacque a Forlì il 18 febbraio 1937. Il padre, Antonio, era operaio tubista e la madre casalinga.
Si formò nell’oratorio salesiano di San Luigi, dove, come molti giovani cattolici della sua generazione, visse la prima educazione alla vita di comunità. Il 21 luglio 1956 conseguì la maturità classica presso il ginnasio liceo statale Giovan Battista Morgagni della città natale. Su consiglio del suo parroco, il 10 agosto dello stesso anno si iscrisse al concorso per dieci posti gratuiti presso il collegio Augustinianum dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, riuscendo vincitore. Si immatricolò alla facoltà di scienze politiche di quell’Ateneo, partecipando alla vivace vita studentesca del collegio, diretto da Umberto Potoschnig.
Suo coetaneo e compagno di stanza fu Ettore Rotelli, ma tutto il collegio e l’Università erano un ambiente ricco di brillanti intelligenze alle quali rimase legato tutta la vita come Tiziano Treu, Enrico De Mita (che lo avrebbe introdotto alla conoscenza del fratello Ciriaco, di una decina d’anni più vecchio, ma anche lui a suo tempo all’Augustinianum), Paolo Prodi (anche lui ormai ex studente) e suo fratello Romano (che invece entrò in collegio due anni dopo Ruffilli).
Si laureò nel febbraio del 1961, discutendo con Gianfranco Miglio una tesi dal titolo Storia della storiografia costituzionale italiana del Settecento: Pietro Giannone (correlatore Cinzio Violante). Alcuni ‘infortuni’ sulla valutazione degli esami sostenuti non gli diedero la possibilità di ottenere la lode e fecero fermare la votazione finale a 110. Il relatore apprezzò però il lavoro e lo chiamò a collaborare come ricercatore all’Istituto per la scienza dell’amministrazione pubblica (ISAP), fondato alla fine del 1959 con finanziamenti degli enti pubblici locali e diretto da Gianfranco Miglio e Feliciano Benvenuti; qui venne inserito nel Dipartimento di tipologia e storia.
Anche quell’istituto fu un vivaio di personalità destinate a brillanti carriere: oltre a Rotelli, si legò in particolare al più giovane Piero Schiera, a Giuliana Nobili (che avrebbe sposato Schiera), a Enzo Balboni.
Come giovane studioso esordì nel 1962, contribuendo alla collana Archivio dell’ISAP con un saggio sulle istituzioni culturali e nel 1965 alla collana Quaderni con un saggio sui precedenti storici di un ente intermedio fra Provincia e Comune.
Nel 1968 conseguì la libera docenza e l’anno seguente pubblicò la sua prima monografia: L’appodiamento e il riassetto del quadro territoriale nello Stato pontificio 1790-1870 (Milano).
L’ambiente dell’ISAP fu di grande importanza per la sua formazione, così come il suo rapporto con Miglio: relazione abbastanza travagliata, in verità, perché alla grande considerazione per l’intelligenza del maestro (che in privato a volte definiva «luciferina») si univa il rammarico per la considerazione non certo altissima con cui era ricambiato.
Nell’ottobre del 1968 accettò di succedere a Treu alla direzione dell’Augustinianum. Erano gli anni della contestazione studentesca, che aveva coinvolto anche la Cattolica e Ruffilli si trovò a gestire un contesto non facile: fra gli allievi del collegio vi fu anche Mario Capanna, che venne espulso. Così, nel 1970, ottenuto l’incarico di docente di storia dell’amministrazione pubblica presso il corso di laurea in scienze politiche all’Università di Sassari, si dimise da direttore dell’Augustinianum. I sei anni a Sassari furono anch’essi molto importanti: la facoltà di giurisprudenza, in cui era inserito il suo corso di laurea, era tradizionalmente un punto di passaggio per giovani docenti emergenti che arrivavano da vari atenei, e le accese discussioni che i ‘continentali’ conducevano nella vita da pendolari furono un altro momento di maturazione di una certa visione dell’evoluzione politica della società italiana. Ruffilli legò comunque anche con alcuni intellettuali dell’isola, come Manlio Brigaglia e l’allora giovane Guido Melis, che considerò sempre uno dei suoi migliori allievi.
Nel 1971 per Ruffilli si aprì un’altra possibilità: la facoltà di scienze politiche dell’Università di Bologna, nata soltanto nel 1967, stava reclutando docenti. Nicola Matteucci, allora preside della facoltà, affidò un incarico a Schiera e forse per questa via venne selezionato anche Ruffilli, al quale fu affidato prima l’incarico di storia dei partiti e dei movimenti politici e poi di storia contemporanea; quella che considerava la sua materia, storia delle istituzioni politiche, era stata già affidata a Rotelli. Per un anno, sempre per incarico, insegnò storia moderna a magistero su chiamata di Paolo Prodi.
Nonostante il pendolarismo con Sassari, fu a Bologna che avviò il suo inserimento nel circuito degli intellettuali che si occupavano di politica. Ciò avvenne in parte per la presenza della rivista Il Mulino, su cui nel 1972 comparve quello che può considerarsi il suo primo scritto impegnato sul piano ideologico (Il mito liberal-individualista, 1972, n. 6, pp. 998-1023), in parte per la partecipazione agli incontri che avvenivano a casa Matteucci e per l’attenzione che si guadagnò da parte di Beniamino Andreatta.
Nel frattempo aveva pubblicato nel 1971 quello che considerò sempre ‘il libro’, frutto di un lungo travaglio (si considerava poco tagliato per la scrittura e lo confessava: la mole dei suoi scritti raccolti dopo la sua morte avrebbe suscitato stupore in tutti, ma sono per gran parte successivi a questa fase): La questione regionale dall’unificazione alla dittatura 1862-1942 (Milano).
Forse in seguito alle frequentazioni bolognesi, ma anche per qualche suggestione sassarese, si registrò la sua prima uscita politica: nel 1974 sottoscrisse un documento dei cattolici democratici (forlivesi) per il ‘no’ al referendum sull’abolizione del divorzio. In quello stesso anno accettò una candidatura come indipendente nelle liste della Democrazia cristiana (DC) alle elezioni comunali a Forlì, con esito non esaltante: 35° fra i votati della lista con appena 40 voti.
Nel 1975 si riaprì, dopo un lungo intervallo, una tornata di concorsi a cattedra e risultò vincitore a Sassari per storia delle istituzioni politiche. L’anno dopo la facoltà di scienze politiche dell’Università di Bologna lo richiamò sulla cattedra di storia contemporanea.
Nel luglio del 1975 la crisi interna al sistema di governo della DC portò alla segreteria Benigno Zaccagnini, che rilanciò il problema di un contatto del Partito con il retroterra dell’associazionismo e della cultura cattolica. Il timore del successo del Partito comunista italiano (PCI), che alle regionali di quell’anno aveva sostanzialmente ottenuto la stessa percentuale di voti del partito cattolico e che aveva messo in atto un’ampia apertura alle forze intellettuali ‘progressiste’, spinsero la DC a riscoprire gli intellettuali ‘indipendenti’ ancora disposti a riconoscersi nella sfera del cattolicesimo politico.
Un po’ per il consolidamento della sua posizione accademica, un po’ per i rapporti con Andreatta, un po’ per i rinnovati rapporti con Paolo Prodi (divenuto rettore dell’Università di Trento, dove si era trasferito anche Schiera), entrò in queste dinamiche. Furono anche gli anni della sua ripresa degli studi sulla crisi dello Stato, dovuta al rapporto con l’Istituto storico italo-germanico di Trento, che andarono di pari passo con l’apertura di ricerche sul periodo dell’Assemblea costituente.
Nel 1976, in occasione del trentennale della Repubblica e della Costituente, la Regione Toscana varò un grande progetto di indagine storica su quel periodo. Contemporaneamente si andava affermando l’ideologia dell’‘arco costituzionale’ e una riscoperta delle radici comuni del disegno repubblicano: in questo quadro la ricerca venne organizzata con la concorrenza degli storici che si presentavano come gli intellettuali più o meno organici delle formazioni presenti all’origine della Repubblica.
Entrò così in uno dei comitati di studio dove si legò particolarmente a Pietro Scoppola, che stava emergendo come il capofila della storiografia cattolica interessata al rilancio della presenza politica di quella tradizione. Al dibattito di questa fase partecipò con intensità. Nel 1978 curò il volume Costituente e lotta politica. La stampa e le scelte costituzionali (Firenze), l’anno seguente i due volumi Cultura politica e partiti nell’età della Costituente (I, L’area liberal-democratica. Il mondo cattolico e la Democrazia cristiana; II, L’area socialista. Il Partito comunista italiano, Bologna), nei quali raccolse il lavoro del gruppo di ricerca da lui coordinato.
Nel 1975 principalmente per opera di Achille Ardigò, Ermanno Gorrieri e Scoppola si era formata la Lega democratica e la sua adesione a essa contribuì ad accreditarlo sulla scena nazionale.
Iniziò da qui una sua riflessione sul ruolo avuto dalla DC nella storia dell’Italia repubblicana, che dopo qualche anno si appuntò sulla figura di Aldo Moro come il politico che più di tutti era stato in grado di capire come il sistema italiano fosse arrivato a un punto di svolta che richiedeva l’avvio di una «terza fase». Questa tematica lo accompagnò per tutto il resto della sua esistenza, unendosi alla riscoperta del ‘compromesso costituzionale’. La tragica fine di Moro, nel 1978, contribuì a rendere più incisiva la forza di questa lettura.
Nel 1981 fu nell’assemblea degli esterni con cui esponenti della tradizione del cattolicesimo politico, ma in quanto tali non inquadrati nella DC, si offrivano a supporto di una nuova stagione del partito. Quando, nel maggio 1982, Ciriaco De Mita ne conquistò la segreteria chiamò a collaborare alcuni esponenti di quell’esperienza, fra cui Ruffilli, che venne messo a capo del dipartimento per le questioni istituzionali.
Nelle elezioni del 26 giugno 1983 fu candidato al Senato della Repubblica nel collegio Roma II, riuscendo eletto. Operò con presenza costante ai lavori del Senato, membro della commissione Affari costituzionali, ma il suo apporto principale durante quella legislatura (la IX) fu la presenza nella commissione bicamerale per lo studio delle riforme costituzionali, presieduta dal liberale Aldo Bozzi, che prese il via il 24 novembre 1983 per concludere i suoi lavori il 29 gennaio 1985. Fu altresì membro della commissione d’inchiesta sulla loggia massonica P2 (12 agosto 1983 - 10 luglio 1984) e in quest’ambito tenne due significativi discorsi a Camere riunite il 6 e il 20 giugno 1984, cercando di contrastare una lettura complottarda e scandalistica della vicenda, di cui pure mise in rilievo le pericolose deviazioni.
Il 21 novembre 1984 intervenne sulla richiesta di mettere in stato di accusa davanti alla Corte costituzionale i ministri Giulio Andreotti e Mario Tanassi, sostenendo una linea di rigida difesa dei principi giuridici sulla ricerca delle responsabilità e respingendo quello che gli sembrava uno scivolamento verso il binomio giacobino di virtù e terrore.
Nella commissione Bozzi si spese moltissimo in un lavoro di tessitura fra le divergenti opinioni dei partiti, che di fatto impedivano di arrivare a larghe intese. La sua visione era quella di chi riteneva che il problema principale fosse incentivare un ricambio di classe dirigente e che, di conseguenza, andasse favorita la promozione di una riforma della legge elettorale che si basasse, secondo una sua formula che ebbe discreta fortuna, sul «cittadino come arbitro». In questa prospettiva, come scrisse a De Mita in una lettera del 26 giugno 1984, bisognava anche accettare l’ipotesi «di una sempre maggiore legittimazione del PCI come forza di governo alternativa alla DC» (Piretti, 2008, p. 217). Nel suo stesso partito il lavoro di Ruffilli incontrò ostacoli, tanto che chiese di essere dispensato dalla stesura della relazione finale per il suo gruppo. A nulla valsero le mediazioni da lui tentate con la collaborazione di Adolfo Battaglia e di Augusto Barbera per arrivare a una votazione finale maggioritaria sul testo conclusivo, perché questo raccolse solo 16 voti favorevoli tra i 41 membri.
Uscì dall’esperienza della commissione Bozzi rafforzato nella sua figura pubblica, con l’immagine dell’uomo che tesseva la tela di una transizione pacifica verso un sistema politico dell’alternanza. In questa direzione, pur con le cautele tipiche del suo modo di argomentare, continuò a spendersi con vari interventi pubblici anche negli anni successivi.
Venne confermato al Senato nelle elezioni politiche del 14 giugno 1987. Sebbene ci fosse qualche sintomo di una maggiore difficoltà di ruolo all’interno della DC, continuò a essere visto come la personalità che lavorava all’evoluzione del sistema politico italiano in una prospettiva che ormai non poteva più essere quella fondata sulla nota conventio ad excludendum. Il 13 aprile 1988, succedendo al governo Craxi, De Mita divenne presidente del Consiglio dei ministri in un’atmosfera in cui si aspettavano svolte politiche.
Il 16 aprile 1988, in maniera inaspettata, Ruffilli venne assassinato nella sua casa di Forlì da due individui. Il gesto venne rivendicato da un volantino firmato Brigate rosse (anche se l’attività di questo gruppo sembrava interrotta da tempo) nel quale si affermava che era stato «giustiziato [...] uno dei migliori quadri politici della DC, l’uomo chiave del rinnovamento, vero e proprio cervello del progetto demitiano». Il processo al gruppo di assassini si concluse il 1° giugno 1990 con nove ergastoli.
Opere. Tutti i suoi scritti, a eccezione della monografia La questione regionale dall’unificazione alla dittatura 1862-1942 e degli articoli sui quotidiani, sono stati ripubblicati nei tre volumi: Istituzioni, Società, Stato, a cura di G. Nobili Schiera - M.S. Piretti, Bologna 1989-1991 (I, Il ruolo delle istituzioni amministrative nella formazione dello Stato in Italia; II, Nascita e crisi dello Stato moderno: ideologie e istituzioni; III, Le trasformazioni della democrazia: dalla Costituente alla progettazione delle riforme istituzionali).
Fonti e Bibl.: Per l’attività parlamentare si veda la sua scheda pubblicata dal sito del Senato della Repubblica. Notizie sulla vita forlivese di Ruffilli si trovano in Un dì lontano. Cinquant’anni di vita salesiana a Forli 1942-1992, a cura di G. Tassani, presentazione di A. Silvestrini, postfazione di F. Traniello, Forlì 1992, pp. 311-338, 345-352. Sulla sua vicenda biografica si vedano: R. R. Un percorso di ricerca, a cura di M. Ridolfi, scritti di E. Balboni et al., prefazione di G. Quazza, Milano 1990; M.S. Piretti, R. R.: una vita per le riforme, Bologna 2008.